Myanmar, “Così mi inginocchiai davanti ai poliziotti”

La testimonianza di suor Ann Rose Nu Tawng: “Volevo solo salvare i giovani dimostranti”

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Suor Ann Rose inginocchiata davanti ai poliziotti © Vatican Media

“Il mio primo obiettivo era salvare quei ragazzi, non ho pensato alla mia vita… pur sapendo che rischiavo la vita ho pensato ‘basta che salvo le persone’. Così i giovani sono potuti scappare. Poi mi sono meravigliata di essere ancora viva… quella notte ho pensato “sono morta, la mia anima sta girando…”. Non riuscivo a darmi spiegazioni, anche io mi sono meravigliata”. Suor Ann Rose Nu Tawng, la suora coraggio del Myanmar, ha ricordato così i momenti concitati che l’hanno vista inginocchiarsi davanti a poliziotti e militari che stavano reprimendo le proteste di piazza. Un’immagine che ha fatto il giro del mondo.

La religiosa delle suore di San Francesco Saverio si è collegata da Myitkyina, la capitale dello stato più settentrionale del Myanmar, il Kachin, dove vive e lavora come infermiera. L’occasione è stata la presentazione dell’instant book «Uccidete me, non la gente». La suora coraggio del Myanmar racconta la sua storia (Editrice missionaria italiana), alla quale hanno partecipato anche Gerolamo Fazzini, coautore del libro, il direttore dell’Osservatore Romano, Andrea Monda, e il gesuita birmano Joseph Buan Sing.

In difesa dei giovani

“La prima volta che ho compiuto questo gesto, il 28 febbraio – ha raccontato suor Ann Rose – stavo lavorando nell’ambulatorio. Ho sentito le voci dei poliziotti e sono uscita. Non ci avevo pensato minimamente, non l’avevo immaginato o programmato. Mi è venuto spontaneo. Ho solo voluto difendere quelle persone, far in modo che quei giovani in pericolo potessero scappare.

Ho sentito profondamente l’azione dello Spirito Santo che mi ha spinto a fare questo, Dio si è servito di me per salvare quelle persone”. Ma la repressione non si è fermata e “poi sono arrivate tante persone ferite, per salvarle le ho dovute portare in un altro ospedale, con l’aiuto di altri giovani li ho portati col motorino”.

Controllata dai militari

La seconda volta che la suora si è inginocchiata è stato l’8 marzo. A quel punto è finita nel mirino dei militari: “Mi sono messa la mascherina per non farmi notare, i poliziotti mi chiedevano le generalità, il telefono, dove abitavo… in quel momento non sapevo che la mia foto era arrivata sui mass media, comunque mi sono messa la mascherina per non farmi notare. Avevo paura, anche i miei superiori mi dicevano di essere prudente, non volevo mettere in pericolo la vita di nessuno”.

Diverse le reazioni al suo gesto: “La prima volta, quando hanno scoperto che cosa avevo fatto, i superiori, le amiche e le consorelle si sono molto preoccupati. Chi mi incoraggiava, chi mi diceva sono orgogliosa di te, alcuni hanno pianto, altri invece mi hanno rimproverato, mi hanno ammonito di stare attenta, di non rischiare la vita. Comunque – assicura suor Ann Rose – sono voluta rimanere in piedi per difendere la verità, per salvare il popolo e per la giustizia”.

Il pericolo continua

La religiosa si sente ancora in pericolo: “Credo che ci sia ancora rischio per me. I poliziotti vengono in clinica, mi interrogano, fanno foto ma ancora non mi hanno toccato. Per questo i superiori mi hanno suggerito di non uscire spesso e quando devo fare servizi di lavoro passo all’interno, attraverso la chiesa. Una notte una signora è venuta per partorire e io sono andata senza torce, al buio, di nascosto per aiutarla”.

La situazione non è migliorata: “Attualmente le proteste continuano – racconta la religiosa – i giovani cercano tutti i modi possibili di manifestare, i poliziotti sparano, picchiano ma i giovani comunque continuano a manifestare. Durante il dialogo che ho avuto con loro i poliziotti mi dicevano ‘non vogliamo sparare e uccidere nessuno, vogliamo solo per spaventarli, come un papà con un figlio che va educato’, però poi dicevano che dovevano eseguire gli ordini”.

Tutti chiedono democrazia

La storia dei cristiani in Myanmar è una storia di sofferenza, come quella personale di suor Ann Rose: “Quando ero piccola la mia famiglia ha sofferto tanto, non avevamo libertà. Anche chi era laureato non poteva lavorare nello Stato. Siamo minoranza e il governo ci ha sempre perseguitato, non ci ha dato molte possibilità di lavorare. Essendo un paese buddista si dà più rispetto a monaci e monache buddiste, sacerdoti e suore non sempre sono stati rispettati in passato. Ora si comincia a rispettare di più cristiani. Non ci sono più forti tensioni, prima c’erano barriere tra le religioni, ora sono crollate. Il popolo si è riunito, desidera solo avere libertà e democrazia”.


Suor Ann Rose spiega come “la preghiera mi ha aiutato tanto, in momenti di persecuzione la preghiera è fondamentale. L’adorazione del Santissimo mi ha dato forza, da lì ho attinto forza per comportarmi così. La preghiera mi ha aiutato a servire le persone senza distinzioni, a trattare tutti nella stessa maniera. E poi questo gesto di inginocchiarsi, c’è chi pensa che sia un gesto sfigato (questa è la traduzione di padre Peter, il sacerdote birmano che ha fatto da interprete e opera in una parrocchia della periferia romana, ndr). Non è così, è un gesto di riconciliazione, di perdono del nemico, e serve tanto anche nelle famiglie”.

“Al S. Padre chiederei…”

L’ultimo pensiero della religiosa è per il Papa, che ha più volte chiesto e pregato per la fine delle violenze in Myanmar: “Vorrei ringraziare il S. Padre per la sua disponibilità a celebrare la messa con la comunità birmana, sono molto orgogliosa di lui. Certamente la figura del S. Padre è di livello internazionale, le sue parole sono un grande aiuto, valgono come migliaia di soldi, tutte le nazioni presteranno attenzione ai suoi discorsi. Se avessi occasione di parlare al S. Padre, vorrei chiedergli di invitare i capi delle nazioni a occuparsi di noi. Ci sono stati 800 morti in tre mesi, vorrei chiedergli di aiutarci a salvare il nostro popolo e la generazione futura”.

“Così ho chiesto al Papa di celebrare la Messa per i birmani”

Padre Joseph ha invece raccontato come è nata l’iniziativa della Messa che il S. Padre celebrerà domenica prossima per la comunità birmana.

“Sono a Roma da un anno, prima insegnavo. I miei studenti sono scappati, sono nei boschi. Invece di una penna ora hanno la pistola. Non posso dormirci. Non posso parlare con loro, ho avuto amici, studenti e parenti morti. Adesso non tornerei nel mio paese perché non potrei fare nulla. Ho scritto al Papa per chiedergli la Messa. Il 25 aprile insieme a sacerdoti e suore eravamo in piazza con due striscioni, ‘Pray for Myanmar’ e ‘Grazie’. Due giorni dopo mi hanno telefonato dal Vaticano dicendomi che il Papa aveva letto la lettera e accettato di celebrare la Messa. Ho pianto di gioia”.

Arriveranno persone da tutta Italia. Tra loro due diaconi birmani del Pime che verranno da Monza, altre suore della congregazione di suor Ann Rose da Lecco. Saranno presenti 190 persone, per le limitazioni della pandemia.

Il significato del libro

“Con questo libro abbiamo voluto dare il giusto rilievo alla testimonianza di suor Ann Rose perché non si perdesse la traccia di quello che ha significato – ha spiegato Fazzini – Poi volevamo fare in modo che si conoscesse meglio la situazione del Myanmar, la travagliata storia di un popolo che ha un filo rosso con l’Italia che andrebbe riscoperta”. I primi missionari, infatti, nel Settecento furono padri barnabiti italiani. Poi l’evangelizzazione toccò al Pime, che annovera cinque martiri nell’allora Birmania. Altre tre figure italiane del Pime sono state importanti per il Myanmar in tempi più recenti: fratel Felice Tantardini, di cui è in corso la causa di beatificazione, il beato Clemente Vismara e padre Cesare Colombo, ideatore di un lebbrosario negli anni 50 che è stato preso a modello dall’Organizzazione mondiale della sanità.