La professoressa María Elisabeth de los Ríos Uriarte, ricercatrice della Facoltà di bioetica dell’Università Anáhuac del Messico, propone ai lettori di Exaudi il suo articolo sul primo anniversario dell’enciclica di Papa Francesco Fratelli Tutti sulla fraternità e l’amicizia sociale firmata il 3 ottobre 2020. Un invito a sognare il sogno del Padre.
È passato un anno da quando Papa Francesco ha firmato ad Assisi, l’enciclica Fratelli Tutti e lo ha fatto ancora in un contesto di forti conseguenze sociali, economiche ed emotive derivate dalla crisi sanitaria mondiale per il coronavirus.
Un anno di eventi
Da allora sono accadute molte cose che vanno dalla scoperta del vaccino contro il SARS-CoV2, che a molti paesi ha fatto tirare il fiato dando un pizzico di speranza, fino agli scontri continui e non simmetrici tra Israele e Palestina, l’esplosione in Libano che è costata tante vite, l’ondata di migranti sulle coste di Ceuta in Spagna e in Centroamerica, i disordini sociali a Cuba, gli arresti arbitrari in Nicaragua, le migrazioni forzate in Chiapas, in Messico, e il ritorno del governo talebano in Afghanistan, per menzionarne alcune. Ogni fatto è avvenuto a diverse latitudini e ciascuno separatamente. Sembrerebbe che se non fosse per la crisi condivisa del coronavirus, gli esseri umani non rinuncerebbero al proprio spazio individuale per condividerlo con gli altri; sembrerebbe che, a un anno di distanza, abbiamo fatto l’esatto contrario di quanto proposto nell’enciclica.
Affrontare le emergenze che si presentano in ogni regione è importante ma lo è ancora di più costruire un orizzonte comune, sognare insieme e che in questo sogno ci entriamo tutti.
Oggi è necessario aprire i cuori e non rabbrividire solo per le proprie tragedie ma anche per quelle comunitarie e per quelle mondiali, e l’unico modo di risvegliare questa sensibilità è pensare e gestire una comunità aperta e fraterna tra tutti e non “contro tutti” (FT, 36). Ciascuna delle crisi citate è e deve sempre essere una crisi di tutti, non solo di alcuni.
Contemplare l’altro come come prossimo
Tutto questo è possibile se si contempla l’altro non come estraneo ma come prossimo e, anche, facendosi prossimi all’altro (FT, 81). Questa pandemia ci ha reso estranei gli uni agli altri e abbiamo imparato a guardarci in lontananza, con sospetto e perfino discriminando chi era contagiato e, in qualche modo, ci ha fatto diventare indifferenti davanti alla sofferenza del fratello malato.
In questa ripresa della vita dopo la pandemia, risulta necessario girarci a vedere chi è caduto lungo il cammino e cambiare lo sguardo autoreferenziale con quello capace di accogliere, curare, offrire il proprio tempo e ristabilire.
Cosa deve succedere affinché ci facciamo prossimi di quelli che oggi sono estranei?
L’idea di progresso propria della modernità ci ha lasciato in eredità una fretta che non è conciliabile con la cultura dell’incontro. Il progresso si misura in risultati quantificabili, in ricchezze e accumulo di beni; la cultura dell’incontro, invece, si misura nella profondità del cuore capace di sentirsi connesso con il cuore di molti altri al di là delle nazionalità e delle frontiere.
La logica dell’amore
Costruire questi legami fraterni deve dunque passare attraverso il superamento della logica del progresso lineare e collocarsi nella logica dell’amore perché “l’altezza spirituale di una vita umana è segnata dall’amore” (FT, 92). In questa logica, quando si ama, siamo lanciati verso un orizzonte di comprensione universale che è anche esistenziale (FT, 97).
È dunque, questo vissuto esistenziale dell’amore che si traduce in amicizia sociale tra nazioni quello che ci salva dal restare sommersi nei propri problemi e indifferenti di fronte ai problemi degli altri. Questa amicizia sociale è quella che spinge all’aiuto tra nazioni nel campo dei vaccini, perché esiste ancora un gap molto grande tra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo in questo ambito, ancor più quando sappiamo che solo l’1.1% della popolazione in questi paesi è stata vaccinata.
Gratuità
Le azioni di fraternità e solidarietà condivise non aumentano le ricchezze e ancora meno sono redditizie ma aprono il cuore e permettono di pensare a un mondo meno disuguale, basato sul valore di ogni persona e non sulla sua utilità sociale. Investire sui poveri non sarà mai redditizio ma sarà sempre trasformante, così come ci ha insegnato il movimento sociale, filosofico, culturale e teologico della cosiddetta Economia di Francesco, così presente e vivida anche nell’anno appena trascorso.
Avere un cuore aperto non obbedisce ha una transazione monetaria né a un contratto di diritto ma alla gratuità. Si accoglie per gratuità e non per utilità.
Questi cambi comportano nelle persone, come negli Stati, un’evoluzione graduale dal dentro al fuori, dall’io all’altro. Però, cosa incoraggia questo passaggio? La sola umanità sembra troppo concentrata su se stessa e sui suoi beni e piaceri; è necessario, dunque, un ingrediente ulteriore che spinga alla donazione disinteressata, all’abbandono delle proprie sicurezze e alla dimenticanza di sé. Questo bisogna cercarlo in quello che ci rende fratelli al di sopra delle nostre differenze, naturali o ideologiche, è qualcosa che va oltre le nostre carenze e i nostri limiti umani, è qualcosa che muove, ispira, motiva e spinge.
L’orizzonte della fede
Il laccio che ci unisce è basato sull’orizzonte della fede e di una fede che conferma che siamo, tutti, figlie e figli dello stesso Padre e in questo si differenzia la solidarietà dalla fraternità. Mentre la prima affonda le sue radici nella volontà umana, la seconda lo fa nella fede e nella speranza divine.
Sapersi fratelli gli uni degli altri fornisce quella sicurezza di condividere la stessa casa e di essere amorevolmente curati dal Padre. È confidare sul fatto che nessuno resterà indietro se tutti ci identifichiamo come fratelli.
Il sogno di un progetto comune
Da qui è possibile sognare ed elaborare un progetto comune (FT, 150). Tale progetto richiede uomini e donne nuovi, capaci di vivere in modo diverso, sempre in uscita e con una donazione totale e fiduciosa. Sognare il sogno dell’altro e che l’altro sogni il mio significa sognare il sogno del Padre insieme, tutti, come fratelli. Abbiamo già sperimentato la fragilità e la disuguaglianza, abbiamo già sofferto e ci hanno già sferzato le sciagure locali e globali; adesso non ci resta, a partire dalle rovine del nostro egoismo, che costruire un albergo condiviso.