Papa Francesco ha concluso il suo viaggio apostolico nel Regno del Bahrein domenica 6 novembre 2022. Come di consueto nei voli di ritorno in Vaticano, il Santo Padre ha tenuto una conferenza stampa con i giornalisti che lo hanno accompagnato in questo 39° viaggio apostolico.
Il Papa ha parlato dell’Ucraina e dei tanti conflitti nel mondo, della sua amicizia con il grande Imam di Al-Azhar, dell’importanza di garantire diritti e uguaglianza alle donne, dei migranti sui barconi, degli abusi sui minori e della situazione della Chiesa tedesca: La Germania ha una grande e bella Chiesa evangelica; non ne vorrei un’altra, che non sarà (mai) buona come quella; ma voglio che sia cattolica, alla maniera cattolica, in fraternità con quella evangelica.
Quella che segue è la trascrizione della conversazione di Francesco con i giornalisti sul volo di ritorno dal Bahrein.
Conferenza stampa del Santo Padre sul volo di ritorno dal Bahrain
Papa Francesco
Buongiorno, grazie tante per la compagnia di questi giorni, per il vostro lavoro. Grazie davvero. Adesso sono a disposizione delle vostre domande. Cercherò di rispondere tutto quello che so! Grazie.
Matteo Bruni
Bene, Santità, la prima domanda è di una giornalista bahreinita, Fatima Al Najem, dell’agenzia di stampa bahreinita.
Fatima Al Najem (Bahrain News Agency)
Your Holiness, this is Fatima Al Najem from Bahrain News Agency. I just need to say something before I start my question. You have a very special place in my heart, not just because you visited my Country but because when you were announced as the Pope of the Vatican, that was my birthday! So I have one question. How do you evaluate the results of your historical visit to the Kingdom of Bahrein and how do you find Bahrein efforts to consolidate and promote coexistence among all spectrum of society, of all religion, sexes and races?
Papa Francesco
È stato, direi, un viaggio di incontro. Perché la finalità era proprio trovarsi nel dialogo interreligioso con l’islam e nel dialogo ecumenico con Bartolomeo. Le idee che ha esposto il Grande Imam di Al-Azhar erano proprio in quella direzione di cercare unità, unità all’interno dell’islam rispettando le nuances, le differenze, ma con unità; unità con i cristiani e con le altre religioni.
E per entrare nel dialogo interreligioso o nel dialogo ecumenico ci vuole identità propria. Non si può partire da un’identità diffusa. “Io sono islamico”, “Io sono cristiano”, ho questa identità e così posso parlare con identità. Quando non si ha una propria identità, o è un po’ “nell’aria”, è difficile il dialogo perché non c’è l’andata e il ritorno, per questo è importante. E questi due che sono venuti, sia il Grande Imam di Al-Azhar sia il Patriarca Bartolomeo, hanno una grossa identità. E questo fa bene.
Dal punto di vista islamico ho ascoltato con attenzione i tre interventi del Grande Imam e mi ha colpito il modo in cui lui insisteva tanto sul dialogo intra-islamico, fra voi, non per cancellare le differenze ma per capirsi e lavorare insieme, non essere contro. Noi cristiani abbiamo una storia un po’ brutta delle differenze che ci ha portato a delle guerre di religione: cattolici contro ortodossi o contro luterani. Adesso, grazie a Dio, dopo il Concilio, c’è un avvicinamento, possiamo dialogare e lavorare insieme e questo è importante, dando testimonianza di far del bene agli altri. Poi gli specialisti, i teologi discuteranno le cose teologiche, ma noi dobbiamo camminare insieme come credenti, come amici, come fratelli, fare del bene.
Sono rimasto colpito anche delle cose che sono state dette nel Consiglio Musulmano degli Anziani, sul creato e sulla salvaguardia del creato: questa è una preoccupazione comune a tutti, islamici, cristiani, tutti.
Adesso, nello stesso aereo, vanno dal Bahrein al Cairo il Segretario di Stato del Vaticano e il Grande Imam di Al-Azhar, insieme, come fratelli. Questa è una cosa che commuove abbastanza… È importante, questa è una cosa che ha fatto bene. Anche la presenza del Patriarca Bartolomeo, che è un’autorità nel campo ecumenico, ha fatto bene. Lo abbiamo visto nell’atto, nella funzione ecumenica che abbiamo fatto, e anche nelle parole che lui ha detto prima. Riassumendo: è stato un viaggio di incontro.
Per me, poi, la novità di conoscere una cultura aperta a tutti. Nel vostro Paese c’è posto per tutti. Mi ha detto il Re: “Qui ognuno fa quello che vuole: se una donna vuole lavorare, che lavori. Apertura totale”. Così mi ha detto lui – tu lo sai, you work –. E anche la parte religiosa, anche qui l’apertura… Mi ha colpito la quantità di cristiani, filippini, indiani dal Kerala che sono qui, loro vivono nel Paese e lavorano nel Paese, sono tanti.
Fatima Al Najem
Tell him that they love him, they adore him actually!
Matteo Bruni
Le vogliono molto bene!
Papa Francesco
Questa è l’idea, ho trovato una novità e questo mi aiuta a capire e a interloquire di più con la gente. La parola chiave è dialogo, e per dialogare bisogna partire dalla propria identità, avere identità.
Fatima Al Najem
Thank you, Your Holiness, I pray to Allah The Almighty, to bless you with good health and happiness and long life!
Papa Francesco
Sì, sì, prega per me. A favore, non contro!
Matteo Bruni
Santità, la seconda domanda viene da Imad Atrach di Sky tv News Arabia.
Imad Atrach (Sky Tv News Arabia)
Santo Padre, dalla firma del «Documento sulla Fratellanza umana», tre anni fa, alla visita a Baghdad e poi anche recentemente in Kazakhstan: è un cammino che secondo Lei sta dando dei frutti tangibili? Possiamo pensare che possa culminare in un incontro in Vaticano? Poi vorrei ringraziarLa per avere citato il Libano oggi, perché da libanese le posso dire che abbiamo veramente bisogno di un suo urgente viaggio, anche e soprattutto perché adesso non abbiamo nemmeno un presidente, quindi va ad abbracciare il popolo direttamente. Grazie.
Papa Francesco
Grazie. Ho pensato tanto in questi giorni, e ne abbiamo parlato col Grande Imam, su come è venuta l’idea del Documento di Abu Dhabi, quel Documento che abbiamo fatto insieme, il primo. Lui era venuto in Vaticano per una visita di cortesia e abbiamo avuto la visita protocollare. Era quasi l’ora del pranzo e lui se ne andava e, mentre andavo a congedarlo, domandai: “Ma dove va a pranzare lei?”. Non so che cosa mi ha detto… “Venga, pranziamo insieme”. È stata una cosa da dentro. Poi, seduti a tavola, lui, il suo segretario, due consiglieri, io, il mio segretario, il mio consigliere, abbiamo preso il pane, lo abbiamo spezzato e lo abbiamo dato uno all’altro: un gesto di amicizia, offrire il pane. È stato un pranzo molto bello, molto fraterno. E verso la fine, non so a chi è venuta l’idea: “Perché non facciamo uno scritto su questo incontro?”. Così è nato il Documento di Abu Dhabi. Si sono messi a lavorare i due segretari, con una bozza che va, una bozza che torna, una che va e una che torna… E alla fine abbiamo approfittato dell’incontro ad Abu Dhabi per pubblicarlo. È stata una cosa di Dio, non si può capire altrimenti, perché nessuno di noi aveva in mente questo. È uscito durante un pranzo amichevole, e questa è una cosa grande.
Poi ho continuato a pensare, e il Documento di Abu Dhabi è stata la base di Fratelli tutti. Anche quello che ho scritto dopo sull’amicizia umana nella Fratelli tutti, ha la sua base nel Documento di Abu Dhabi. Credo che non si può pensare una strada del genere senza pensare a una speciale benedizione del Signore su questo cammino. Voglio dirlo per giustizia, mi sembra giusto che voi sappiate come il Signore ha ispirato questa strada. Io non sapevo neppure come si chiamava il Grande Imam, e poi siamo diventati amici e abbiamo fatto una cosa come due amici. E adesso abbiamo parlato insieme, ogni volta che ci incontriamo. Questo riguardo al Documento, che è attuale, e si sta lavorando per farlo conoscere.
Poi, sul Libano. Il Libano è un dolore per me, perché il Libano non è solo un Paese [da vedere] in sé stesso – lo ha detto un Papa prima di me – il Libano non è solo un Paese, è un messaggio. Il Libano ha una significanza molto grande per tutti noi. E il Libano in questo momento soffre. Io prego. E ne approfitto per fare un appello ai politici libanesi: lasciate da parte gli interessi personali, guardate il Paese e mettetevi d’accordo. Prima Dio e la patria, poi gli interessi. Ma prima Dio e la patria. In questo momento non voglio dire: “Salvate il Libano”, perché noi non siamo salvatori, ma per favore sostenete il Libano, aiutatelo, affinché il Libano si fermi in questa strada che va giù, che il Libano riprenda la sua grandezza. Ci sono dei mezzi… C’è la generosità del Libano: quanti rifugiati politici ha il Libano! È così generoso, e sta soffrendo. Ne approfitto per chiedervi una preghiera per il Libano. Anche la preghiera è un’amicizia. Voi siete giornalisti, guardate il Libano e parlate di questo per far crescere la coscienza. Questo voglio dirti. Grazie.
Matteo Bruni
Grazie Santità, la terza domanda viene da Carol Glatz, del Catholic News Service.
Carol Glatz (CNS)
Grazie, Santo Padre. Durante questo viaggio in Bahrein ha parlato dei diritti fondamentali, inclusi quelli della donna, della sua dignità, del diritto ad avere il suo spazio nella sfera sociale e pubblica e ha incoraggiato, come sempre, i giovani ad avere coraggio, a fare rumore; ad andare avanti per costruire un mondo più giusto. Data la situazione qui vicino in Iran, con le proteste scatenate da alcune donne e da tanti giovani che vogliono più libertà, lei appoggia questo impegno delle donne e degli uomini che chiedono di avere diritti fondamentali che si trovano anche nel documento della fraternità umana?
Papa Francesco
Dobbiamo dirci la verità: la lotta per i diritti della donna è una lotta continua. Perché in alcuni posti la donna arriva ad avere un’uguaglianza con gli uomini, ma in altri posti non si arriva. Non è così? Io ricordo negli anni ‘50 nel mio Paese, quando c’è stata la lotta per i diritti civili delle donne, perché le donne potessero votare – perché fino al ’50, più o meno, da noi solo gli uomini votavano. E penso a questa stessa lotta negli Stati Uniti, famosa, per il voto femminile. Ma perché – mi domando – la donna deve lottare così per mantenere i suoi diritti? C’è una… – non so se è una leggenda – una leggenda sull’origine dei gioielli nella donna, che ci spiega la crudeltà di tante situazioni contro la donna. Si dice che la donna porta tanti gioielli perché in qualche Paese – non ricordo, forse è storico – c’era l’abitudine che quando il marito si stufava della donna, le diceva “vattene!”, e lei non poteva rientrare a prendere niente. Doveva andarsene con quello che aveva addosso. E per questo accumulavano oro almeno per portarsi via qualcosa. Dicono che questa è l’origine dei gioielli. Non so se è vero o no, ma l’immagine ci aiuta.
I diritti sono fondamentali. Come mai oggi, oggi!, nel mondo non possiamo fermare la tragedia della infibulazione alle ragazzine? Ma è terribile questo! Oggi! Che ci sia questa pratica, che l’umanità non riesca a fermare questo che è un crimine, un atto criminale! Le donne, secondo due commenti che ho sentito, o sono materiale “usa e getta” – è brutto! – o una “specie protetta”. Ma l’uguaglianza tra uomini e donne ancora non si trova universalmente. E ci sono questi episodi, in cui le donne sono di seconda classe o di meno. Dobbiamo continuare a lottare per questo, perché le donne sono un dono. Dio non ha creato l’uomo e poi gli ha dato un cagnolino per divertirsi. No! Li ha creati due, uguali: uomo e donna. E quello che Paolo ha scritto in una delle sue Lettere sul rapporto uomo-donna, che oggi ci sembra antiquato, in quel momento è stato così rivoluzionario da scandalizzare: la fedeltà dell’uomo alla donna, e che l’uomo “si prenda cura della donna come della propria carne” (cfr 2 Cor 5,28-29). E questo in quel momento è stata una cosa rivoluzionaria! Tutti i diritti della donna vengono da questa uguaglianza. E una società che non è capace di mettere la donna al suo posto non va avanti. Ne abbiamo l’esperienza.
Nel libro che ho scritto, Torniamo a sognare, la parte sull’economia per esempio: ci sono donne economiste in questo momento nel mondo che hanno cambiato la visione economica e sono capaci di portarla avanti. Perché hanno un dono diverso. Sanno gestire le cose in un altro modo, che non è inferiore, è complementare. Una volta ho avuto un colloquio con una Capo di governo, una grande Capo di governo, una mamma di parecchi figli, che aveva avuto un successo molto grande per risolvere una situazione molto difficile. E io le domandai: “Mi dica Signora, come ha fatto Lei per risolvere una situazione così difficile?”. E lei ha cominciato a muovere le mani così, in silenzio, e mi ha detto: “Come facciamo noi mamme”. La donna per risolvere il problema ha una strada propria, che non è quella dell’uomo. E ambedue le strade devono lavorare insieme: la donna uguale all’uomo lavora per il bene comune con quella intuizione che hanno le donne. Ho visto che in Vaticano, ogni volta che una donna entra a fare un lavoro, le cose migliorano. Per esempio, la Vice Governatrice del Vaticano [Segretaria Generale del Governatorato] è una donna, e le cose sono cambiate bene. Nel Consiglio per l’Economia sono sei Cardinali e sei laici, tutti maschi: ho cambiato e come laici ho messo un maschio e cinque donne. E questa è una rivoluzione, perché le donne sanno trovare una strada giusta, sanno andare avanti. E adesso ho messo Marianna Mazzuccato nella Pontificia Accademia per la Vita, una grande economista degli Stati Uniti, per dare un po’ più di umanità. Le donne portano il proprio. Non devono diventare come i maschi, no, sono donne, noi ne abbiamo bisogno. E una società che cancella le donne dalla vita pubblica è una società che si impoverisce. Si impoverisce. Uguaglianza di diritti, sì, ma anche uguaglianza di opportunità, uguaglianza nell’andare avanti, perché al contrario ci si impoverisce. Credo che con questo ti ho detto globalmente quello che si deve fare. E ancora c’è strada da fare perché c’è questo maschilismo. Io vengo da un popolo maschilista. Noi argentini siamo maschilisti, sempre. E questo è brutto! E quando ci vuole, andiamo dalle mamme che sono quelle che risolvono i problemi. Ma questo maschilismo uccide l’umanità. Grazie per avermi dato l’opportunità di dire questo, che porto tanto nel cuore. Lottiamo non solo per i diritti, ma perché c’è bisogno di avere donne nella società che ci aiutino, ci aiutino a cambiare. Grazie.
Matteo Bruni
Grazie, Santità. Un’altra domanda viene da Antonio Pelayo, di Vida Nueva
Antonio Pelayo (Vida Nueva)
Santo Padre, l’unica volta che in questo viaggio Lei ha parlato a braccio è stato per riferirsi alla “martoriata Ucraina” e ai “negoziati di pace”. Io vorrei domandarle se ci può dire qualche cosa su come stanno andando questi negoziati dalla parte vaticana; e un’altra domanda complementare: Lei ha parlato ultimamente con Putin o ha intenzione di farlo prossimamente?
Papa Francesco
Bene. Prima di tutto, il Vaticano è continuamente attento, la Segreteria di Stato lavora e lavora bene, lavora bene. So che il Segretario [per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali], Mons. Gallagher, si muove bene. Poi, un po’ di storia. Il giorno dopo l’inizio della guerra – ho pensato che questo non si potesse fare, una cosa insolita –, sono andato all’Ambasciata russa [presso la Santa Sede], a parlare con l’Ambasciatore, che è un bravo uomo, che conosco da sei anni, da quando è arrivato, un umanista. Ricordo un commento che mi fece allora: “Nous sommes tombés dans la dictature de l’argent” (Siamo caduti nella dittatura del denaro), parlando della civilizzazione. Un umanista, un uomo che lotta per l’uguaglianza. Gli ho detto che ero disposto ad andare a Mosca per parlare con Putin, se ce ne fosse bisogno. Mi ha risposto molto cortesemente [il Ministro degli Esteri] Lavrov: grazie, ha risposto, ma per il momento non era necessario. Ma da quel momento ci siamo interessati tanto. Ho parlato tre volte al telefono con il Presidente Zelensky; poi con l’Ambasciatore ucraino alcune volte in più. E si fa un lavoro di avvicinamento, per cercare soluzioni. La Santa Sede fa quello che deve fare anche nei confronti dei prigionieri… Sono cose che si fanno sempre, la Santa Sede sempre le ha fatte, sempre. E poi la predicazione per la pace. A me colpisce – per questo uso la parola “martoriata” per l’Ucraina – la crudeltà, che non è del popolo russo, perché il popolo russo è un popolo grande, ma è dei mercenari, dei soldati che vanno a fare la guerra come fare un’avventura: i mercenari. Preferisco pensarla così, perché ho un’alta stima del popolo russo, dell’umanesimo russo. Basta pensare a Dostoevskij che ancora oggi ci ispira, ispira i cristiani a pensare il cristianesimo. Ho un grande affetto per il popolo russo. E ho un grande affetto anche per il popolo ucraino. Quando avevo undici anni, c’era vicino un prete ucraino che celebrava e non aveva chierichetto, e ha insegnato a me a servire la Messa in ucraino. Tutti questi canti ucraini io li so nella lingua loro, perché li ho imparati da bambino, per cui ho un affetto molto grande per la liturgia ucraina. Sono in mezzo a due popoli a cui voglio bene.
Ma non solo io, la Santa Sede ha fatto tanti incontri riservati, tante cose con buon esito. Perché non possiamo negare che una guerra, all’inizio, forse ci fa coraggiosi, ma poi stanca e fa male e si vede il male che fa una guerra. Questo riguardo alla parte più umana, più vicina.
Poi, approfittando di questa domanda: vorrei esprimere questo lamento: in un secolo, in un secolo tre guerre mondiali! Quella 1914-1918, quella 1939-1945, e questa! Perché questa è una guerra mondiale. Perché è vero che quando gli imperi, sia da una parte che dall’altra, si indeboliscono, hanno bisogno di fare una guerra per sentirsi forti e anche per vendere le armi! Perché oggi credo che la calamità più grande, la più grande che c’è nel mondo è l’industria delle armi. Mi hanno detto, non so se è vero o no, che se per un anno non si facessero le armi, potrebbe finire la fame nel mondo. L’industria delle armi è terribile. Alcuni anni fa, tre o quattro, è venuta da un Paese una nave piena di armi, a Genova, e si doveva passare le armi su una nave più grande per portarle allo Yemen. Gli operai di Genova non hanno voluto farlo… È stato un gesto. Lo Yemen: più di dieci anni di guerra. I bambini dello Yemen non hanno da mangiare! E i rohingya, “zingarando” da una parte all’altra perché sono stati espulsi, sempre in guerra, in Myanmar: è terribile quello che sta succedendo. Adesso, spero che oggi in Etiopia si fermi qualcosa, con un trattato… Stiamo in guerra dappertutto e noi non capiamo questo. Adesso ci tocca da vicino, in Europa, la guerra russo-ucraina. Ma dappertutto, da anni: in Siria dodici-tredici anni di guerra, e nessuno sa se ci sono prigionieri e che cosa succede lì dentro. Poi il Libano, abbiamo parlato di questa tragedia… Non so se questo l’ho detto qualche volta a voi: quando sono andato a Redipuglia, nel 2014 – e mio nonno aveva fatto il Piave e mi ha raccontato che cosa succedeva lì – ho visto quelle tombe, tutti giovani, io ho pianto, ho pianto, non ho vergogna a dirlo. Poi un 2 novembre – vado sempre in un cimitero il 2 novembre – sono andato ad Anzio, alcuni anni dopo, e ho visto la tomba di quei ragazzi americani, nello sbarco di Anzio: 19, 20, 22, 23 anni, e ho pianto, davvero, mi è venuto dal cuore. E ho pensato alle mamme, quando bussano alla loro porta: “Signora, una busta per lei”. Apre la busta: “Signora ho l’onore di dirle che lei ha un figlio eroe della Patria”. Le tragedie della guerra. Poi, una cosa che, non voglio sparlare di nessuno, ma mi ha toccato il cuore: quando si è fatta la commemorazione dello sbarco in Normandia, c’erano i Capi di tanti Governi per commemorare questo. È vero, è stato l’inizio della caduta del nazismo, è vero. Ma quanti ragazzi sono rimasti sulla spiaggia della Normandia? Dicono trentamila. Chi pensa a quei ragazzi? La guerra semina tutto questo. Per questo, voi che siete giornalisti, per favore, siate pacifisti, parlate contro le guerre, lottate contro la guerra. Ve lo chiedo come un fratello. Grazie.
Matteo Bruni
Grazie, Santità, per queste Sue parole. Un’altra domanda viene da Hugues Lefèvre di I.Media, giornalista francese.
Hugues Lefèvre (I.Media)
Grazie, Santo Padre. Questa mattina nel suo discorso al clero del Bahrein, Lei ha parlato dell’importanza della gioia cristiana, ma nei giorni scorsi molti fedeli francesi hanno perso questa gioia quando hanno scoperto sulla stampa che la Chiesa aveva tenuto segreta la condanna nel 2021 di un Vescovo, ora in pensione, che aveva commesso abusi sessuali negli anni ‘90 mentre era sacerdote; quando questa storia è uscita sulla stampa, cinque nuove vittime si sono presentate. Oggi molti cattolici desiderano sapere se la cultura della segretezza della giustizia canonica debba cambiare e diventare trasparente, e vorrei sapere se Lei pensa che le sanzioni canoniche debbano essere rese pubbliche. Grazie.
Papa Francesco
Grazie a te per la domanda, grazie. Vorrei cominciare con un po’ di storia su questo. Il problema degli abusi c’è sempre stato, sempre, non solo nella Chiesa. Dappertutto. Voi sapete che il 42-46% degli abusi sessuali si fa in famiglia o nel quartiere: questo è gravissimo. Ma sempre l’abitudine è stata quella di coprire. In famiglia ancora oggi si copre tutto, e anche nel quartiere si copre tutto o almeno la maggior parte. È un’abitudine brutta che nella Chiesa è cominciata a cambiare quando c’è stato lo scandalo di Boston, del Cardinale Law, che era Cardinale lì e ora è morto. Per quello scandalo il cardinale Law ha dato le dimissioni: è la prima volta che è uscito così, come scandalo. E da lì la Chiesa ha preso conoscenza di questo e ha cominciato a lavorare, mentre nella società normalmente si copre, normalmente, in altre istituzioni.
Quando c’è stato l’incontro dei presidenti delle Conferenze episcopali, ho chiesto all’Unicef, alle Nazioni Unite, le statistiche e ho dato loro le percentuali: quale percentuale nelle famiglie, quale nei quartieri – la maggioranza –, quanto nelle scuole, nell’attività dello sport… È una cosa che hanno studiato bene, e anche nella Chiesa. Viene qualcuno a dire: “Siamo una minoranza”. Ma se fosse uno solo è tragico, è tragico, perché tu sacerdote hai la vocazione di far crescere la gente e con questo tu la distruggi. Per un sacerdote è come andare contro la propria natura sacerdotale, anche contro la propria natura sociale. Per questo è una cosa tragica e non dobbiamo fermarci, non dobbiamo fermarci.
In questo svegliarsi per fare le indagini e le accuse, non sempre la cosa è stata uguale: alcune cose sono state nascoste. Prima dello scandalo Law di Boston si cambiavano le persone… Adesso è tutto chiaro e stiamo andando avanti su questo punto. Per questo non dobbiamo stupirci che vengano fuori casi come questo. O un altro vescovo mi viene in mente… Ce ne sono, sai? E non è facile dire “noi non lo sapevamo” o “era la cultura dell’epoca e continua ad essere la cultura sociale di tanti, nascondere”. Ti dico questo: la Chiesa su questo è decisa, e voglio ringraziare pubblicamente qui l’eroicità del Cardinale O’Malley: è un bravo Cappuccino, che ha visto il bisogno di istituzionalizzare questo lavoro con la Commissione per la tutela dei minori; lo sta portando avanti bene, e fa bene a tutti noi e ci dà coraggio.
Stiamo lavorando con tutto quello che possiamo, ma sappi che ci sono persone dentro la Chiesa che ancora non la vedono chiara, non condividono così: “Aspettiamo un po’, vediamo…”. È un processo che stiamo facendo con coraggio e non tutti abbiamo coraggio. A volte, la tentazione dei compromessi ti viene, e siamo tutti schiavi dei nostri peccati. Ma la volontà della Chiesa è di chiarire tutto.
Per esempio: ho ricevuto negli ultimi mesi due lamentele di abusi che erano stati coperti e non giudicati bene dalla Chiesa. Subito ho detto: si studi di nuovo, e si sta facendo un nuovo giudizi. Anche questo: revisione di giudizi vecchi, non ben fatti. Facciamo quello che possiamo, siamo peccatori. E la prima cosa che dobbiamo sentire è la vergogna, la profonda vergogna di questo. Credo che la vergogna è una grazia, sai? Possiamo lottare contro tutti i mali del mondo, ma senza vergogna non potremo. Per questo mi ha stupito quando Sant’Ignazio, negli Esercizi, ti fa chiedere perdono dei peccati che hai fatto, ti fa arrivare fino alla vergogna, e se tu non hai la grazia della vergogna non puoi andare avanti. Uno degli insulti che abbiamo nella mia terra è “tu sei uno senza vergogna”, e credo che la Chiesa non può essere “senza vergogna”, che debba vergognarsi delle cose brutte, come certo dare grazie a Dio per le cose buone che fa. Questo ti devo dire: tutta la buona volontà e andare avanti, anche con l’aiuto vostro.
Matteo Bruni
Grazie, Santità. L’altra domanda viene da Vania De Luca, della Rai.
Vania De Luca (Rai-Tg3)
Santità, i migranti: ne ha parlato Lei anche in questi giorni. Quattro navi al largo della Sicilia, con centinaia di donne, uomini, bambini in difficoltà, ma non tutti possono sbarcare. Lei teme che in Italia sia tornata una politica dei “porti chiusi” dal centrodestra? E come valuta su questo la posizione anche di alcuni Paesi del Nord Europa? E poi, Le volevo domandare anche in generale: che impressione, che giudizio ha sul nuovo Governo italiano, che per la prima volta è guidato da una donna?
Papa Francesco
È una sfida, è una sfida sui migranti. Il principio per i migranti: i migranti vanno accolti, accompagnati, promossi e integrati. Se non si possono fare questi quattro passi, il lavoro con i migranti non riesce ad essere buono. Accolti, accompagnati, promossi e integrati: arrivare fino all’integrazione. E la seconda cosa che dico: ogni Governo dell’Unione Europea deve mettersi d’accordo su quanti migranti può ricevere. Perché al contrario sono quattro i Paesi quelli che ricevono i migranti: Cipro, la Grecia, l’Italia e la Spagna, perché sono quelli del Mediterraneo più vicini. Nell’entroterra ce ne sono alcuni, come la Polonia, la Bielorussia… Ma la maggior parte dei migranti viene dal mare. La vita va salvata! Oggi, tu lo sai, il Mediterraneo è un cimitero, forse il cimitero più grande del mondo.
Credo che l’ultima volta vi ho detto che ho letto un libro in spagnolo che si chiama Hermanito, è piccolino, si legge rapidamente, credo sia stato sicuramente tradotto in francese, in italiano pure. Si legge subito, in due ore. È la storia di un ragazzo dell’Africa, non so, della Tanzania o di dov’era, che seguendo le tracce del suo fratello è arrivato in Spagna. Cinque schiavitù ha subito, prima d’imbarcarsi! E molte persone, lui lo racconta, le portano di notte a quelle barche – non alle navi grandi che hanno un altro ruolo – e se non vogliono salire: pum, pum!, e li lasciano sulla spiaggia. È davvero una dittatura, le schiavitù, ciò che fa quella gente [i trafficanti]. E poi, il rischio di morire in mare. Se hai tempo leggi questo, è importante.
La politica dei migranti va concordata fra tutti i Paesi: non si può fare una politica senza consenso, e l’Unione Europea su questo deve prendere in mano una politica di collaborazione e di aiuto, non può lasciare a Cipro, alla Grecia, all’Italia, alla Spagna la responsabilità di tutti i migranti che arrivano alle spiagge. La politica dei Governi fino a questo momento è stata di salvare le vite, questo è vero. Fino a un certo punto si è fatto così; e credo che questo Governo [italiano] abbia la stessa politica, non è inumano… I dettagli non li conosco, ma non penso che voglia che vadano via. Credo che ha fatto sbarcare già i bambini, le mamme, i malati, credo che li abbia fatti sbarcare – credo, per quello che ho sentito. Almeno l’intenzione c’era. L’Italia, pensiamo qui, questo Governo, o pensiamo una sinistra, non può fare nulla senza l’accordo con l’Europa, la responsabilità è europea.
E poi, vorrei citare una cosa, un’altra responsabilità europea: l’Africa. Credo che questo l’ha detto una delle grandi donne statiste che abbiamo avuto e abbiamo, la Merkel: ha detto che il problema dei migranti va risolto in Africa. Ma se pensiamo all’Africa con il motto “l’Africa va sfruttata”, è logico che i migranti, la gente scappi da quello sfruttamento. Dobbiamo, l’Europa deve cercare di fare dei piani di sviluppo per l’Africa. Pensare che alcuni Paesi in Africa non sono padroni del proprio sottosuolo, che ancora dipende dalle potenze colonialiste! È un’ipocrisia risolvere il problema dei migranti in Europa, no, andiamo a risolverli anche a casa loro. Lo sfruttamento della gente in Africa è terribile a causa di questa concezione. Il primo novembre, il giorno dei Santi, ho avuto un incontro con studenti universitari dell’Africa, lo stesso che ho avuto con gli studenti della Loyola University degli Stati Uniti. Quegli studenti hanno una capacità, un’intelligenza, una criticità, una voglia di portare avanti! Ma a volte non possono per la forza colonialista che ha l’Europa verso i loro Governi. Se vogliamo risolvere il problema dei migranti definitivamente, risolviamo l’Africa. I migranti che vengono da altre parti sono di meno; andiamo all’Africa, aiutiamo l’Africa, andiamo avanti.
Il nuovo Governo incomincia adesso, e io sono qui ad augurargli il meglio. Sempre auguro il meglio a un governo perché il governo è per tutti. E gli auguro il meglio perché possa portare l’Italia avanti; e agli altri, che sono contrari al partito vincitore, che collaborino con la critica, con l’aiuto, ma un governo di collaborazione, non un governo dove ti voltano la faccia, ti fanno cadere se non ti piace una cosa o l’altra. Per favore, su questo chiamo alla responsabilità. Dimmi: è giusto che dall’inizio del secolo fino ad ora l’Italia abbia avuto venti governi? Finiamola con questi scherzi!
Matteo Bruni
Facciamo l’ultima domanda, di Ludwig Ring-Eifel, dall’Agenzia di stampa cattolica tedesca.
Ludwig Ring-Eifel (Centrum informationis Catholicum),
Anch’io voglio prima di tutto dire qualcosa di personale, perché mi sento molto emozionato, perché dopo una pausa di otto anni sono di nuovo sul volo papale. Sono molto grato di essere qui di nuovo.
Papa Francesco
Bentornato!
Ludwig Ring-Eifel
Grazie, ben trovato. Noi nel gruppo tedesco siamo pochi, solo tre in questo volo, abbiamo pensato: come si può fare una connessione tra quello che abbiamo visto nel Bahrein e la situazione in Germania? Perché in Bahrein abbiamo visto una Chiesa piccola, un piccolo gregge, una Chiesa povera, con tante tante restrizioni eccetera, però una Chiesa vivace, piena di speranza, che cresce. In Germania, invece, abbiamo una Chiesa grande, con grandi tradizioni, ricca, con teologia, soldi e tutto quanto, che però perde ogni anno trecentomila credenti che se ne vanno, che sta in crisi profonda. C’è qualcosa da imparare da questo piccolo gregge che abbiamo visto in Bahrein per la grande Germania?
Papa Francesco
La Germania ha una vecchia storia religiosa. Citando Hölderlin direi: “Vieles haben sie verlernt, vieles” (Molto hanno disimparato, molto). La vostra storia religiosa è grande e complicata, di lotte. Ai cattolici tedeschi dico: la Germania ha una grande e bella Chiesa Evangelica; io non ne vorrei un’altra, che non sarà tanto buona come quella; ma la voglio Cattolica, alla cattolica, in fratellanza con quella Evangelica. A volte si perde il senso religioso del popolo, del santo popolo fedele di Dio, e cadiamo nelle discussioni eticiste, nelle discussioni di congiuntura, nelle discussioni politiche ecclesiastiche, nelle discussioni che sono conseguenze teologiche, ma non sono il nocciolo della teologia. Cosa pensa il santo popolo fedele di Dio? Come sente il santo popolo di Dio? Andare lì a cercare cosa pensa, come sente, quella religiosità semplice, che trovi nei nonni. Non dico di tornare indietro, no, ma alla fonte di ispirazione, alle radici. Tutti noi abbiamo una storia di radici della fede, anche i popoli l’hanno: bisogna ritrovarla! Mi viene in mente quella frase di Hölderlin per la nostra età: “Dass dir halte der Mann, was er als Knabe gelobt” (Il vecchio mantenga quello che ha promesso da fanciullo”. Nella nostra fanciullezza, nella nostra speranza noi abbiamo promesso tante cose, tante cose. Adesso ci mettiamo in discussioni etiche, in discussioni congiunturalistiche… Ma la radice della religione è lo “schiaffo” che ti dà il Vangelo, l’incontro con Gesù Cristo vivo: e da lì le conseguenze, tutte; da lì il coraggio apostolico, da lì l’andare alle periferie, anche alle periferie morali della gente, per aiutarla; ma sempre dall’incontro con Gesù Cristo. Se non c’è l’incontro con Gesù Cristo ci sarà un eticismo travestito da cristianesimo. Questo volevo dire, dal cuore. Grazie.
Vi auguro un buon pranzo e un buon arrivo a Roma. E vi chiedo di pregare per me. Io lo farò per voi. Grazie per la vostra collaborazione.