Questa mattina, nel Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in udienza i partecipanti al XVIII Capitolo Generale della Congregazione degli Oblati di San Giuseppe (Giuseppini di Asti di San Giuseppe Marello), nelle parole del suo discorso loro rivolto Ha consigliato di sostenere e assistere le giovani generazioni e di raggiungere gli emarginati.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha ricevuto ai presenti all’Udienza:
Cari fratelli, buongiorno!
Vi do il benvenuto mentre state concludendo il vostro XVIII Capitolo Generale. Saluto Padre Jan Pelczarski, rieletto Superiore Generale – hai fatto bene, ti hanno rieletto! –; saluto i Consiglieri, tutti voi qui presenti e l’intera “Famiglia Giuseppina Marelliana”: suore, laici e giovani.
Come sapete, anche la mia famiglia ha origini astigiane. Abbiamo radici comuni in quella terra di Piemonte, che ha dato i natali al vostro fondatore San Giuseppe Marello. Terra bella, quella, del buon vino… Bella terra!
Come guida dei vostri lavori capitolari avete scelto la frase di San Paolo a Timoteo: «Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te» (2 Tm 1,6). Sono parole impegnative, con cui vi riconoscete beneficiari di un dono – la santità del Fondatore, il carisma e la storia della vostra Congregazione – e vi impegnate a fare vostre le responsabilità che ne derivano: custodire e far fruttificare i talenti ricevuti mettendoli al servizio dei fratelli.
E questi due atteggiamenti – gratitudine e responsabilità – ben richiamano la figura di San Giuseppe, il custode della Santa Famiglia, che è il modello, l’ispiratore e l’intercessore della vostra Congregazione.
Vorrei allora sottolineare tre dimensioni dell’esistenza di Giuseppe di Nazaret, che mi sembrano importanti anche per la vostra vita religiosa e per il servizio che svolgete nella Chiesa: il nascondimento, la paternità e l’attenzione agli ultimi.
Primo: il nascondimento. San Giuseppe Marello ha sintetizzato questo valore con il motto: “certosini in casa e apostoli fuori casa” – è bello, non sapevo questo, quando l’ho letto mi ha colpito, una bella sintesi – ed è molto importante. Lo è prima di tutto per voi, perché sappiate radicare la vostra vita di fede e la vostra consacrazione religiosa in un quotidiano “stare” con Gesù. Non illudiamoci: senza di Lui non stiamo in piedi, nessuno di noi. Ognuno ha le proprie fragilità e senza il Signore che ci sostenga non staremmo in piedi. Perciò vi incoraggio a coltivare sempre un’intensa vita di preghiera – “intensa” forse è un aggettivo troppo forte: una buona vita di preghiera, questa, non lasciarla – attraverso la partecipazione ai Sacramenti, l’ascolto e la meditazione della Parola di Dio, l’Adorazione eucaristica, sia personale che comunitaria. E su questo voglio sottolineare: a volte noi trascuriamo l’adorazione, la preghiera di adorazione, il silenzio davanti al Signore, a volte è un po’ noioso adorare in silenzio… Questo lo dovremmo fare tutti, ma i religiosi specialmente. È prima di tutto così che San Giuseppe ha risposto al dono immenso di avere in casa sua il Figlio stesso di Dio fatto uomo: stando con Lui, ascoltandolo, parlandogli e condividendo con Lui la vita di ogni giorno. Ricordiamolo: senza Gesù non stiamo in piedi! In questo momento chiedo ad ognuno di pensare ai propri peccati: tutti siamo peccatori. Pensate ai vostri peccati, adesso, e vedete che quando voi siete caduti nel peccato era perché non eravate vicini al Signore. Sempre è così. Chi è vicino al Signore si aggrappa subito e non cade. La vicinanza al Signore!
E tutto questo si rifletterà positivamente anche sul vostro apostolato, specialmente su quella missione che vi caratterizza di essere “apostoli dei giovani”. I giovani non hanno bisogno di noi: hanno bisogno di Dio! E più noi viviamo alla sua presenza, più siamo capaci di aiutare loro a incontrarlo, senza protagonismi inutili e avendo a cuore solo la loro salvezza e la felicità piena. I nostri giovani – ma in verità un po’ tutti noi – vivono e viviamo in un mondo fatto di esteriorità, in cui quello che conta è apparire, ottenere consensi, fare esperienze sempre nuove. Ma una vita vissuta tutta “fuori” lascia vuoti dentro, come chi passa tutto il tempo in strada e lascia che la propria casa vada in rovina per mancanza di cura e di amore. Fate del vostro cuore, delle vostre comunità, delle vostre case religiose, luoghi in cui si può sentire e condividere il calore della familiarità con Dio e tra i fratelli; in cui, come diceva San Giovanni Paolo II, «la salvezza, che passa attraverso l’umanità di Gesù, si realizza nei gesti che rientrano nella quotidianità della vita familiare» (Esort. ap. Redemptoris Custos, 8). E così accadeva con San Giuseppe.
Secondo: la paternità. Sono molto significative, in merito, le parole che San Giuseppe Marello scriveva a don Stefano Delaude: «Povera gioventù, troppo abbandonata e negletta, povera generazione crescente troppo lasciata in balia di te stessa!» (Lettera 31, 20 febbraio 1869). Si sente qui il cuore di un padre, che si commuove di fronte alla bellezza dei suoi figli umiliata dall’indifferenza e dal disinteresse di chi dovrebbe invece aiutarli a dare il meglio di sé. E nella stessa lettera continua, considerando come sia ingiusto e sterile l’atteggiamento di chi poi questa gioventù, abbandonata e disorientata, si limita a criticarla. E questo anche oggi è così. Il santo Vescovo parla di “scorretta generosità”, di “affetti male indirizzati” (cfr ivi): dimostra, cioè, di cogliere nei giovani una grande potenzialità di bene, che aspetta solo di fiorire e far frutto, se sostenuta e accompagnata da guide sagge, pazienti e generose. E tali vuole che siate voi, attenti al bene integrale dei giovani, concretamente presenti accanto a loro e alle loro famiglie, esperti nell’arte maieutica dei buoni formatori, saggiamente rispettosi dei tempi e delle possibilità di ciascuno. Fratelli, è un gran lavoro, questo, faticoso, ma irrinunciabile, sempre, e specialmente ai giorni nostri (cfr Esort. Ap. Christus vivit, 75).
E infine, dopo la paternità, l’attenzione agli ultimi. Una delle cose che colpiscono, nel Santo sposo di Maria, è la fede generosa con cui ha accolto in casa sua e nella sua vita un Dio che, contrariamente ad ogni aspettativa, si è presentato alla sua porta nel figlio di una ragazza fragile e sprovvista di ogni possibilità di recriminazione. Non c’era nessun diritto che Maria e il suo Bambino potessero umanamente accampare davanti al santo Patriarca, se non quello di una Presenza che solo la fede poteva riconoscere e la carità accogliere. E Giuseppe è stato capace di fare questo passo: ha riconosciuto la reale presenza di Dio nella loro povertà e l’ha fatta sua, anzi l’ha unita alla sua vita. Perché il nostro accogliere gli ultimi è questo. Non è chinarsi in modo paternalistico su una supposta loro “inferiorità”, ma condividere con loro la nostra stessa povertà. Questo ci insegna il farsi povero di Dio (cfr Fil 2,5-11); questo vi ha insegnato San Giuseppe Marello, riservando nel suo cuore di pastore un posto tutto speciale per i ragazzi più problematici, per la “povera gioventù”, come amava dire, e questo ci chiama a fare anche oggi il Signore.
Cari fratelli, ho voluto condividere con voi questi spunti per il vostro cammino. Grazie per ciò che fate nella Chiesa e nella società, grazie per il vostro servizio! Continuate con questa generosità. Prego per voi e vi benedico. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me.
E vorrei dirvi una cosa che a me fa ridere. Io ho nella mia stanza un dipinto di San Giuseppe dormiente, ma si dice che nella sua vita Giuseppe non poteva dormire, pativa delle insonnie, perché tutte le volte che si era addormentato gli avevano cambiato la vita! Questo fuori testo! L’uomo che si lascia cambiare la vita: a me fa tanto bene pensarlo.