Santa Messa nella Solennità dell’Epifania del Signore

Omelia del Santo Padre

Vatican Media

Alle ore 10 di questa mattina, Solennità dell’Epifania del Signore, il Santo Padre Francesco ha presieduto la Santa Messa nella Basilica di San Pietro.

Prima della celebrazione, nella Basilica di San Pietro, Papa Francesco ha salutato le monache benedettine provenienti dall’Argentina che abitano nel Monastero Mater Ecclesiae.

Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione del Santo Vangelo:

Omelia del Santo Padre

I Magi si mettono in viaggio alla ricerca del Re che è nato. Essi sono immagine dei popoli in cammino alla ricerca di Dio, degli stranieri che ora sono condotti sul monte del Signore (cfr Is 56,6-7), dei lontani che adesso possono udire l’annuncio della salvezza (cfr Is 33,13), di tutti gli smarriti che sentono il richiamo di una voce amica. Perché ora, nella carne del Bambino di Betlemme, la gloria del Signore si è rivelata a tutte le genti (cfr Is 40,5) e «ogni uomo vedrà la salvezza di Dio» (Lc 3,6). È il pellegrinaggio umano, di ognuno di noi, dalla lontananza alla vicinanza.

I Magi hanno gli occhi puntati verso il cielo, ma i piedi in cammino sulla terra il cuore prostrato in adorazione. Ripeto: gli occhi puntati verso il cielo, i piedi in cammino sulla terra, il cuore prostrato in adorazione.

Anzitutto, i Magi hanno gli occhi puntati verso il cielo. Sono abitati dalla nostalgia dell’infinito e il loro sguardo è attratto dagli astri celesti. Non vivono guardando la punta dei loro piedi, ripiegati su sé stessi, prigionieri di un orizzonte terreno, trascinandosi nella rassegnazione o nella lamentela. Essi alzano il capo, per attendere una luce che illumini il senso della loro vita, una salvezza che viene dall’alto. E così vedono spuntare una stella, più luminosa di tutte, che li attrae e li mette in cammino. Questa è la chiave che dischiude il significato vero della nostra esistenza: se viviamo rinchiusi nel ristretto perimetro delle cose terrene, se marciamo a testa bassa ostaggi dei nostri fallimenti e dei nostri rimpianti, se siamo affamati di beni e consolazioni mondane – che oggi ci sono e domani non ci saranno più – invece che cercatori di luce e di amore, la nostra vita si spegne. I Magi, che pure sono stranieri e ancora non hanno incontrato Gesù, ci insegnano a guardare in alto, ad avere lo sguardo rivolto al cielo, ad alzare gli occhi verso i monti da dove ci verrà l’aiuto, perché il nostro aiuto viene dal Signore (cfr Sal 121,1-2).


Fratelli e sorelle, gli occhi puntati al cielo! Abbiamo bisogno di aver lo sguardo rivolto verso l’alto anche per imparare a vedere la realtà dall’alto. Ne abbiamo bisogno nel cammino della vita, per farci accompagnare dall’amicizia con il Signore, dal suo amore che ci sostiene, dalla luce della sua Parola che ci guida come stella nella notte. Ne abbiamo bisogno nel cammino della fede, perché non si riduca a un insieme di pratiche religiose o a un abito esteriore, ma diventi un fuoco che ci brucia dentro e ci fa diventare appassionati cercatori del volto del Signore e testimoni del suo Vangelo. Ne abbiamo bisogno nella Chiesa, dove, invece che dividerci in base alle nostre idee, siamo chiamati a rimettere Dio al centro. Ne abbiamo bisogno per abbandonare le ideologie ecclesiastiche, per trovare il senso della Santa Madre Chiesa, l’habitus ecclesiale. Ideologie ecclesiastiche, no; vocazione ecclesiale, sì. Il Signore, e non le nostre idee o i nostri progetti, dev’essere al centro. Ripartiamo da Dio, cerchiamo in Lui il coraggio di non fermarci davanti alle difficoltà, la forza di superare gli ostacoli, la gioia di vivere nella comunione e nella concordia.

I Magi non solo guardano la stella, le cose alte, ma hanno anche i piedi in cammino sulla terra. Essi si mettono in viaggio verso Gerusalemme, e chiedono: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo» (Mt 2,2). Una cosa sola: i piedi collegati con la contemplazione. L’astro che brilla nel cielo li rimanda a percorrere le strade della terra; alzando il capo verso l’alto sono sospinti a scendere in basso; cercando Dio sono inviati a trovarlo nell’uomo, in un Bambino che giace in una mangiatoia, perché Dio che è l’infinitamente grande si è svelato in questo piccolo, infinitamente piccolo. Ci vuole saggezza, ci vuole l’assistenza dello Spirito Santo per capire la grandezza e la piccolezza nella manifestazione di Dio.

Fratelli e sorelle, i piedi in cammino sulla terra! Il dono della fede non ci è dato per restare a fissare il cielo (cfr At 1,11), ma per camminare sulle strade del mondo come testimoni del Vangelo; la luce che illumina la nostra vita, il Signore Gesù, non ci è data solo per essere consolati nelle nostre notti, ma per aprire squarci di luce nelle tenebre fitte che avvolgono tante situazioni sociali; il Dio che viene a visitarci non lo troviamo restando fermi in qualche bella teoria religiosa, ma solo mettendoci in cammino, cercando i segni della sua presenza nelle realtà di ogni giorno e, soprattutto, incontrando e toccando la carne dei fratelli. Contemplare Dio è bello, ma soltanto è fecondo se noi rischiamo, il rischio del servizio di portare Dio. I Magi cercano Dio, il grande Dio, e trovano un Bambino. Questo è importante: incontrare Dio in carne e ossa, nei volti che ogni giorno ci passano accanto, specialmente quelli dei più poveri. I Magi, infatti, ci insegnano che l’incontro con Dio sempre ci apre a una speranza più grande, che ci fa cambiare stile di vita e ci fa trasformare il mondo. Benedetto XVI affermava: «Se manca la vera speranza, si cerca la felicità nell’ebbrezza, nel superfluo, negli eccessi, e si rovina se stessi e il mondo. […] Per questo c’è bisogno di uomini che nutrano una grande speranza e possiedano perciò molto coraggio. Il coraggio dei Magi, che intrapresero un lungo viaggio seguendo una stella, e che seppero inginocchiarsi davanti a un Bambino e offrirgli i loro doni preziosi» (Omelia 6 gennaio 2008).

Infine, pensiamo anche che i Magi hanno il cuore prostrato in adorazione. Guardano la stella nel cielo, ma non si rifugiano in una devozione staccata dalla terra; si mettono in viaggio, ma non vagano come turisti senza meta. Essi arrivarono a Betlemme e, quando videro il Bambino, «si prostrarono e lo adorarono» (Mt 2,11). Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono oro, incenso e mirra. «Con questi mistici doni fanno conoscere chi è colui che adorano: con l’oro dichiarano che egli è Re, con l’incenso che è Dio, con la mirra che è mortale» (S. Gregorio Magno, Omelia X nel giorno dell’Epifania, 6). Un re che è venuto a servirci, un Dio che si è fatto uomo. Dinanzi a questo mistero, siamo chiamati a piegare il cuore e le ginocchia per adorare: adorare il Dio che viene nella piccolezza, che abita la normalità delle nostre case, che muore per amore. Il Dio che, «mentre si manifestava nell’immensità del cielo con i segni degli astri, si faceva trovare […] in un angusto rifugio; debole nelle carni di un bambino, avvolto in panni da neonato veniva adorato dai magi e temuto dai malvagi» (S. Agostino, Discorsi, 200). Fratelli e sorelle, abbiamo perso l’abitudine di adorare, abbiamo perso questa capacità che ci dà l’adorazione. Riscopriamo il gusto della preghiera di adorazione. Riconosciamo Gesù come nostro Dio, come nostro Signore, e adoriamo.

Oggi i Magi ci invitano ad adorare. Manca l’adorazione oggi tra noi.

Fratelli e sorelle, come i Magi, alziamo gli occhi al cielo, mettiamoci in cammino alla ricerca del Signore, pieghiamo il cuore in adorazione. Guardare il cielo, andare in cammino e adorare. E chiediamo la grazia di non perdere mai il coraggio: il coraggio di essere cercatori di Dio, uomini di speranza, intrepidi sognatori che scrutano il cielo, il coraggio della perseveranza nel camminare e sulle strade del mondo, con la stanchezza del vero cammino, e il coraggio di adorare, il coraggio di guardare il Signore che illumina ogni uomo. Che il Signore ci dia questa grazia, soprattutto la grazia di saper adorare.