Ricordi della propria infanzia e compassione verso poveri e bambini in difficoltà. Intervistato da La Repubblica e La Stampa, Papa Francesco sviscera il senso profondo del Natale e offre qualche personale amarcord. La mente corre alla Buenos Aires degli anni Quaranta, l’immagine è quella di sua nonna che prepara i cappelletti a mano, mentre la famiglia si riuniva. “Alcune volte andavamo da una zia, alla sera, perché a Buenos Aires e nella nostra famiglia non c’era in quel tempo l’abitudine di festeggiare la vigilia come oggi”, racconta. “Si festeggiava il 25 di mattina, sempre dai nonni. Ricordo una volta una cosa curiosa: siamo arrivati e la nonna stava ancora facendo i cappelletti, li faceva a mano. Ne aveva fatti 400! Eravamo sbalorditi! Tutta la nostra famiglia era lì: venivano anche zii e cugini. Solo da adolescente ho cominciato a festeggiare un po’ anche la vigilia, a casa di una sorella di mia mamma che abitava vicino”.
Le partite con un pallone di stracci
A pochi giorni dal compimento degli 85 anni, il Santo Padre ripercorre anche altri episodi della sua vita di bambino, come le partite a calcio. “Non sempre c’era qualcuno che portava il pallone di cuoio e allora giocavamo con un pallone di stracci, la ‘pelota de trapo’”, spiega. In Argentina, prosegue, “il pallone di stracci è diventato un simbolo culturale di quell’epoca, a tal punto che un poeta popolare ha scritto una poesia chiamata Pallone di stracci, e c’è anche un film intitolato Pallone di stracci, che fa vedere questa ‘cultura’ dell’epoca”. Francesco scherza, autoironicamente, sulle sue prestazioni sportive: “Mi chiamavano pata dura, letteralmente ‘gamba dura’: questo soprannome me lo avevano dato perché non ero molto bravo. Allora stavo in porta, dove mi arrangiavo. Fare il portiere è stato per me una grande scuola di vita. Il portiere deve essere pronto a rispondere ai pericoli che possono arrivare da ogni parte”.
L’invito alla lettura
Fondamentali, per la sua formazione umana, sono stati poi i libri: nell’intervista cita Cuore di Edmondo De Amicis, i romanzi di Jorge Luis Borges e Fëdor Dostoevskij, le poesie di Friedrich Hölderlin, nonché I promessi sposi di Alessandro Manzoni e poi la Divina Commedia di cui il padre recitava a memoria alcuni passaggi. I due intervistatori chiedono al Papa se consiglierebbe qualche titolo di libri. “Non consiglierei testi specifici”, risponde. “Ognuno deve avere i propri interessi. Più che un libro consiglierei di leggere. Perché c’è il pericolo della televisione che ti riempie di messaggi che poi non rimangono, mentre leggere è un’altra cosa, è un dialogo con il libro stesso, è un momento di intimità che né la tv né il tablet possono dare”.
Il pensiero ai bambini
Nostalgia e cultura lasciano quindi spazio alla realtà concreta, quella dei poveri, come povero era Gesù alla nascita. Ma in occasione del Natale Papa Francesco, più in generale, rivolge il proprio pensiero “a tutti i dimenticati, gli abbandonati, gli ultimi, e in particolare i bambini abusati e schiavizzati. A me fa piangere e arrabbiare – afferma – sentire le storie di adulti vulnerabili e di bimbi che vengono sfruttati”. Il cuore del Pontefice pulsa inoltre per i bambini che vivranno il Natale su un letto d’ospedale, di fronte alla cui sofferenza “possiamo solo aggrapparci alla fede”. A tal proposito invita i genitori dei bimbi sani a non dimenticare “quanto sono fortunati” e a dedicarsi di più a loro. Infine il pensiero va al personale medico e sanitario degli ospedali. “Spesso – sostiene – non ci accorgiamo della grandezza dell’opera quotidiana di questi medici, infermieri e collaboratori sanitari, e invece dobbiamo tutti essere grati a ciascuno di loro”.
La fraternità universale
Lo sguardo del Papa si rivolge all’avvenire del mondo che, dice, “sarà florido se sarà costruito e, dove serve, ricostruito insieme. Solo la vera e concreta fraternità universale ci salverà e ci permetterà di vivere tutti meglio”. Questo però, aggiunge, “significa che la comunità internazionale, la Chiesa a cominciare dal Papa, le istituzioni, chi ha responsabilità politiche e sociali e anche ogni singolo cittadino in particolare dei Paesi più ricchi, non possono né devono dimenticare le regioni e le persone più deboli, fragili e indifese, vittime dell’indifferenza e dell’egoismo. Ecco, prego Dio affinché in questo Natale trasmetta sulla Terra più generosità e solidarietà. Ma vere, pratiche e costanti, non solo a parole. Spero che il Natale scaldi il cuore di chi soffre, e apra e rafforzi i nostri affinché ardano dal desiderio di aiutare di più chi è nel bisogno”. Nell’intervista trova spazio anche una parentesi sulle abitudini quotidiane del Pontefice. “Nulla è cambiato nella mia giornata”, dice: “mi alzo sempre alle 4 di notte e inizio subito a pregare. E poi avanti con gli impegni e appuntamenti vari. Mi concedo solo una breve siesta dopo pranzo”.