Alle ore 10.00 di questa mattina, XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, il Santo Padre Francesco ha presieduto nella Basilica Vaticana la Santa Messa in occasione della VI Giornata Mondiale dei Poveri, che si celebra oggi sul tema “Gesù Cristo si è fatto povero per voi” (Cfr 2 Cor 8,9).
Al termine della Santa Messa, il Santo Padre ha partecipato, in Aula Paolo VI, al pasto festivo offerto a circa 1.300 poveri.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione del Vangelo:
Mentre alcuni parlano della bellezza esteriore del tempio e ammirano le sue pietre, Gesù risveglia l’attenzione circa gli eventi travagliati e drammatici che segnano la storia umana. Infatti, mentre il tempio costruito dalle mani dell’uomo passerà, come passano tutte le cose di questo mondo, è importante saper discernere il tempo che viviamo, per rimanere discepoli del Vangelo anche in mezzo agli sconvolgimenti della storia.
E, per indicarci il modo di discernere, il Signore ci offre due esortazioni: non lasciatevi ingannare e rendete testimonianza.
La prima cosa che Gesù dice ai suoi ascoltatori, preoccupati di “quando” e di “come” avverranno i fatti spaventosi di cui parla, è: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro!» (Lc 21,8). E aggiunge: «Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate» (v. 9). E questo nel momento attuale ci viene bene. Da quale inganno, dunque, vuole liberarci Gesù? Dalla tentazione di leggere i fatti più drammatici in modo superstizioso o catastrofico, come se fossimo ormai vicini alla fine del mondo e non valesse la pena di impegnarci più in nulla di buono. Se pensiamo in questo modo, ci lasciamo guidare dalla paura, e magari poi cerchiamo risposte con morbosa curiosità nelle fandonie di maghi o oroscopi, che non mancano mai – e oggi tanti cristiani vanno a visitare i maghi, cercano l’oroscopo come se fosse la voce di Dio –; o, ancora, ci affidiamo a fantasiose teorie propinate da qualche “messia” dell’ultim’ora, in genere sempre disfattisti e complottisti – anche la psicologia del complotto è cattiva, ci fa male –. Qui non c’è lo Spirito del Signore: né nell’andare a cercare i “guru” né in questo spirito di complotto; lì non c’è il Signore. Gesù ci avverte: “Non lasciatevi ingannare”, non lasciatevi abbagliare da curiosità credulone, non affrontate gli eventi mossi dalla paura, ma imparate piuttosto a leggere gli avvenimenti con gli occhi della fede, certi che stando vicini a Dio «nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto» (v. 18).
Se la storia umana è costellata di eventi drammatici, situazioni di dolore, guerre, rivoluzioni e calamità, è altrettanto vero – dice Gesù – che tutto questo non è la fine (cfr v. 9); non è un buon motivo per lasciarsi paralizzare dalla paura o cedere al disfattismo di chi pensa che ormai sia tutto perduto e sia inutile impegnarsi nella vita. Il discepolo del Signore non si lascia atrofizzare dalla rassegnazione, non cede allo scoraggiamento nemmeno nelle situazioni più difficili, perché il suo Dio è il Dio della risurrezione e della speranza, che sempre risolleva: con Lui sempre si può rialzare lo sguardo, ricominciare e ripartire. Il cristiano, allora, davanti alla prova – qualsiasi prova, culturale, storica o personale – si interroga: “Che cosa ci sta dicendo il Signore attraverso questo momento di crisi?”. Anch’io faccio questa domanda oggi: che cosa ci sta dicendo il Signore, davanti a questa terza guerra mondiale? Che cosa ci sta dicendo il Signore? E, mentre accadono fatti di male che generano povertà e sofferenza, il cristiano si chiede: “Che cosa, concretamente, io posso fare di bene?”. Non fuggire, farsi la domanda: cosa mi dice il Signore e cosa posso fare io di bene?
Non a caso, la seconda esortazione di Gesù, dopo “non lasciatevi ingannare”, è in positivo. Egli dice: «Avrete allora occasione di dare testimonianza» (v. 13). Occasione di dare testimonianza. Vorrei sottolineare questa bella parola: occasione. Significa avere l’opportunità di fare qualcosa di buono a partire dalle circostanze della vita, anche quando non sono ideali. È una bella arte tipicamente cristiana: non restare vittime di quanto accade – il cristiano non è vittima e la psicologia del vittimismo è cattiva, ci fa male –, ma cogliere l’opportunità che si nasconde in tutto ciò che ci capita, il bene che è possibile, quel poco di bene che sia possibile fare, e costruire anche a partire da situazioni negative. Ogni crisi è una possibilità e offre occasioni di crescita. Perché ogni crisi è aperta alla presenza di Dio, alla presenza dell’umanità. Ma cosa ci fa il cattivo spirito? Vuole che noi trasformiamo la crisi in conflitto, e il conflitto è sempre chiuso, senza orizzonte e senza via di uscita. No. Viviamo la crisi come persone umane, come cristiani, non trasformandola in conflitto, perché ogni crisi è una possibilità e offre occasione di crescita. Ce ne accorgiamo se rileggiamo la nostra vicenda personale: nella vita, spesso, i passi in avanti più importanti si fanno proprio all’interno di alcune crisi, di situazioni di prova, di perdita di controllo, di insicurezza. E, allora, comprendiamo l’invito che Gesù fa oggi direttamente a me, a te, a ciascuno di noi: mentre vedi attorno a te fatti sconvolgenti, mentre si sollevano guerre e conflitti, mentre accadono terremoti, carestie e pestilenze, tu che cosa fai, io che cosa faccio? Ti distrai per non pensarci? Ti diverti per non farti coinvolgere? Prendi la strada della mondanità, di non prendere in mano, non prendere a cuore queste situazioni drammatiche? Ti giri dall’altra parte per non vedere? Ti adegui, remissivo e rassegnato, a quello che capita? Oppure queste situazioni diventano occasioni per testimoniare il Vangelo? Oggi ognuno di noi deve interrogarsi, davanti a tante calamità, davanti a questa terza guerra mondiale così crudele, davanti alla fame di tanti bambini, di tanta gente: io posso sprecare, sprecare i soldi, sprecare la mia vita, sprecare il senso della mia vita, senza prendere coraggio e andare avanti?
Fratelli e sorelle, in questa Giornata Mondiale dei Poveri la Parola di Gesù è un monito forte a rompere quella sordità interiore che tutti noi abbiamo e che ci impedisce di ascoltare il grido di dolore soffocato dei più deboli. Anche oggi viviamo in società ferite e assistiamo, proprio come ci ha detto il Vangelo, a scenari di violenza – basta pensare alle crudeltà che sta soffrendo il popolo ucraino –, di ingiustizia e di persecuzione; in più, dobbiamo affrontare la crisi generata dai cambiamenti climatici e dalla pandemia, che ha lasciato dietro di sé una scia di malesseri non soltanto fisici, ma anche psicologici, economici e sociali. Anche oggi, fratelli e sorelle, vediamo sollevarsi popolo contro popolo e assistiamo angosciati al veemente allargamento dei conflitti, alla sciagura della guerra, che provoca la morte di tanti innocenti e moltiplica il veleno dell’odio. Anche oggi, molto più di ieri, tanti fratelli e sorelle, provati e sconfortati, migrano in cerca di speranza, e tante persone vivono nella precarietà per la mancanza di occupazione o per condizioni lavorative ingiuste e indegne. E anche oggi, fratelli e sorelle, i poveri sono le vittime più penalizzate di ogni crisi. Ma, se il nostro cuore è ovattato e indifferente, non riusciamo a sentire il loro flebile grido di dolore, a piangere con loro e per loro, a vedere quanta solitudine e angoscia si nascondono anche negli angoli dimenticati delle nostre città. Bisogna andare agli angoli delle città, questi angoli nascosti, oscuri: lì si vede tanta miseria e tanto dolore e tanta povertà scartata.
Facciamo nostro l’invito forte e chiaro del Vangelo a non lasciarci ingannare. Non diamo ascolto ai profeti di sventura; non facciamoci incantare dalle sirene del populismo, che strumentalizza i bisogni del popolo proponendo soluzioni troppo facili e sbrigative. Non seguiamo i falsi “messia” che, in nome del guadagno, proclamano ricette utili solo ad accrescere la ricchezza di pochi, condannando i poveri all’emarginazione. Al contrario, rendiamo testimonianza: accendiamo luci di speranza in mezzo alle oscurità; cogliamo, nelle situazioni drammatiche, occasioni per testimoniare il Vangelo della gioia e costruire un mondo fraterno, almeno un po’ più fraterno; impegniamoci con coraggio per la giustizia, la legalità e la pace, stando sempre a fianco dei più deboli. Non scappiamo per difenderci dalla storia, ma lottiamo per dare a questa storia che noi stiamo vivendo un volto diverso.
E dove trovare la forza per tutto questo? Nel Signore. Nella fiducia in Dio, che è Padre, che veglia su di noi. Se gli apriamo il cuore, accrescerà in noi la capacità di amare. Questa è la strada: crescere nell’amore. Gesù, infatti, dopo aver parlato di scenari di violenza e di terrore, conclude dicendo: «Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto» (v. 18). Ma cosa significa? Che Lui è con noi, Lui è il nostro custode, Lui cammina con noi. Io ho questa fede? Tu hai questa fede che il Signore cammina con te? Questo dobbiamo ripeterci sempre, specialmente nei momenti più dolorosi: Dio è Padre ed è al mio fianco, mi conosce e mi ama, veglia su di me, non prende sonno, ha cura di me e con Lui neanche un capello del mio capo andrà perduto. E io come rispondo a questo? Guardando i fratelli e le sorelle che sono nel bisogno, guardando questa cultura dello scarto che scarta i poveri, che scarta le persone con meno possibilità, che scarta i vecchi, che scarta i nascituri… Guardando tutto questo, cosa sento io di dover fare come cristiano in questo momento?
Amati da Lui, decidiamoci ad amare i figli più scartati. Il Signore è lì. C’è una vecchia tradizione, anche qui nei paesini dell’Italia, ancora qualcuno la mantiene: alla cena di Natale, lasciare un posto vuoto per il Signore che sicuramente busserà alla porta nella persona di un povero che ha bisogno. E il tuo cuore, ha sempre un posto libero per quella gente? Il mio cuore, ha un posto libero per quella gente? O siamo tanto indaffarati con gli amici, gli eventi sociali, gli obblighi? Mai abbiamo un posto libero per quella gente. Prendiamoci cura dei poveri, nei quali c’è Cristo, che per noi si è fatto povero (cfr 2 Cor 8,9). Lui si identifica con il povero. Sentiamoci chiamati in causa perché neanche un capello del loro capo vada perduto. Non possiamo restare, come quelli di cui parla il Vangelo, ad ammirare le belle pietre del tempio, senza riconoscere il vero tempio di Dio, l’essere umano, l’uomo e la donna, specialmente il povero, nel cui volto, nella cui storia, nelle cui ferite c’è Gesù. L’ha detto Lui. Non dimentichiamolo mai.