A Torino, in Italia, è conservato un lenzuolo che la tradizione attribuisce alla sepoltura di Gesù: la Sacra Sindone. Negli ultimi anni questo telo è stato sottoposto a numerose indagini scientifiche. Ne abbiamo parlato con la prof.ssa Emanuela Marinelli, autrice di numerosi libri sull’argomento; recentemente è uscito Via Sindonis (Edizioni Ares), scritto con il teologo Don Domenico Repice.
Professoressa, può spiegarci il titolo del suo libro, Via Sindonis?
Sulla Sindone, oltre alle vistose tracce di bruciature dovute a un incendio del 1532, è visibile l’impronta in negativo del corpo che vi fu avvolto e le macchie del suo sangue, che alle analisi è risultato vero sangue umano, decalcatosi dalle ferite del cadavere in un tempo valutato attorno alle 36-40 ore. È un uomo che ha ricevuto circa 120 frustate, il suo capo è stato coperto da un casco di spine, il volto presenta gonfiori dovuti a percosse e cadute, le spalle hanno trasportato una trave ruvida che era la traversa della croce, i polsi e i piedi sono stati trafitti dai chiodi della crocifissione, il suo fianco destro è stato ferito con abbondante fuoruscita di sangue e siero.
Attraverso l’analisi medico-legale dell’immagine presente sulla Sindone possiamo ricostruire le ultime ore di vita dell’uomo che fu avvolto nel lenzuolo e tutto coincide con quanto descritto nei Vangeli, come una vera e propria Via Crucis sindonica. Per questo è nato il titolo Via Sindonis.
I Vangeli parlano della Sindone?
Certamente. I tre Vangeli sinottici parlano proprio dell’acquisto di un lenzuolo (in greco sindon) da parte di Giuseppe d’Arimatea, membro autorevole del Sinedrio, il quale ebbe il coraggio di chiedere a Ponzio Pilato il corpo di Gesù per dargli degna sepoltura. Giovanni scrive che Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, un altro membro del Sinedrio, avvolgono il corpo di Gesù con teli, insieme ad aromi. Nicodemo ne aveva portati trenta chili. È una sepoltura onorifica di alto livello che la Sindone conferma pienamente. Sulla reliquia sono presenti tracce di aloe e mirra; inoltre sono numerosi i pollini di provenienza mediorientale. La palinologa Marzia Boi ha individuato alcuni pollini che provengono dalle piante più usate per realizzare costosi balsami, che venivano impiegati negli antichi riti funerari del Medio Oriente. Per questo la Boi afferma che il corpo avvolto nella Sindone è stato trattato con l’onore di un re.
La Sindone era l’ordinario lenzuolo funebre che si usava per tutti i defunti?
Per i condannati alla morte in croce non c’era alcuna sepoltura in un lenzuolo. Di solito nessuno aveva il coraggio di chiedere il corpo all’autorità romana, esponendosi come amico o parente di un malfattore. Questo crocifisso, al contrario, non solo ha avuto una sepoltura con un lenzuolo, ma con un lenzuolo di grandissimo pregio, a spina di pesce. Solo una persona facoltosa come Giuseppe d’Arimatea poteva permettersi un acquisto di questo livello.
E dove può averlo comprato?
Tessuti di lino finissimo, chiamato bisso, erano reperibili a Gerusalemme nel Tempio per le vesti dei sacerdoti. Queste preziose stoffe provenivano anche dall’India. Nella Mishnah, la dottrina tradizionale giudaica postbiblica, si legge che nel pomeriggio dello Yom Kippur il Sommo Sacerdote si vestiva di pregiato lino indiano. Per la sepoltura di Gesù può essere stato usato uno di questi preziosi lini disponibili nel Tempio di Gerusalemme. Un genetista dell’Università di Padova, Gianni Barcaccia, ha identificato su campioni sindonici notevoli tracce di DNA tipico delle popolazioni dell’India (38,7%). Il DNA dell’Europa è solo il 5,7%. Sono state trovate cospicue tracce anche di DNA mediorientale (55,6%).
Come è giunta fino a noi la Sindone?
Secondo alcune fonti, a Edessa, nel sud-est dell’attuale Turchia, era conservato un Volto di Cristo impresso da lui stesso miracolosamente su un panno. Successivamente si scoprirà che il panno era un lungo telo ripiegato: a questo punto è lecito pensare che si trattasse proprio della Sindone. La sacra immagine nel 944 viene trasferita a Costantinopoli; qui nel 1204 un crociato, Robert de Clari, vede la Sindone esposta nella chiesa di Santa Maria delle Blacherne. Probabilmente fu portata via e trasferita in Francia da Othon de la Roche. Una pronipote di questo crociato sposa un altro crociato, Geoffroy de Charny, che a metà del 1300 possiede la Sindone a Lirey, in Francia. Una sua discendente cent’anni dopo la darà ai Savoia, che l’hanno custodita a Chambéry fino al 1578, quando la trasferirono a Torino.
Tutto sembra convergere verso l’autenticità della Sindone, però l’analisi con il metodo del Carbonio 14 del 1988 colloca l’origine della Sindone fra il 1260 e il 1390 d. C.
L’angolo da cui fu fatto il prelievo del frammento di tessuto da datare è risultato inquinato e rammendato. Era uno dei due angoli che venivano toccati per esporre a mano la Sindone. Nel 2019 l’analisi statistica dei dati grezzi del test radiocarbonico, compiuta dal ricercatore francese Tristan Casabianca, insieme a me e a due statistici dell’Università di Catania, Benedetto Torrisi e Giuseppe Pernagallo, ha definitivamente smentito la validità di quel risultato, in quanto i campioni utilizzati erano disomogenei e non rappresentativi dell’intero lenzuolo. È significativo che la pubblicazione di questa nuova ricerca sia avvenuta proprio su Archaeometry, una rivista della stessa università di Oxford che ospita anche uno dei tre laboratori che datò la Sindone nel 1988.
Rimane un enigma: il corpo avvolto nel lenzuolo, come ha potuto lasciare la sua impronta?
L’immagine del corpo è un ingiallimento della stoffa dovuto a una degradazione del lino, che risulta ossidato e disidratato. Non è stata prodotta con mezzi artificiali. Gli esperimenti più interessanti sono stati condotti presso l’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) di Frascati (Roma), dove alcune stoffe di lino sono state irradiate con un laser a eccimeri, un apparecchio che emette una radiazione ultravioletta ad alta intensità. I risultati, confrontati con l’immagine sindonica, mostrano interessanti analogie e confermano la possibilità che l’immagine sia stata provocata da una radiazione ultravioletta direzionale. L’immagine presente sulla Sindone potrebbe essere stata causata da una luce sprigionatasi dal corpo di Cristo al momento della Resurrezione.
Un’ultima domanda: per chi volesse approfondire la conoscenza della Sindone, esistono corsi di studio?
L’Istituto Scienza e Fede dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum organizza ogni anno un corso per conseguire un Diploma di specializzazione in Studi Sindonici che si può seguire a distanza, a scelta in una di queste tre lingue: italiano, inglese, spagnolo. Coordinatore del Diploma è Padre Rafael Pascual LC. Il programma si trova a questo link: https://www.upra.org/corsi/programma/diploma-in-studi-sindonici/
L’intervista in polacco è stata pubblicata sul settimanale “Niedziela”