Riflessione del vescovo Enrique Díaz: La misericordia del Signore è eterna. Alleluia
Divina Misericordia, Seconda Domenica di Pasqua

Il vescovo Enrique Díaz Díaz condivide con i lettori di Exaudi la sua riflessione sul Vangelo di questa domenica, 27 aprile 2025, intitolato: “La misericordia del Signore è eterna. Alleluia”.
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Atti 5:12-16: “Il numero di coloro che credevano nel Signore aumentava”
Salmo 117: “La bontà del Signore dura per sempre. Alleluia”
Apocalisse 1, 9-11, 12-13. 17-19: “Ero morto, e ora, come vedi, sono vivo per sempre”
Giovanni 20:19-31: “Otto giorni dopo, Gesù apparve loro”
Il saluto di Gesù ai discepoli è allo stesso tempo un dono e un comando: “Pace a voi”. Se c’è una cosa che caratterizza il nostro mondo è la perdita della pace e dell’armonia. L’uomo moderno si muove portando con sé delle sicurezze che, lungi dal proteggerlo, sembrano renderlo sempre più debole e insicuro. Le porte vengono chiuse, le domande vengono evase, le informazioni personali vengono nascoste, eppure ogni giorno ci sentiamo sempre più esposti. Perdiamo la pace. Il saluto di Gesù ai suoi discepoli, anche loro con le porte chiuse, è: “Pace a voi”. La paura che chiudeva le porte e il cuore, all’udire queste parole, si dissipa e contemplano il Risorto. Per dare loro fiducia e confermarli nella sua presenza, Gesù mostra i segni del dolore sulle sue mani e sul suo costato. I segni sulla croce di Gesù sono segni della sua resa, della sua morte, ma sono anche segni della sua resurrezione. Egli non parla ai suoi discepoli come a un angelo che non ha sofferto, né parla a noi da un mondo etereo o angelico, dove non potremmo avere paura. Egli ci parla dal dolore della nostra realtà per invitarci ad avere la vera pace, quella che nessuno può toglierci, quella che è armonia interiore e che solo Gesù può darci. Le parole non ti bastano? Ecco perché mostra le cicatrici. Le ferite del dolore sofferto sono i segni di Colui che ora è vivo, che ci invita a superare paure e ansie e a ricostruire la comunità. Sono gli stessi segni sui quali ora dobbiamo ricostruire la comunità: dalla realtà, dal dolore dei fratelli, dalle cicatrici e dal perdono condiviso. Non possiamo ignorare la sofferenza e non possiamo disprezzare il dolore di chi lo ha sofferto; deve essere guardato, guarito e condiviso. Anche il perdono e la mensa devono essere condivisi, affinché la Resurrezione sia credibile.
“Soffiò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo”. Soffiando e donando loro lo Spirito, Gesù affida ai discepoli la missione di dare la vita e portare la sua pace. È lo stesso “soffio” divino che all’inizio della storia (Gen 2,7) infonde animazione e vita all’uomo d’argilla. Con quel respiro l’uomo divenne un essere vivente; con questo soffio del Risorto, il discepolo viene ricreato e riceve una nuova missione. Dalla risurrezione di Cristo, l’uomo ha lottato per una nuova vita, una nuova dignità, una nuova umanità, libera dalla paura, dall’egoismo e dalla morte. Credere nella resurrezione significa impegnarsi a vivere una vita più umana, più dignitosa e più felice. Con il suo soffio, Gesù si lascia alle spalle i tradimenti e gli abbandoni dei suoi discepoli. Non fa loro rimproveri o allusioni; semplicemente li “rinnova” e li accetta. La vendetta e il risentimento non sono tra i segni del Risorto. Per un mondo di vendetta, ritorsione e regolamenti di conti, la proposta di Gesù è una novità: la catena della violenza può essere superata solo con il vero perdono che rinnova e ricrea. Il perdono risolve i conflitti e accresce la speranza sia in chi perdona sia in chi è perdonato. Ma dobbiamo abbandonarci al soffio dello Spirito; solo camminando seguendo il suo impulso possiamo mantenere l’equilibrio. Non possiamo restare immobili a contemplare le cicatrici, perché cadiamo nell’abisso del dubbio, della disperazione e del risentimento. Solo la pace e il perdono ci daranno la vera dimensione umana e divina della persona.
L’assenza di Tommaso ci offre l’opportunità di riconoscere le difficoltà della fede che si basa solo sulle parole degli altri. È vero che possiamo credere a ciò che dicono gli altri, ma non sarà mai una fede ferma; richiede un incontro con il Risorto. La nostra fede rimarrà vuota e convenzionale, come un’abitudine religiosa senza vita, come l’inerzia e il formalismo esteriore, se non sperimenta l’incontro con Gesù. Porte chiuse e atteggiamenti difensivi non sono caratteristiche di una fede viva. Né il conformismo e l’indifferenza verso le cicatrici di Cristo si manifestano nella sofferenza dei piccoli e degli abbandonati. L’incontro con il Signore Risorto trasforma le persone, le rianima e le riempie di gioia e di vera pace. Ci libera dalla paura e dalla codardia, apre nuovi orizzonti e ci ispira ad annunciare la Buona Novella e a cercare la trasformazione del nostro mondo. I segni dei chiodi sulle sue mani e la ferita al costato sono segni della presenza di Gesù in mezzo al suo popolo; sono il cammino dell’amore che Gesù ha percorso per donare la vita. Non dobbiamo ritrarre la nostra mano, ma toccare queste ferite di Gesù che risvegliano la nostra fede. La vera fede ci porterà a seguire lo stesso cammino di Gesù: nel dolore del mondo c’è la Risurrezione. I poveri e i dimenticati sono segni di vita che ci faranno esclamare: “Mio Signore e mio Dio!“.
Come sta la mia fede? Si tratta di paura e risentimento? Mi apro all’impulso dello Spirito? Mi fa guardare il dolore degli altri e trasformarlo in vita? Mi incoraggia a vivere in comunità e a trasformare il mio ambiente in un’atmosfera di armonia e riconciliazione? Come è il mio incontro con Cristo Risorto?
Dio di eterna misericordia, donaci la grazia di avere una fede che si assume il rischio di seguire Gesù, morto e risorto, una fede che non è evasione ma impegno, una fede che cresce e si rafforza nella comunità. Amen
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