Il Vangelo è l’incontro con una Persona viva che cambia la vita: Gesù è capace di rivoluzionare i nostri progetti, aspirazioni e prospettive. Conoscerlo è riempire di significato la nostra esistenza, perché il Signore ci offre la gioia che non passa mai. Perché è la gioia stessa di Dio.
La vicenda umana di Dale Recinella, che ho conosciuto in udienza, ho conosciuto meglio attraverso gli articoli da lui scritti negli anni per ‘L’Osservatore Romano’ e ora attraverso questo libro, che arriva al cuore, è una conferma di quanto è stato detto: solo così si spiega come sia stato possibile che un uomo, con altri obiettivi in mente per il suo futuro, diventasse cappellano, come cristiano laico, marito e padre, dei condannati alla pena capitale.
È un compito molto difficile, rischioso e arduo da realizzare, perché tocca il male in tutte le sue dimensioni: il male fatto alle vittime, e che non può essere riparato; il male che sperimenta il condannato, sapendo di essere destinato a morte certa; il male che, con la pratica della pena capitale, viene instillato nella società. Sì, come ho più volte affermato, la pena di morte non è assolutamente la soluzione alla violenza che può colpire persone innocenti. Le esecuzioni, lungi dal garantire giustizia, alimentano un sentimento di vendetta che diventa un pericoloso veleno per il corpo delle nostre società civili. Gli Stati dovrebbero preoccuparsi di dare ai prigionieri l’opportunità di cambiare davvero la propria vita, invece di investire denaro e risorse nella repressione, come se fossero esseri umani che non meritano più di vivere e che devono essere eliminati. Nel suo romanzo L’idiota, Fëdor Dostoevskij riassume in modo impeccabile l’insostenibilità logica e morale della pena di morte nel modo seguente, parlando di un uomo condannato alla pena capitale: «È una violazione dell’animo umano, niente di più! Si dice: ‘Non uccidere’, e invece, poiché lui ha ucciso, altri lo uccidono. No, è qualcosa che non dovrebbe esistere. Proprio il Giubileo dovrebbe impegnare tutti i credenti a chiedere con voce inequivocabile l’abolizione della pena di morte, pratica che, come afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica, “è inammissibile perché viola l’inviolabilità e la dignità della persona!” » (n. 2267).
Inoltre, le azioni di Dale Recinella, per non parlare dell’importante contributo di sua moglie Susan riflesso nel libro, sono un grande dono per la Chiesa e la società degli Stati Uniti, dove Dale vive e lavora. Il suo impegno di cappellano laico, in un luogo disumano come il braccio della morte, è una testimonianza viva e appassionata della scuola dell’infinita misericordia di Dio. Come ci ha insegnato il Giubileo Straordinario della Misericordia, non dobbiamo mai pensare che possa esserci un nostro peccato, un nostro errore o una nostra azione che ci allontani definitivamente dal Signore. Il suo cuore è già stato crocifisso per noi. E Dio può solo perdonarci.
Certo, questa infinita misericordia divina può anche scandalizzare, come scandalizzò tante persone al tempo di Gesù, quando il Figlio di Dio mangiava con i peccatori e le prostitute. Lo stesso fratello Dale deve affrontare critiche, rimproveri e rifiuti per il suo impegno spirituale a fianco dei condannati. Ma non è forse vero che Gesù ha accolto tra le sue braccia un ladro condannato a morte? Ebbene, Dale Recinella ha capito e testimonia con la sua vita, ogni volta che varca la porta di un carcere, soprattutto quella che lui chiama “la casa della morte”, che l’amore di Dio è illimitato e senza misura. E che anche il più vile dei nostri peccati non sfigura la nostra identità agli occhi di Dio: rimaniamo Suoi figli, da Lui amati, da Lui curati e considerati preziosi.
A Dale Recinella, quindi, voglio dire un sincero e sentito grazie: perché la sua azione di cappellano nel braccio della morte è un’adesione tenace e appassionata alla realtà più intima del Vangelo di Gesù, che è la misericordia di Dio, il suo amore gratuito e indefettibile per ogni persona, anche per chi ha sbagliato. E proprio a partire da uno sguardo d’amore, come quello di Cristo sulla croce, possono trovare un senso nuovo al loro vivere e, anche, al loro morire.