Discorso a braccio ai dirigenti del Global Solidarity Fund
C’è questo discorso preparato: non è necessario che io lo dica un’altra volta. Lo portate voi in tasca, poi lo vedete.
Ringrazio per questo incontro, perché a me piace quando la gente è proprio sulle frontiere, nelle periferie. Semplicemente perché Gesù è andato alle periferie: Lui è andato lì a far vedere il Vangelo. Le periferie, siano del corpo, siano dell’anima; perché c’è gente che è un po’ benestante ma ha l’anima distrutta, strappata: andare anche con loro; tanta gente che ha bisogno della vicinanza.
Perché la vicinanza è lo stile di Dio. Lui stesso lo dice: “Quale popolo ha la divinità così vicina come io sono con te?”, nel Deuteronomio (cap. 4). Per questo, quelle espressioni religiose – che siano di congregazioni religiose, che siano di cristiani che si staccano per conservare la fede – è una riedizione del farisaismo più antico. Perché loro vogliono avere l’anima pulita, ma con questo atteggiamento forse avranno l’anima pulita, ma hanno il cuore sporco di egoismo. Invece, andare alle periferie, andare a trovare la gente che non conta, gli scartati della società – perché stiamo vivendo la cultura dello scarto, e si scarta la gente – andare lì è proprio quello che Gesù ha fatto.
Poi, con i migranti: tu hai nominato i quattro passi: accogliere, accompagnare, promuovere e integrare. Con i migranti, fare questo cammino di integrazione nella società. Non è un’opera di beneficenza, con i migranti, lasciarli lì. No. È prenderli e integrarli, con l’educazione, con l’inserimento lavorativo, con tutte queste cose. A me viene in mente la tragedia di Zaventem – questo lo dico spesso – l’aeroporto belga: quella tragedia è stata compiuta da giovani belgi, ma figli di migranti, non integrati, ghettizzati. Perché un migrante non integrato è a metà cammino, è a metà cammino, ed è pericoloso. È pericoloso per lui, poveretto, perché sarà sempre un mendicante. È anche pericoloso per tutti. Integrarsi, non avere i migranti come un sassolino nelle scarpe, che è molesto.
Ma per capire i migranti, dobbiamo vedere noi stessi: la maggioranza di noi siamo figli o nipoti di migranti. Tanti! Io sono figlio di migranti. Una volta, uno degli Stati Uniti mi diceva: “Ma no, noi non siamo migranti, siamo già radicati qui!” – “Non perdere la memoria: voi siete un popolo di migranti, di migranti irlandesi e di migranti italiani. Gli irlandesi vi hanno portato il whiskey e gli italiani vi hanno portato la mafia”. Sempre guardare le radici. Poi, guardare l’Europa: l’Europa è stata fatta da migranti; e oggi per uno sviluppo serio, l’Europa ha bisogno dei migranti. C’è un inverno demografico, dove non ci sono i bambini, dove il futuro è ogni volta più stretto: che venga quella buona gente, ma bisogna integrarla! Integrarla. E per questo ringrazio tanto per quello che voi fate con loro. Non è un’elemosina, no, è la fratellanza.
Poi, il vostro titolo: cercare anche un nuovo tipo di economia. L’economia va convertita, si deve convertire adesso. Dobbiamo passare dall’economia liberale all’economia condivisa dalla gente, all’economia comunitaria. E su questo si lavora abbastanza con i giovani economisti, anche le donne. Per esempio, da voi, in America, c’è la Mazzucato che ha fatto proprio un passo avanti nel pensare l’economia, e altre donne bravissime. Non possiamo vivere con un pattern di economia che viene dai liberali e dall’illuminismo. Nemmeno possiamo vivere con un pattern di economia che viene dal comunismo. Serve… un’economia cristiana, diciamo così. Cercate le nuove espressioni dell’economia di questo tempo: ho menzionato la Mazzucato che è figlia di migranti negli Stati Uniti, ma ci sono altre. In Inghilterra c’è un’altra donna, e ci sono anche uomini che stanno pensando un’economia più radicata nel popolo.
Queste sono le cose che mi viene in mente di dirvi per uscire dalla formalità di questo discorso. Andate avanti, sporcatevi le mani. Rischiate. E guardate tante periferie: Sudest asiatico, parte dell’Africa, parte dell’America Latina. Tante periferie, tante, che feriscono il cuore. E grazie del vostro lavoro! E pregate per me, per favore. Ma pregate a favore, non contro! Grazie.
Adesso vi do la benedizione: God bless you all, the Father, the Son and the Holy Spirit.
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Discorso consegnato
Caro fratello Cardinale Tomasi,
cari amici!
Sono lieto di incontrarvi di nuovo e di vedere che il vostro cammino va avanti.
Il vostro nome, Global Solidarity Fund, è incentrato su una parola-chiave: solidarietà. È uno dei valori portanti della dottrina sociale della Chiesa. Ma per concretizzarsi va accompagnato con la vicinanza e la compassione verso l’altro, la persona emarginata, verso il volto del povero, del migrante.
La composizione del gruppo con cui oggi qui rappresentate il Global Solidarity Fund è significativa: appartenete ad ambiti molto differenti, ma lavorate insieme per dare vita a un’economia più inclusiva, per creare integrazione e lavoro per i migranti in uno spirito di ascolto e di incontro. Un percorso coraggioso!
Vi ringrazio per i doni che mi avete portato da parte dei migranti che partecipano ai vostri programmi in Colombia e in Etiopia. Benedico ciascuno di loro e benedico voi e il vostro lavoro. Andate avanti in questo impegno a sostegno dei migranti e delle persone più fragili, mettendo in comune i vostri talenti. E non dimenticatevi di pregare per me.