Preghiera e digiuno per la pace, 7 ottobre

L’intercessione di Maria: un faro di speranza in un mondo in crisi

Papa Francesco ha indetto una giornata di preghiera e digiuno il 7 ottobre, in coincidenza con il primo anniversario dell’attacco terroristico di Hamas in Israele. Questa iniziativa si inquadra in un contesto di crescenti tensioni in Medio Oriente, così come nel conflitto in Ucraina e in altri scontri che affliggono numerose nazioni. Come negli anni precedenti, in cui il Papa chiese il sostegno dei fedeli per Paesi come la Siria, la Repubblica Democratica del Congo, il Sud Sudan, il Libano, l’Afghanistan e l’Ucraina, anche questa giornata intende implorare il dono della pace.

Un appello urgente all’azione spirituale

Durante la messa celebrata in Piazza San Pietro, il Papa ha lanciato un appello a milioni di credenti in tutto il mondo, esortandoli ad unirsi a questa potente azione spirituale. “Chiedo a tutti di vivere questa giornata di preghiera e di digiuno per la pace nel mondo”, ha affermato il Pontefice, sottolineando la necessità di alzare la voce a Dio in un momento in cui la violenza e la sofferenza sembrano dominare l’umanità.

Visita a Santa Maria Maggiore

Il 6 ottobre, un giorno prima, il Papa si recherà nella Basilica di Santa Maria Maggiore per recitare il Rosario e rivolgere una supplica alla Vergine Maria. Questo invito è esteso a tutti i membri del Sinodo, creando un clima di unità e impegno tra i leader della Chiesa.

Un’eredità di preghiera e digiuno

L’appello alla preghiera e al digiuno per la pace non è un evento isolato nel pontificato di Francesco. Fin dalla sua elezione ha promosso costantemente giornate di preghiera per quanti soffrono in varie parti del mondo. Nel 2013, poco dopo il suo insediamento, ha riunito migliaia di persone in Piazza San Pietro per pregare per la pace in Siria, di fronte ad una guerra imminente. In quell’evento il Papa ha sottolineato la necessità di rifiutare la violenza e di cercare soluzioni pacifiche.

Nel corso degli anni ha indetto veglie e giornate di preghiera per il Sud Sudan e la Repubblica Democratica del Congo, dove guerra, carestia e violenza continuano a colpire milioni di persone. Il suo impegno per la pace si è manifestato anche in appelli specifici al Libano, all’Afghanistan e, più recentemente, all’Ucraina, dove la guerra ha lasciato profonde cicatrici sulla popolazione.

La speranza in un mondo lacerato

Papa Francesco ha chiarito che la guerra porta solo morte e sofferenza, e che ogni giorno dobbiamo sforzarci di trovare la pace. In questo contesto, il vostro appello del 7 ottobre diventa un’opportunità per i credenti di tutto il mondo di unirsi in una causa comune, elevando a Dio le loro preghiere e i loro sacrifici, nella speranza che la pace prevalga in un mondo tormentato dai conflitti.

Con lo sguardo rivolto alla Vergine Maria, il Papa chiede l’intercessione divina in questi momenti di bisogno. “Mamma, prendi l’iniziativa; volgi il tuo sguardo di misericordia verso l’umanità, che ha smarrito la strada della pace”, ha concluso il Papa, invitando tutti ad essere strumenti di pace nelle proprie comunità.

Dopo la proclamazione del Vangelo, il Papa ha pronunciato l’omelia che riportiamo di seguito:

***

L’omelia del Papa

Oggi celebriamo la memoria liturgica dei Santi Angeli Custodi, e riapriamo la Sessione plenaria del Sinodo dei Vescovi. In ascolto di ciò che la Parola di Dio ci suggerisce, potremmo allora prendere spunto da tre immagini per la nostra riflessione: la voce, il rifugio e il bambino.

Primo, la voce. Nel cammino verso la Terra promessa, Dio raccomanda al popolo di ascoltare la “voce dell’angelo” che Lui ha mandato (cfr Es 23,20-22). È un’immagine che ci tocca da vicino, perché anche il Sinodo è un cammino, in cui il Signore mette nelle nostre mani la storia, i sogni e le speranze di un grande Popolo: di sorelle e fratelli sparsi in ogni parte del mondo, animati dalla nostra stessa fede, mossi dallo stesso desiderio di santità, affinché con loro e per loro cerchiamo di comprendere quale via percorrere per giungere là dove Lui ci vuole portare. Ma come possiamo, noi, metterci in ascolto della “voce dell’angelo”?

Una via è certamente quella di accostarci con rispetto e attenzione, nella preghiera e alla luce della Parola di Dio, a tutti i contributi raccolti in questi tre anni di lavoro, di condivisione, di confronto e di paziente sforzo di purificazione della mente e del cuore. Si tratta, con l’aiuto dello Spirito Santo, di ascoltare e comprendere le voci, cioè le idee, le attese, le proposte, per discernere insieme la voce di Dio che parla alla Chiesa (cfr Renato Corti, Quale prete?, Appunti inediti). Come abbiamo più volte ricordato, la nostra non è un’assemblea parlamentare, ma un luogo di ascolto nella comunione, in cui, come dice San Gregorio Magno, ciò che qualcuno ha in sé parzialmente, è posseduto in modo completo in un altro e benché alcuni abbiano doni particolari, tutto appartiene ai fratelli nella “carità dello Spirito” (cfr Omelie sui Vangeli, XXXIV).

Perché ciò avvenga c’è una condizione: che ci liberiamo da quello che, in noi e tra noi, può impedire alla “carità dello Spirito” di creare armonia nella diversità. Non è in grado di sentire la voce del Signore chi con arroganza presume e pretende di averne l’esclusiva (cfr Mc 9,38-39). Ogni parola va accolta con gratitudine e con semplicità, per farsi eco di ciò che Dio ha donato a beneficio dei fratelli (cfr Mt 10,7-8). Nel concreto, badiamo a non trasformare i nostri contributi in puntigli da difendere o agende da imporre, ma offriamoli come doni da condividere, pronti anche a sacrificare ciò che è particolare, se ciò può servire a far nascere insieme qualcosa di nuovo secondo il progetto di Dio. Altrimenti finiremo per chiuderci in dialoghi tra sordi, dove ciascuno cerca di “tirare acqua al proprio mulino” senza ascoltare gli altri, e soprattutto senza ascoltare la voce del Signore.


Le soluzioni ai problemi da affrontare non le abbiamo noi, ma Lui (cfr Gv 14,6), e ricordiamoci che nel deserto non si scherza: se non si presta attenzione alla guida, presumendo di bastare a sé stessi, si può morire di fame e di sete, trascinando con sé anche gli altri. Mettiamoci dunque in ascolto della voce di Dio e del suo angelo, se davvero vogliamo procedere sicuri nel nostro cammino al di là dei limiti e delle difficoltà (cfr Sal 23,4).

E questo ci porta alla seconda immagine: il rifugio. Il simbolo è quello delle ali che custodiscono: «sotto le sue ali troverai rifugio» (Sal 91,4). Sono strumenti potenti le ali, capaci di sollevare un corpo da terra coi loro movimenti vigorosi. Però, pur così forti, possono anche abbassarsi e raccogliersi, facendosi scudo e nido accogliente per i piccoli, bisognosi di calore e di protezione.

Questo è un simbolo di ciò che Dio fa per noi, ma è anche un modello da seguire, in particolare in questo momento assembleare. Tra noi, cari fratelli e sorelle, ci sono molte persone forti, preparate, capaci di sollevarsi in alto con i movimenti vigorosi di riflessioni e intuizioni geniali. Tutto ciò è una ricchezza, che ci stimola, ci spinge, ci costringe a volte a pensare in modo più aperto e ad andare avanti con decisione, come pure ci aiuta a rimanere saldi nella fede anche di fronte a sfide e difficoltà. Il cuore aperto, il cuore in dialogo. Non è dello Spirito del Signore un cuore chiuso nelle proprie convinzioni, questo non è del Signore. È un dono l’aprirsi, un dono che va unito, a tempo opportuno, alla capacità di rilassare i muscoli e di chinarsi, per offrirsi gli uni agli altri come abbraccio accogliente e luogo di riparo: per essere, come diceva San Paolo VI, «una casa […] di fratelli, un’officina d’intensa attività, un cenacolo di ardente spiritualità» (Discorso al Consiglio di Presidenza della C.E.I., 9 maggio 1974).

Ciascuno, qui, si sentirà libero di esprimersi tanto più spontaneamente e liberamente, quanto più percepirà attorno a sé la presenza di amici che gli vogliono bene e che rispettano, apprezzano e desiderano ascoltare ciò che ha da dire.

E questa per noi non è solo una tecnica di “facilitazione” – è vero che nel Sinodo ci sono i “facilitatori”, ma questo è per aiutare ad andare avanti meglio –, non è solo una tecnica di facilitazione del dialogo o una dinamica di comunicazione di gruppo: abbracciare, proteggere e prendersi cura è infatti parte stessa dell’indole della Chiesa. Abbracciare, proteggere e prendersi cura. La Chiesa è per sua vocazione luogo ospitale di raccolta, dove «la carità collegiale esige una perfetta armonia, da cui risulta la sua forza morale, la sua bellezza spirituale, la sua esemplarità» (ivi). Quella parola è molto importante, l’“armonia”. Non c’è maggioranza, minoranza; questo può essere un primo passo. Quello che importa, quello che è fondamentale è l’armonia, l’armonia che può fare solo lo Spirito Santo. È il maestro dell’armonia, che con tante differenze è capace di creare una sola voce, con tante voci diverse. Pensiamo alla mattina di Pentecoste, come lo Spirito ha creato quell’armonia nelle differenze. La Chiesa ha bisogno di “luoghi pacifici e aperti”, da creare prima di tutto nei cuori, in cui ciascuno si senta accolto come figlio in braccio a sua madre (cfr Is 49,15; 66,13) e come bimbo sollevato alla guancia dal padre (cfr Os 11,4; Sal 103,13).

Ed eccoci così alla terza immagine: il bambino. È Gesù stesso, nel Vangelo, a “metterlo nel mezzo”, a mostrarlo ai discepoli, invitandoli a convertirsi e a farsi piccoli come lui. Loro gli avevano chiesto chi fosse il più grande nel regno dei cieli: Lui risponde incoraggiandoli a farsi piccoli come un bambino. Ma non solo: aggiunge anche che accogliendo un bambino nel suo nome si accoglie Lui (cfr Mt 18,1-5).

E per noi questo paradosso è fondamentale. Il Sinodo, data la sua importanza, in un certo senso ci chiede di essere “grandi” – nella mente, nel cuore, nelle vedute –, perché sono “grandi” e delicate le questioni da trattare, e ampi, universali gli scenari entro cui esse si collocano. Ma proprio per questo non possiamo permetterci di staccare gli occhi dal bambino, che Gesù continua a mettere al centro delle nostre riunioni e dei nostri tavoli di lavoro, per ricordarci che l’unica via per essere “all’altezza” del compito che ci è affidato, è quella di abbassarci, di farci piccoli e di accoglierci a vicenda come tali, con umiltà. Il più alto nella Chiesa è quello che si abbassa di più.

Ricordiamoci che è proprio facendosi piccolo che Dio ci «dimostra che cosa sia la vera grandezza, anzi, che cosa voglia dire essere Dio» (Benedetto XVI, Omelia nella Festa del Battesimo del Signore, 11 gennaio 2009). Non a caso Gesù dice che gli angeli dei bambini «vedono sempre la faccia del Padre […] che è nei cieli» (Mt 18,10): che sono, cioè, come un “telescopio” dell’amore del Padre.

Fratelli e sorelle, riprendiamo questo cammino ecclesiale con uno sguardo rivolto al mondo, perché la comunità cristiana è sempre a servizio dell’umanità, per annunciare a tutti la gioia del Vangelo. Ce n’è bisogno, soprattutto in quest’ora drammatica della nostra storia, mentre i venti della guerra e i fuochi della violenza continuano a sconvolgere interi popoli e Nazioni.

Per invocare dall’intercessione di Maria Santissima il dono della pace, domenica prossima mi recherò nella Basilica di Santa Maria Maggiore dove reciterò il santo Rosario e rivolgerò alla Vergine un’accorata supplica; se possibile, chiedo anche a voi, membri del Sinodo, di unirvi a me in quell’occasione.

E, il giorno dopo, 7 ottobre, chiedo a tutti di vivere una giornata di preghiera e di digiuno per la pace nel mondo.

Camminiamo insieme. Mettiamoci in ascolto del Signore. E lasciamoci condurre dalla brezza dello Spirito.