“Quando le braccia di un consacrato, di una consacrata non stringono Gesù, stringono il vuoto”. Papa Francesco ha celebrato questa sera la S. Messa della Festa della Presentazione del Signore, in cui ricorre la XXVI Giornata della Vita Consacrata, istituita da San Giovanni Paolo II. Il Papa ha sviluppato la sua omelia intorno a tre domande: da cosa siamo mossi, che cosa vedono i nostri occhi e infine, cosa stringiamo tra le braccia. Francesco, esaltando la fedeltà di Simeone e Anna, che accolsero il Bambino nel tempio, ha invitato i consacrati a chiedersi in particolare da cosa sono mossi e ad accogliere Gesù, centro della fede.
E ha fatto un invito di fronte alla crisi che avvolge la vita religiosa: “Apriamo gli occhi: attraverso le crisi, i numeri che mancano, le forze che vengono meno, lo Spirito invita a rinnovare la nostra vita e le nostre comunità”. Una suggestiva processione verso l’altare della Confessione, con la Basilica di S. Pietro illuminata solo dalle candele che caratterizzano la celebrazione, ha introdotto la liturgia. Ecco l’omelia del Papa, che ha pronunciato molti passaggi a braccio:
Tre domande
Due anziani, Simeone e Anna, attendono nel tempio il compimento della promessa che Dio ha fatto al suo popolo: la venuta del Messia. Ma la loro attesa non è passiva, è piena di movimento. Seguiamo dunque i movimenti di Simeone: egli dapprima è mosso dallo Spirito, poi vede nel Bambino la salvezza e finalmente lo accoglie tra le braccia. Fermiamoci semplicemente su queste tre azioni e lasciamoci attraversare da alcune domande importanti per noi, in particolare per la vita consacrata.
Da cosa siamo mossi?
La prima è: da che cosa siamo mossi? Simeone si reca al tempio «mosso dallo Spirito». Lo Spirito Santo è l’attore principale della scena: è Lui che fa ardere nel cuore di Simeone il desiderio di Dio, è Lui che ravviva nel suo animo l’attesa, è Lui che spinge i suoi passi verso il tempio e rende i suoi occhi capaci di riconoscere il Messia, anche se si presenta come un bambino piccolo e povero.
Questo fa lo Spirito Santo: rende capaci di scorgere la presenza di Dio e la sua opera non nelle grandi cose, nell’esteriorità appariscente, nelle esibizioni di forza, ma nella piccolezza e nella fragilità. Pensiamo alla Croce, anche lì c’è piccolezza, fragilità, drammaticità, ma lì c’è la forza di Dio. L’espressione “mosso dallo Spirito” ricorda quelle che nella spiritualità si chiamano “mozioni spirituali”: sono quei moti dell’animo che avvertiamo dentro di noi e che siamo chiamati ad ascoltare, per discernere se provengono dallo Spirito Santo o da altro. State attenti alle mosse dello Spirito dentro.
Il rischio della ricerca di successo
Allora ci chiediamo: da chi ci lasciamo principalmente muovere: dallo Spirito Santo o dallo spirito del mondo? È una domanda su cui tutti dobbiamo misurarci, soprattutto noi consacrati. Mentre lo Spirito porta a riconoscere Dio nella piccolezza e nella fragilità di un bambino, noi a volte rischiamo di pensare alla nostra consacrazione in termini di risultati, di traguardi, di successo. Ci muoviamo alla ricerca di spazi, di visibilità, di numeri. È una tentazione.
La fedeltà di Simeone e Anna
Lo Spirito invece non chiede questo. Desidera che coltiviamo la fedeltà quotidiana, docili alle piccole cose che ci sono state affidate. Com’è bella la fedeltà di Simeone e Anna! Ogni giorno si recano al tempio, ogni giorno attendono e pregano, anche se il tempo passa e sembra non accadere nulla. Aspettano tutta la vita, senza scoraggiarsi e senza lamentarsi, restando fedeli ogni giorno e alimentando la fiamma della speranza che lo Spirito ha acceso nel loro cuore.
Il tarlo del narcisismo
Noi possiamo chiederci, fratelli e sorelle: che cosa muove i nostri giorni? Quale amore ci spinge ad andare avanti? Lo Spirito Santo o la passione del momento? Come ci muoviamo nella Chiesa e nella società? A volte, anche dietro l’apparenza di opere buone, possono nascondersi il tarlo del narcisismo o la smania del protagonismo. In altri casi, pur portando avanti tante cose, le nostre comunità religiose sembrano essere mosse più dalla ripetizione meccanica – fare le cose per abitudine, tanto per farle – che dall’entusiasmo di aderire allo Spirito Santo. Verifichiamo oggi le nostre motivazioni interiori, discerniamo le mozioni spirituali, perché il rinnovamento della vita consacrata passa anzitutto da qui.
Cosa vedono i nostri occhi?
Una seconda domanda: che cosa vedono i nostri occhi? Simeone, mosso dallo Spirito, vede e riconosce Cristo. E prega dicendo: «I miei occhi hanno visto la tua salvezza». Ecco il grande miracolo della fede: apre gli occhi, trasforma lo sguardo, cambia la visuale. Come sappiamo da tanti incontri di Gesù nei Vangeli, la fede nasce dallo sguardo compassionevole con cui Dio ci guarda, sciogliendo le durezze del nostro cuore, risanando le sue ferite, dandoci occhi nuovi per vedere noi stessi e il mondo. Occhi nuovi su noi stessi, sugli altri, su tutte le situazioni che viviamo, anche le più dolorose.
Non si tratta di uno sguardo ingenuo, no, è sapienziale, non è uno sguardo che fugge la realtà o finge di non vedere i problemi, ma di occhi che sanno “vedere dentro” e “vedere oltre”; che non si fermano alle apparenze, ma sanno entrare anche nelle crepe della fragilità e dei fallimenti per scorgervi la presenza di Dio. Gli occhi anziani di Simeone, pur affaticati dagli anni, vedono il Signore, vedono la salvezza. E noi? Ognuno può domandarsi: che cosa vedono i nostri occhi? Quale visione abbiamo della vita consacrata?
Sguardi di speranza
Il mondo spesso la vede come uno “spreco”: ma guarda quel ragazzo così bravo mettersi a diventare frate quella ragazza mettersi a diventare suora, è uno spreco, se almeno fosse brutta, no, è uno spreco così lo vediamo noi… Lo vediamo come una realtà del passato, qualcosa di inutile; ma noi, comunità cristiana, religiose e religiosi, che cosa vediamo? Siamo rivolti con gli occhi all’indietro, nostalgici di ciò che non c’è più o siamo capaci di uno sguardo di fede lungimirante, proiettato dentro e oltre? Questo fa lo Spirito.
A me fa tanto bene vedere consacrati e consacrate anziani, che con occhi luminosi continuano a sorridere, dando speranza ai giovani. Pensiamo a quando abbiamo incontrato sguardi simili e benediciamo Dio per questo. Sono sguardi di speranza, aperti al futuro. Forse ci farà bene in questi giorni fare una visita ai nostri fratelli e sorelle religiosi anziani per guardare, per parlare, per sentire cosa pensano. Penso che sarà una buona medicina. Sono sguardi di speranza, aperti al futuro, come ho detto.
Rinnovamento attraverso la crisi
Cari fratelli e sorelle, il Signore non manca di darci segnali per invitarci a coltivare una visione rinnovata della vita consacrata. Ci vuole, ma sotto la luce, sotto le mozioni dello Spirito Santo. Non possiamo fare finta di non vederli e continuare come se niente fosse, ripetendo le cose di sempre, trascinandoci per inerzia nelle forme del passato, paralizzati dalla paura di cambiare.
La tentazione della rigidità
L’ho detto tante volte, la tentazione di andare indietro per conservare il carisma del fondatore, la tentazione di andare indietro e conservare le tradizioni con rigidità. La rigidità è una perversione e sotto ogni rigidità ci sono gravi problemi. Né Simeone né Anna erano rigidi, lui profetizzando con coraggio alla mamma. Lei come una buona vecchietta, in giro dicendo guardate quello, l’annuncio, con gioia…
Apriamo gli occhi: attraverso le crisi, i numeri che mancano… ma padre, non ci sono vocazioni adesso andiamo a quell’isola dell’Indonesia per vedere se ne troviamo qualcuna… no; le forze che vengono meno, lo Spirito invita a rinnovare la nostra vita e le nostre comunità. Apriamo il cuore. Guardiamo a Simeone e Anna: anche se sono avanti negli anni, non passano i giorni a rimpiangere un passato che non torna più, ma aprono le braccia al futuro che viene loro incontro. Non sprechiamo l’oggi guardando a ieri, o sognando un domani che mai verrà, ma mettiamoci davanti al Signore, in adorazione, e domandiamo occhi che sappiano vedere il bene e scorgere le vie di Dio. Il Signore ce lo darà se lo chiediamo, con gioia, con fortezza, senza paura.
Gesù centro della fede
Infine, una terza domanda: che cosa stringiamo tra le braccia? Simeone accoglie Gesù tra le braccia. È una scena tenera e densa di significato, unica nei Vangeli. Dio ha messo suo Figlio tra le nostre braccia perché accogliere Gesù è l’essenziale, il centro della fede. A volte rischiamo di perderci e disperderci in mille cose, di fissarci su aspetti secondari o di immergerci nelle cose da fare, ma il centro di tutto è Cristo, da accogliere come Signore della nostra vita.
Quando Simeone prende fra le braccia Gesù, le sue labbra pronunciano parole di benedizione, di lode, di stupore. Ma noi, dopo tanti anni di vita consacrata abbiamo perso la capacità di stupirci o l’abbiamo ancora? E se qualcuno non la trova, chieda la grazia dello stupore.
Prendere Gesù tra le braccia
Se ai consacrati mancano parole che benedicono Dio e gli altri, se manca la gioia, se viene meno lo slancio, se la vita fraterna è solo fatica, e manca lo stupore, non è perché siamo vittime di qualcuno o di qualcosa, ma perché le nostre braccia non stringono più Gesù. E quando le braccia di un consacrato, di una consacrata non stringono Gesù, stringono il vuoto, che cercano di riempire con altre cose ma stringono il vuoto. Stringere Gesù con le nostre braccia è il segnale, il cammino, è il rinnovamento. Altrimenti il cuore si chiude nell’amarezza, nella lamentela per le cose che puntualmente non vanno, sempre in un rigore che ci rende inflessibili, in atteggiamenti di pretesa superiorità.
Invece, se accogliamo Cristo a braccia aperte, accoglieremo anche gli altri con fiducia e umiltà. Allora i conflitti non inaspriscono, le distanze non dividono e si spegne la tentazione di prevaricare e di ferire la dignità di qualche sorella o fratello. Apriamo le braccia, a Cristo e ai fratelli! Lì è Gesù.
L’entusiasmo dei consacrati
Carissimi, rinnoviamo oggi con entusiasmo la nostra consacrazione! Chiediamoci quali motivazioni muovono il nostro cuore e il nostro agire, qual è la visione rinnovata che siamo chiamati a coltivare e, soprattutto, prendiamo fra le braccia Gesù. Anche se sperimentiamo fatiche e stanchezze, anche delusioni, succede, facciamo come Simeone e Anna, che attendono con pazienza la fedeltà del Signore e non si lasciano rubare la gioia dell’incontro con Lui. Rimettiamo Lui al centro e andiamo avanti con gioia.