Lo sport ha un ruolo di primo piano nella vita di tante persone. Muove passioni e interessi, sa scatenare attese ed entusiasmo, è importante per uno stile di vita sano. Alla vigilia dell’inaugurazione dei Giochi Olimpici di Tokyo, Exaudi ha intervistato in esclusiva mons. Melchor Sanchez de Toca, sottosegretario del Pontificio consiglio della Cultura, con delega allo sport, e presidente dell’Athletica Vaticana.
Ricevendo i vertici della Federazione italiana di basket il S. Padre, senza citarlo, ha ricordato il gesto di Pep Guardiola che ha baciato la medaglia dopo aver perso la finale di Champions. E dopo la finale degli Europei ha invitato, anche dopo una sconfitta, a lottare senza arrendersi, con speranza e fiducia. Che valore ha lo sport per la Chiesa?
La risposta l’ha data il Papa stesso quando a maggio ha ricevuto la delegazione del Vaticano che si accingeva a partecipare per la prima volta ai Campionati europei dei piccoli Stati. Lui per primo si domandava ‘che cosa c’entra il Vaticano con lo sport?’ La risposta è arrivata con una citazione del poeta latino Terenzio: ‘Homo sum, humani nihil a me alienum puto’, ovvero ‘Sono uomo e niente di ciò che è umano mi è estraneo’. Una frase poi utilizzata dai Padri della Chiesa per spiegare che non c’è realtà umana che non sia interessante. Vale anche per lo sport, quello organizzato, professionistico come quello praticato a tutti i livelli, che coinvolge milioni di persone nel mondo. Non può non interessare la Chiesa. Non c’è un motivo teologico particolare, semplicemente c’è una motivazione di opportunità perché è un’attività umana che riguarda tantissime persone.
Recentemente si è svolto alla Lumsa il convegno “Chiesa e sport, ripartiamo insieme”. Cosa significa, dopo l’esperienza della pandemia?
Anche qui mi rifaccio alle parole del Papa. Il concetto fondamentale è quello di ‘insieme’. Come ha spiegato bene il cardinale Ravasi nel suo intervento al convegno, non significa ricominciare da dove eravamo prima della pandemia. Il cardinale ha commentato uno dei termini più usati e abusati di questo periodo, resilienza, ricordando che deriva dal verbo latino ‘salio’, che vuol dire saltellare. Cioè non semplicemente ritornare dove eravamo prima ma fare un salto in avanti, proiettati verso il futuro. È chiaro che la società, il mondo dello sport e anche la Chiesa non possono riprendere dal punto in cui erano prima della pandemia. Ma l’importante è fare tutto questo insieme, con gioco di squadra.
Curiosamente, anche il Comitato olimpico internazionale sta valutando di aggiungere una quarta parola al suo motto tradizionale ‘Citius, Altius, Fortius’. La parola è proprio insieme, together in inglese, communiter in latino. Vale per lo sport, che ha bisogno di solidarietà, penso alle federazioni più ricche che sostengono quelle meno ricche, ma anche per la società e per la Chiesa. Lo sport non si salva da solo, serve un ‘ecosistema’ che lo sostenga, ma anche la Chiesa ha bisogno di arricchirsi di valori che vengono da fuori. Mi viene in mente la figura dell’oratorio, una realtà tipicamente italiana, bellissima, con i campi di calcio, calcetto, volley, basket accanto alle parrocchie. Senza dubbio quello italiano è un contesto storico unico in cui l’oratorio è radicato. Il gioco, lo sport fanno parte di un progetto educativo, di una scuola di valori preziosa. L’oratorio è pienamente integrato nella catechesi, nella liturgia.
È un modello esportabile in altre realtà?
Ne sono convinto e non solo nell’ambito della Chiesa cattolica. Quando vengono in visita ad limina, incoraggiamo i vescovi a dar vita agli oratori, ovviamente declinandoli secondo le caratteristiche proprie di ogni Paese. Ma penso che sia possibile farne anche al di fuori della Chiesa, in altri contesti religiosi. Se ci fossero più campi sportivi attorno ai centri della vita di comunità, il mondo sarebbe senza dubbio più bello. Ad esempio, la Grande Moschea di Roma ha creato un gruppo sportivo che chiaramente ha come riferimento il modello dell’oratorio.
La Chiesa ha sempre prestato attenzione al mondo dello sport ma da qualche anno sembra ancora più coinvolta. Penso a iniziative come la Clericus Cup o all’Athletica Vaticana di cui lei è presidente. È un impegno che porta frutti?
In termini sportivi o economici, no. Nel mondo dello spirito, i frutti sono difficilmente misurabili, il Giudice usa dei criteri che sono diversi da quelli che usiamo noi. Però credo di sì. I Papi negli ultimi 100, 120 anni hanno parlato spesso di sport. San Pio X, il Papa della bicicletta, promosse un saggio ginnico internazionale in Vaticano. Un’idea derivata dall’incontro con De Coubertin, eravamo intorno agli anni 10-15 del secolo scorso, in vista dell’organizzazione dei Giochi olimpici a Roma, anche se poi non se ne fece nulla. San Giovanni Paolo II era un grande sportivo, Francesco ha parlato più volte di sport. A gennaio ha rilasciato una lunga intervista che è stata definita l’enciclica laica sullo sport.
Il primo documento dedicato a questo ambito è del 2018 e si intitola ‘Dare il meglio di sé’. Si insiste su questo perché è una realtà importante nella vita delle persone. Basta pensare ai recenti campionati europei di calcio: quante persone incollate ai televisori e poi a riempire le piazze! Lo sport ha questa grande capacità di mobilitazione. C’è poi l’idea di essere ‘pontefici’, cioè gettare ponti tra la Chiesa e lo sport, e la società più in generale. Abbiamo ottimi rapporti con il Cio, con il Coni, il Comitato paralimpico e le istituzioni italiane che governano il settore, come Sport e Salute. La S. Sede è invitata come osservatore permanente alle riunioni dei ministri dello sport dove può portare un punto di vista originale sulle questioni etiche dei problemi esistenti. Però quantificare i risultati è più difficile.
Si avvicinano le Olimpiadi di Tokyo. Quale messaggio può mandare la Chiesa agli atleti e agli sportivi di tutto il mondo?
Quello che ha già mandato Papa Francesco, che ha scritto una lettera agli atleti e alle atlete che parteciperanno ai Giochi: dare il meglio di sé, nello sport come nella vita, mettersi in gioco, nella vita come nello sport, non accontentarsi di risultati mediocri e valorizzare il gioco di squadra, perché anche quelli individuali hanno sempre una squadra dietro. Papa Francesco ha definito lo sport ‘sacramentale della bellezza’ e mi sembra che questo faccia capire la dimensione e l’importanza che ha nella vita delle persone.