02 Aprile, 2025

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Riflessione di Mons. Enrique Díaz: “Chi rimane in me e io in lui, porta frutti abbondanti”

Quinta domenica di Pasqua

Riflessione di Mons. Enrique Díaz: “Chi rimane in me e io in lui, porta frutti abbondanti”

Mons. Enrique Díaz Díaz condivide con i lettori di Exaudi la sua riflessione sul Vangelo di questa domenica, 28 aprile 2024, dal titolo: “Chi rimane in me e io in lui, porta frutti abbondanti”.

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Atti 9,26-31: “Raccontava loro come aveva visto il Signore lungo la strada”

Salmo 21: “Benedetto sia il Signore. Hallelujah”

I San Giovanni 3,18-24: “Questo è il suo comandamento: che crediamo e ci amiamo gli uni gli altri”

San Giovanni 15,1-8: “Chi rimane in me e io in lui, porta frutti abbondanti”

La vite o la vigna è stata cantata da tutti i profeti, alludendo all’immagine preferita per designare Israele come popolo scelto e amorevolmente curato da Dio. Ora Gesù cambia tutto il significato affermando che Lui è la vera vite e suo Padre la Vigna. Quel titolo è lasciato come istituzione o come eredità e ora dipende dalla permanenza e dall’unione con Gesù. Come il tralcio non ha vita propria né può portare frutto senza la linfa, così neppure il discepolo e la comunità possono avere vita se non sono intimamente uniti a Gesù, vivificati dal suo Spirito. Senza Gesù sono condannati alla sterilità e alla distruzione. Questa è la condizione fondamentale perché la comunità e ogni discepolo abbiano vita e portino frutto: “rimanere in Lui”.

Il Vangelo ci presenta un “Io sono” molto solenne. San Giovanni ama molto usare questi termini, che per gli ebrei implicano una vera rivelazione. “Io sono” è il nome di Dio che non osavano pronunciare e veneravano molto, “Io sono”, detto così con solennità e in tono dichiarativo sembrerebbe, per gli ebrei, una bestemmia sulle labbra di Gesù, perché sostiene con forza una prerogativa divina. Sta dicendo che Lui è Dio, e inoltre, senza togliere questo significato, continuando la frase ne aggiunge uno nuovo e si presenta come la vera vite. Un altro dei concetti più cari al popolo d’Israele, perché nei loro canti, nei loro salmi e nella loro preghiera, la vigna appariva sempre come rappresentazione del popolo amato dal Signore. Canti e profezie, sventure e lodi, tutta la simbologia paesana da presentare all’amante, ora alla ricerca dell’amato, ora rivendicando le sue infedeltà e il suo disprezzo, ma sempre in un rapporto d’amore tra Dio e la sua vigna, con il suo popolo. E Gesù viene, e sposta quell’orgoglio di Israele per dire che Lui è la vera vigna. È l’amore vero del Padre, capo di un nuovo popolo universale. La nuova città che offre i dolci frutti che l’Amato attende.

Il cammino pasquale deve condurci a portare frutto e non solo ad una gioia prolungata e ad una splendida festa. Già nell’antichità il rimprovero più duro del profeta Isaia alla vigna del Signore era la sua sterilità, rendendo grazie invece del vero frutto. Molte foglie e nessun frutto. La pretesa del proprietario della vite è di non aver trovato “giustizia e diritto” nonostante le cure che gli sono state prodigate. Per questo Gesù si presenta ora come la vite nuova e vera che dal di dentro, attraverso la sua Pasqua, orienta i suoi discepoli a portare frutti nuovi e migliori. Ogni membro è chiamato a produrre frutto. L’impegno per la giustizia e la fraternità, anche se ad alcuni può sembrare un’ideologia del passato, è il vero impegno di chi celebra la Pasqua.

La potatura non è distruggere e distruggere. Il sistema degli incendi che ancora oggi viene utilizzato da molti contadini mi ferisce perché finisce per distruggere le montagne per produrre qualche spiga. La potatura è tagliare ma con amore e con uno scopo. Si pota per dare energia e vita, per guidare e far crescere, per incanalare. E tutti abbiamo bisogno di potatura, anche se fa male; Bisogna eliminare ciò che è superfluo o che è d’intralcio; raddrizza ciò che è storto; limitare quanto superato; rinnovare ciò che è diventato vecchio e obsoleto. Ci sono così tante cose legate al nostro cuore che è difficile per noi lasciare da parte: il risentimento, la comodità, la gentrificazione, la consuetudine, la tiepidezza. Per poter portare frutto è necessario il rinnovamento e il tempo pasquale è il momento opportuno perché ci riempie di una nuova speranza e di una nuova illusione.

È curioso contemplare un ramo e vederne l’apparente immobilità. Ha la vita dentro! La linfa che riceve scorre impetuosa e la trasmette dinamicamente alle foglie e ai frutti. Restare non è restare immobile, indifferente o stagnante. Restare non è solo occupare un posto e morire di noia. Ciò che Gesù chiede ai suoi discepoli è che siano fedeli e rimangano fermi e costanti nella vita che Lui ha loro comunicato. Solo così si potranno produrre i frutti attesi. Restare è respirare lo spirito di Gesù, continuare il suo dinamismo e far scorrere la sua linfa in tutto il nostro essere. Restare è accogliere tutta l’esperienza di Gesù e non lasciarla affogare nel nostro egoismo, ma trasmetterla con entusiasmo. Rimanere in Gesù è assimilare i suoi criteri e trasformarli in energia che muove il nostro mondo. Restare è tutt’altro che rimanere fermi e impassibili. Il vero tralcio porta dentro la vita perché la riceve da Gesù e la trasmette nonostante i problemi e le difficoltà. Restare è sperimentare ogni giorno l’amore di Gesù e continuare il processo di trasformazione secondo i suoi criteri.

Rimaniamo in Gesù con questa vitalità o occupiamo solo un posto? Ci lasciamo potare, potati secondo i disegni del Padre, incanalati verso i suoi disegni oppure ci aggrappiamo ai nostri progetti? Quali frutti stiamo portando: impegno, giustizia, gioia; oppure apparenze, privilegi ed egoismi?

Padre buono, vignaiolo amorevole, che fai scorrere dentro di noi il tuo Spirito affinché formiamo, uniti a Cristo, l’unica vera vite, donaci la disponibilità a recidere ciò che ostacola la fraternità, il dinamismo che la fa crescere e la vitalità per produrre frutti di giustizia e di pace. Amen.

Enrique Díaz

Nació en Huandacareo, Michoacán, México, en 1952. Realizó sus estudios de Filosofía y Teología en el Seminario de Morelia. Ordenado diácono el 22 de mayo de 1977, y presbítero el 23 de octubre del mismo año. Obtuvo la Licenciatura en Sagrada Escritura en el Pontificio Instituto Bíblico en Roma. Ha desarrollado múltiples encargos pastorales como el de capellán de la rectoría de las Tres Aves Marías; responsable de la Pastoral Bíblica Diocesana y director de la Escuela Bíblica en Morelia; maestro de Biblia en el Seminario Conciliar de Morelia, párroco de la Parroquia de Nuestra Señora de Guadalupe, Col. Guadalupe, Morelia; o vicario episcopal para la Zona de Nuestra Señora de la Luz, Pátzcuaro. Ordenado obispo auxiliar de san Cristóbal de las Casas en 2003. En la Conferencia Episcopal formó parte de las Comisiones de Biblia, Diaconado y Ministerios Laicales. Fue responsable de las Dimensiones de Ministerios Laicales, de Educación y Cultura. Ha participado en encuentros latinoamericanos y mundiales sobre el Diaconado Permanente. Actualmente es el responsable de la Dimensión de Pastoral de la Cultura. Participó como Miembro del Sínodo de Obispos sobre la Palabra de Dios en la Vida y Misión de la Iglesia en Roma, en 2008. Recibió el nombramiento de obispo coadjutor de San Cristóbal de las Casas en 2014. Nombrado II obispo de Irapuato el día 11 de marzo, tomó posesión el 19 de Mayo. Colabora en varias revistas y publicaciones sobre todo con la reflexión diaria y dominical tanto en audio como escrita.