Mons. Enrique Díaz Díaz condivide con i lettori di Exaudi la sua riflessione sul Vangelo di questa domenica, 7 aprile 2024, dal titolo: “Una ferita che dà vita”
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Atti 4,32-35: “Avevano un cuore solo e un’anima sola”
Salmo 117: “La misericordia del Signore dura in eterno. Hallelujah”
I San Giovanni 5,1-6: “Chiunque è nato da Dio vince il mondo”
San Giovanni 20,19-31: “Mio Signore e mio Dio!”
Domenica della misericordia, domenica della presenza vicina di Gesù, domenica della vera pace. Oggi abbiamo uno dei vangeli più belli e commoventi e non tanto per la situazione simpatica o aneddotica del non credente Tommaso, che ha anche lui molto da insegnarci, ma perché in pochi istanti viene ripercorsa tutta la prospettiva e la situazione del discepoli è cambiato. Erano al buio, al crepuscolo, rinchiusi, nella paura e nell’incredulità. Quando Gesù appare, come se un palcoscenico si riempisse di luce, tutto diventa illuminazione, gioia, pace e una nuova missione di perdono dei peccati. Conclude questo scenario con l’affermazione: “affinché credendo abbiate la vita nel suo nome”, che ci mostra il vero scopo dell’intera missione di Gesù. Tutto cambia con la presenza di Gesù risorto. Noi che ci definiamo credenti viviamo spesso la stessa situazione dei discepoli, siamo immersi nell’antica creazione; non abbiamo visto né sperimentato il risorto; comunità vuote, vane, nascoste, ripiegate su se stesse come se Cristo non fosse risorto. Ma la presenza di Gesù cambia tutto se ci lasciamo sperimentare, toccare e lasciarci toccare dalla sua luce.
Di capitale importanza è il saluto di Gesù, che insiste fino a tre volte: “La pace sia con voi” e non come qualcosa di esteriore, perché le insidie e le difficoltà da parte dei giudei continueranno, anzi, si aggraveranno di giorno in giorno. Gesù offre la pace vera, la pace interiore, la pace che è armonia con il proprio cuore. È curioso che in alcune lingue maya per esprimere disagio o preoccupazione si dica che si cammina “con il doppio cuore”, perché non si riesce a trovare la pace. La pace è la vera unità sia internamente che esternamente. Possiamo dire che per i primi discepoli la risurrezione fu un’esperienza che li riempì di pace. Oggi la parola pace con difficoltà significa assenza di guerra, cessazione degli atti violenti. Ma per gli israeliti la pace o “shalom” designa l’armonia dell’essere umano con se stesso e con gli altri, con la natura e con Dio. È avere la vita in pienezza e per tutti, nella convivenza, nel rispetto e nella giustizia.
La pace che Gesù offre e che chiede di costruire non è la pace superficiale di chi non vuole mettersi nei guai e preferisce “non vedere” o “nascondere” ferite, difficoltà e problemi, come se questo potesse risolverli. Ma sappiamo bene che una ferita che non si rimargina suppone e marcisce. Forse è per questo che Cristo oggi, prima di inviare i suoi discepoli, mostra loro le sue piaghe e forse anche per questo san Giovanni insiste sulla caparbietà di Tommaso, per farci vedere con molta chiarezza che il risorto è lo stesso crocifisso e il opposto del crocifisso, è risorto Il trionfo non è arrivato senza dolore, ma nemmeno la croce si è conclusa con un fallimento. È stato un cammino di resa che rende possibile il trionfo sulla morte e sull’egoismo. Ora Gesù vuole che anche i suoi discepoli diano la vita e per questo manda loro il suo Spirito che li potenzia e li incoraggia.
Un gesto molto significativo evidenzia la presenza dello Spirito: «Soffiò su loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo”». Questa azione associa la realtà del perdono alla presenza dello Spirito. Con un “soffio” o soffio, Dio ha trasformato l’uomo in un essere vivente. Con questo nuovo “soffio” o soffio di Gesù risorto, l’essere umano viene ricreato. Per questo la risurrezione è presente, è vissuta e riconosciuta là dove si lotta per la vita e si lotta contro tutto ciò che disumanizza e uccide. Credere oggi nella risurrezione significa impegnarsi per una vita più umana, più piena e più felice. Si impegna per la pace e per superare la violenza, l’odio e la divisione.
Toccare la ferita degli altri, vedere la ferita di Gesù in ciascuno dei fratelli, è la strada della conversione. Sentire il dolore dei fratelli e assumerlo come proprio, condividerlo, è la strada per incontrare il Risorto. Evitare il dolore, non volerlo assumere, nascondere le nostre piaghe e non volerle guarire, non ci porta alla guarigione. D’altro canto, manifestare la ferita, cercare la guarigione, è la via della guarigione. Anche questo giorno celebra Cristo in modo speciale come Signore della Misericordia, andremo a Lui manifestando tutto il nostro dolore e tutte le nostre ferite, infette e marce, solo Lui le può guarire. Il perdono offerto e il perdono concesso ci conducono alla vera misericordia e alla riconciliazione. Gesù ha fatto così, nessun rimprovero per abbandoni e rinnegamenti, solo amnistia e salvezza. È la missione della Chiesa, di ciascuno di noi come Chiesa: perdonare e riconciliare.
Abbiamo lasciato alle spalle le nostre paure e i nostri timori contemplando Cristo risorto? Cosa stiamo facendo per guarire il nostro mondo dalle ferite dell’odio, della vendetta? Siamo capaci di perdonare e di perdonarci? Come accettiamo e guariamo le nostre ferite? Cosa facciamo per costruire la vera pace?
Dio di eterna misericordia, che ravvivi la fede del tuo popolo con la celebrazione annuale delle celebrazioni pasquali, accresci in noi la tua grazia, perché possiamo comprendere appieno la ricchezza inestimabile del battesimo che ci ha purificato, dello Spirito che ci ha donato nostra vita nuova e del Sangue che ci ha redenti. Amen.