Un viaggio privato nella povertà: quella dei rifugiati, dei disabili, dei senza tetto. Una vicinanza espressa con i gesti e con le parole. Ancora una volta Papa Francesco ha dato l’esempio di cosa significa condividere la propria vita e il proprio tempo con gli ultimi e i bisognosi. “È tempo che ai poveri sia restituita la parola, perché per troppo tempo le loro richieste sono rimaste inascoltate. È tempo di incontrarsi. È il momento dell’incontro. Se l’umanità, se noi uomini e donne non impariamo a incontrarci andiamo verso una fine molto triste” ha detto tra l’altro il Papa in uno dei passaggi centrali del suo discoro ad Assisi, dove si è recato alla vigilia della Giornata mondiale dei poveri per un incontro di preghiera e testimonianze con 500 poveri provenienti da diverse parti d’Europa.
La visita alle clarisse
Il Papa ha un po’ stravolto il programma. Prima si è recato al monastero di S. Chiara, a salutare le clarisse, fermandosi a pregare con loro. Poi si è preso tutto il tempo per arrivare a S. Maria degli Angeli. Qui lo hanno accolto mons. Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la Nuova evangelizzazione che organizza la giornata, i vescovi di Assisi e Spoleto-Norcia, Sorrentino e Boccardo, e alcuni francescani.
Dopo il saluto del sindaco di Assisi, Stefania Proietti, il Papa ha ricevuto il mantello del pellegrino da un rifugiato eritreo che ha perso la vista, mentre un’altra rifugiata gli ha donato il bastone del pellegrino. Entrambi hanno raccontato la loro esperienza al Pontefice. Lungo il percorso il Papa si è fermato anche con alcuni disabili accompagnati dall’ex arcivescovo di Lione, il cardinale Barbarin, confuso tra la folla di pellegrini che hanno salutato il S. Padre.
La stima per il cardinale Barbarin
Per lui il S. Padre, durante il suo discorso, ha avuto parole di grandissimo affetto, stima e riconoscenza, per aver sopportato in silenzio e con la preghiera il doloroso calvario del procedimento giudiziario per aver coperto gli abusi di un prete pedofilo, finito con il proscioglimento. Le parole del Papa sono state seguite da un fragoroso applauso, con il porporato francese visibilmente commosso e sorpreso.
Dopo un breve momento di preghiera nella Porziuncola, il Papa ha ascoltato diverse testimonianze, alcune, come quella di Marianne, romena da anni in Italia, davvero toccanti. Ecco il discorso del S. Padre, che ha aggiunto molti passaggi a braccio:
L’impronta di S. Francesco
Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Vi ringrazio per avere accolto il mio invito, ma io sono stato l’invitato, a celebrare qui ad Assisi, la città di San Francesco, la quinta Giornata Mondiale dei Poveri, che ricorre dopodomani. È un’idea che è nata da voi e è cresciuta e siamo arrivati alla quinta, già. Assisi non è una città come le altre: Assisi porta impresso il volto di San Francesco. Pensare che tra queste strade lui ha vissuto la sua giovinezza inquieta, ha ricevuto la chiamata a vivere il Vangelo alla lettera, è per noi una lezione fondamentale.
Certo, per alcuni versi la sua santità ci fa rabbrividire, perché sembra impossibile poterlo imitare. Ma poi, nel momento in cui ricordiamo alcuni momenti della sua vita, quei “fioretti” che sono stati raccolti per mostrare la bellezza della sua vocazione, ci sentiamo attratti da questa semplicità di cuore e di vita: è l’attrazione stessa di Cristo, del Vangelo. Sono fatti di vita che valgono più delle prediche.
Il fioretto
Mi piace ricordarne uno, che esprime bene la personalità del Poverello. Lui e fra Masseo si erano messi in viaggio per raggiungere la Francia, ma non avevano portato con sé provviste. A un certo punto dovettero cominciare a chiedere la carità. Francesco andò da una parte e fra Masseo da un’altra. Ma, come raccontano i Fioretti, Francesco era piccolo di statura e chi non lo conosceva lo riteneva un “barbone”; invece, fra Masseo “era un uomo grande e bello”. Fu così che San Francesco riuscì a stento a raccogliere qualche pezzo di pane raffermo e duro, mentre fra Masseo raccolse dei bei pezzi di pane buono.
Quando i due si ritrovarono si sedettero per terra e su una pietra misero quanto avevano raccolto. Vedendo i pezzi di pane raccolti dal frate, Francesco disse: “Fra Masseo, noi non siamo degni di questo grande tesoro”. Il frate, meravigliato, rispose: “Padre Francesco, come si può parlare di tesoro dove c’è così tanta povertà e mancano anche le cose necessarie?”. Francesco rispose: “È proprio questo che io reputo un gran tesoro, perché non c’è nulla, ma quello che abbiamo è donato dalla Provvidenza che ci ha dato questo pane».
L’insegnamento del Poverello
Ecco l’insegnamento che ci dà San Francesco: saperci accontentare di quel poco che abbiamo e dividerlo con gli altri. Siamo qui alla Porziuncola, una delle chiesette che San Francesco pensava di restaurare, dopo che Gesù che gli aveva chiesto di “riparare la sua casa”. Allora mai avrebbe pensato che il Signore gli chiedesse di dare la sua vita per rinnovare non la chiesa fatta di pietre, ma quella di persone, di uomini e donne che sono le pietre vive della Chiesa. E se noi siamo qui oggi è proprio per imparare da ciò che ha fatto San Francesco.
A lui piaceva stare a lungo in questa chiesetta a pregare. Si raccoglieva qui in silenzio e si metteva in ascolto del Signore, di quello che Dio voleva da lui. Anche noi siamo venuti per questo: vogliamo chiedere al Signore che ascolti il nostro grido e venga in nostro aiuto. Non dimentichiamo che la prima emarginazione di cui i poveri soffrono è quella spirituale. Ad esempio, tante persone e tanti giovani trovano un po’ di tempo per aiutare i poveri e portano loro cibo e bevande calde. Questo è molto buono e ringrazio Dio della loro generosità. Ma soprattutto mi rallegra quando sento che questi volontari si fermano un po’ a parlare con le persone, e a volte pregano insieme a loro…
Il Signore non lascia mai soli
Ecco, anche il nostro trovarci qui, alla Porziuncola, ci ricorda la compagnia del Signore, che Lui non ci lascia mai soli, ci accompagna sempre in ogni momento della nostra vita. Il Signore oggi è con noi. Ci accompagna, nell’ascolto, nella preghiera e nelle testimonianze.
C’è un altro fatto importante: qui alla Porziuncola San Francesco ha accolto Santa Chiara, i primi frati, e tanti poveri che venivano da lui. Con semplicità li riceveva come fratelli e sorelle, condividendo con loro ogni cosa. Ecco l’espressione più evangelica che siamo chiamati a fare nostra: l’accoglienza. Accogliere significa aprire la porta, la porta della casa e la porta del cuore, e permettere a chi bussa di entrare. E che possa sentirsi a suo agio, non in soggezione, no, a suo agio, libero.
Dove c’è un vero senso di fraternità, lì si vive anche l’esperienza sincera dell’accoglienza. Dove invece c’è la paura dell’altro, il disprezzo della sua vita, allora nasce il rifiuto o peggio l’indifferenza, quel guardare dall’altra parte. L’accoglienza genera il senso di comunità; il rifiuto al contrario chiude nel proprio egoismo.
Madre Teresa, che aveva fatto della sua vita un servizio all’accoglienza, amava dire: “Qual è l’accoglienza migliore? Il sorriso”. Condividere un sorriso con chi è nel bisogno fa bene a tutt’e due, a me e all’altro. Il sorriso come espressione di simpatia, di tenerezza. Il sorriso ti coinvolge e tu non vorresti allontanarti dalla persona a cui hai fatto un sorriso.
L’idea della Giornata
Vi ringrazio, perché siete venuti qui da tanti Paesi diversi per vivere questa esperienza di incontro e di fede. E vorrei ringraziare Dio che ha dato questa idea, nata in una maniera un po’ strana, in una sacrestia. Stavo per celebrare la Messa e uno di voi, Etienne, lo conoscete? È un enfant terrible! mi ha dato il suggerimento: facciamo la giornata dei poveri. Sono uscito e senti che lo Spirito Santo dentro mi diceva di farlo.
Così è nata: dal coraggio di uno di voi che ha coraggio di portare avanti le cose. Ringrazio il suo lavoro di questi anni e il lavoro di tanti che lo accompagnano. E vorrei ringraziare la presenza del cardinale. Mi scusi eminenza (rivolto al cardinale Barbarin, ndr). Lui è fra i poveri, anche lui ha subito con dignità l’esperienza della povertà, l’abbandono, la sfiducia, e lui si è difeso col silenzio e la preghiera. Grazie cardinale Barbarin per la sua testimonianza che edifica la Chiesa.
L’ipocrisia di chi vuole solo arricchirsi
Dicevo che siamo venuti per incontrarci, cioè andare uno verso l’altro con il cuore aperto e la mano tesa. Sappiamo che ognuno di noi ha bisogno dell’altro, e anche la debolezza, se vissuta insieme, può diventare una forza che migliora il mondo. Spesso la presenza dei poveri è vista con fastidio e sopportata; a volte si sente dire che i responsabili della povertà sono i poveri! Un insulto in più. Pur di non compiere un serio esame di coscienza sui propri atti, sull’ingiustizia di alcune leggi e provvedimenti economici, un esame di coscienza sull’ipocrisia di chi vuole arricchirsi a dismisura, si getta la colpa sulle spalle dei più deboli.
Aprire gli occhi sulle disuguaglianze
È tempo invece che ai poveri sia restituita la parola, perché per troppo tempo le loro richieste sono rimaste inascoltate. È tempo che si aprano gli occhi per vedere lo stato di disuguaglianza in cui tante famiglie vivono. È tempo di rimboccarsi le maniche per restituire dignità creando posti di lavoro. È tempo che si torni a scandalizzarsi davanti alla realtà di bambini affamati, ridotti in schiavitù, sballottati dalle acque in preda al naufragio, vittime innocenti di ogni sorta di violenza. È tempo che cessino le violenze sulle donne e queste siano rispettate e non trattate come merce di scambio. È tempo che si spezzi il cerchio dell’indifferenza per ritornare a scoprire la bellezza dell’incontro e del dialogo. È tempo di incontrarsi. È il momento dell’incontro. Se l’umanità, se noi uomini e donne non impariamo a incontrarci andiamo verso una fine molto triste.
Ho ascoltato con attenzione le vostre testimonianze, e vi dico grazie per tutto quello che avete manifestato con coraggio e sincerità. Coraggio, perché le avete volute condividere con tutti noi, nonostante siano parte della vostra vita personale; sincerità, perché vi mostrate così come siete e aprite il vostro cuore con il desiderio di essere capiti.
Rinnovare la speranza
Ci sono alcune cose che mi sono piaciute particolarmente e che vorrei in qualche modo riprendere, per farle diventare ancora più mie e lasciarle depositare nel mio cuore. Ho colto, anzitutto, un grande senso di speranza. La vita non è stata sempre indulgente con voi, anzi, spesso vi ha mostrato un volto crudele. L’emarginazione, la sofferenza della malattia e della solitudine, la mancanza di tanti mezzi necessari non vi ha impedito di guardare con occhi carichi di gratitudine per le piccole cose che vi hanno permesso di resistere.
Andare contro corrente
Resistere. Questa è la seconda impressione che ho ricevuto e che deriva proprio dalla speranza. Cosa vuol dire resistere? Avere la forza di andare avanti nonostante tutto. Andare contro corrente. Resistere non è un’azione passiva, al contrario, richiede il coraggio di intraprendere un nuovo cammino sapendo che porterà frutto. Resistere vuol dire trovare dei motivi per non arrendersi davanti alle difficoltà, sapendo che non le viviamo da soli ma insieme, e che solo insieme le possiamo superare. Resistere ad ogni tentazione di lasciar perdere e cadere nella solitudine o nella tristezza.
Resistere aggrappandosi alla piccola o poca ricchezza che possiamo avere, penso alla ragazza dell’Afghanistan, la sua frase lapidaria: il mio corpo è qui, la mia anima è là. Resistere con la memoria. Penso alla mamma romena che ha parlato alla fine, dolori, speranza e non si vede l’uscita ma speranza forte nei figli che l’accompagnano e le ridanno la tenerezza che hanno avuto da lei.
Aprire il cuore
Chiediamo al Signore che ci aiuti sempre a trovare la serenità e la gioia. Qui alla Porziuncola, San Francesco ci insegna la gioia che viene dal guardare a chi ci sta vicino come a un compagno di viaggio che ci capisce e ci sostiene, così come noi lo siamo per lui o per lei. Questo incontro apra il cuore di tutti noi a metterci a disposizione gli uni degli altri, aprire il cuore, per rendere la nostra debolezza una forza che aiuta a continuare il cammino della vita, per trasformare la nostra povertà in ricchezza da condividere, e così migliorare il mondo.
La giornata dei poveri… grazie ai poveri che aprono il cuore per darci la loro ricchezza e guarire il nostro cuore ferito. Grazie per questo coraggio, grazie Etienne, sei stato docile alle ispirazioni dello Spirito Santo, grazie per questi anni di lavoro e anche di testardaggine, nel portare il Papa ad Assisi. Grazie eminenza per il vostro appoggio, per il vostro aiuto a questo movimento, diciamo movimento perché si muovono… Grazie a tutti. Vi porto nel mio cuore. E non dimenticatevi di pregare per me perché anche io ho le mie povertà e tante.
Al termine dell’incontro, dopo la preghiera, i poveri sono stati ospitati per il pranzo da mons. Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino. Il S. Padre invece ha voluto recarsi dalle clarisse di Spello e si è fermato a pranzo con la comunità. Alle 14.30 ha lasciato il monastero per rientrare in elicottero in Vaticano.