Philipp Spörry, ex Cancelliere del cantone del Vallese in Svizzera, ha pubblicato un articolo su Kath.ch, il sito ufficiale della Conferenza Episcopale Cattolica Svizzera, in cui analizza criticamente la questione degli abusi sessuali nella Chiesa cattolica e il ruolo e l’influenza dei media in essa, presentandola come una sfida per la Chiesa. L’articolo inizia facendo riferimento a uno studio condotto dall’Università di Zurigo, commissionato dalla Conferenza Episcopale Cattolica Svizzera. Si tratta di uno studio sugli abusi sessuali commessi nella Chiesa cattolica romana in Svizzera dal 1950. Lo studio riporta 510 individui accusati e 921 vittime.
La pubblicazione dell’indagine, afferma Spörry, ha portato a un cambiamento radicale: “Da un periodo di insabbiamento e occultamento, siamo passati a una fase di sospetto nei confronti del clero. Le accuse di abuso sono diventate più frequenti e le istituzioni ecclesiastiche hanno reagito rimuovendo gli accusati dalle loro funzioni ecclesiastiche.”
Sebbene la Conferenza Episcopale abbia deciso di essere trasparente e di occuparsi dei casi di abuso e risarcire le vittime, questo atteggiamento non ha ripristinato completamente la fiducia dei media e dei social network nei confronti della Conferenza Episcopale.
Pressione dei media e dei social network
Di fronte a un diffuso sospetto di colpevolezza clericale, alcune persone emergono per sfruttare queste notizie con proprie dichiarazioni. Spörry afferma che “i religiosi possono essere denigrati come autori di abusi sulla base di semplici accuse. Il religioso diventa il bersaglio di una tempesta di discredito, ossia in breve tempo numerosi commenti negativi si diffondono attraverso i social network, portando a conseguenze esistenziali di vasta portata per il religioso in questione.” E aggiunge che “lo stress che ne deriva rappresenta un rischio considerevole per la reputazione del religioso. A causa della pervasività dei social e della loro potenza che genera un vortice di accuse, il chierico non è più in grado di difendersi da tale discredito e l’accusato è pubblicamente marchiato come aggressore e considerato colpevole, senza ulteriori indagini o prove.”
E continua affermando che: “Con l’aiuto dei social network, un’accusa diventa un fatto provato per l’opinione pubblica e l’indignazione contro questo religioso si diffonde come una valanga. Nel frattempo, possiamo vedere che è sufficiente scatenare un vortice di accuse contro una persona affinché la sua carriera nell’istituzione giunga ben presto a una brusca conclusione.” L’autore si chiede “in circostanze come questa, dov’è il senso della verità e della giustizia? Chi garantirà che l’accusato possa esercitare i propri diritti? I media e i social network sono senza dubbio strumenti formatori d’opinione, ma non sono responsabili delle loro indicazioni e le loro affermazioni non sono soggette alla presentazione di prove.” Di fatto, il diritto alla presunzione d’innocenza non viene affatto considerato.
Il quadro giuridico
Spörry fa poi riferimento al quadro costituzionale, che deve essere sempre preso in considerazione nei casi di sospetto, esprimendo che “ciò che è decisivo in uno stato di diritto non è la condanna di una persona da parte dei social network, ma il giudizio di un legittimo tribunale penale, che si basa su prove e concede all’accusato il diritto alla difesa,” e continua affermando che “la presunzione d’innocenza garantita dai diritti fondamentali e umani stabilisce che tutti sono presunti innocenti fino a prova contraria e fino a condanna di sentenza passata in giudicato. Questo ha lo scopo di garantire che l’accusato sia protetto da qualsiasi pregiudizio.”
Una risposta rapida per le vittime
“Per rendere giustizia a tutte queste vittime che spesso hanno denunciato i crimini sessuali subiti diversi decenni dopo,” spiega l’autore, “la Conferenza Episcopale Svizzera era dell’opinione che queste persone dovessero [FM1] essere risarcite almeno attraverso una procedura semplice. Tuttavia, la lodevole volontà fondamentale della Chiesa cattolica di rendere giustizia alle vittime e risarcirle per le loro sofferenze sta attualmente creando una possibile conseguenza che anche false vittime potrebbero farsi avanti per scopi di lucro o per altri motivi con l’obiettivo di richiedere risarcimenti economici per se stesse.” Aggiunge che “il 30 giugno 2016, le tre istituzioni ecclesiali nazionali in Svizzera hanno adottato una direttiva sul pagamento a titolo risarcitorio nell’ambito ecclesiastico nei confronti delle vittime di violenza sessuale cadute in prescrizione. La Conferenza Episcopale ha istituito la Commissione per il Risarcimento.”
Ma rimane una questione difficile da risolvere. Si tratta della sfida di distinguere in questo procedimento tra vittime autentiche e false in assenza di prove.
Accuse errate
Spörry cita il caso dell’ex vicario della diocesi di Losanna, Ginevra e Friburgo, Nicolas Betticher, che nel contesto delle indagini da lui condotte sugli abusi nella diocesi ha accusato sei vescovi e capi monasteriali di aver coperto attivamente casi di abuso, richiedendo in una lettera al nunzio l’applicazione immediata del diritto canonico contro queste persone.
L’autore riporta che: “a seguito di un’indagine canonica preliminare volta a fare luce sulle accuse mosse, il Vescovo Joseph Maria Bonnemain, incaricato dal Vaticano per questo compito, ha condotto l’indagine insieme al giudice cantonale di Neuchâtel, Pierre Cornu, e alla professoressa di diritto penale Brigitte Tag di Zurigo. Il loro dossier insieme alla valutazione del Vaticano ha dichiarato che “sono stati trovati solo errori, omissioni e negligenze nell’ambito delle norme procedurali canoniche e che non vi era alcuna colpa, tale da richiedere l’apertura di procedimenti penali interni nella Chiesa, che sarebbero stati necessari nel caso ci fosse stata una copertura attiva dei casi di abuso.”
Il caso del Padre Kentenich
Per sostenere il suo punto di vista, Spörry ricorre anche al caso del Padre Joseph Kentenich, mai formalmente accusato di alcun crimine e riguardo al quale non è mai stata avanzata alcuna accusa contro la sua integrità morale. Di fronte alla sua insistente richiesta al Sant’Uffizio di essere informato su qualsiasi accusa e alla sua richiesta di essere sottoposto a processo ecclesiastico che gli consentisse di esercitare la sua difesa e presentare approfonditamente il contributo che desiderava offrire alla Chiesa, non ricevette mai risposta. Dopo 14 anni di esilio, riacquistò la libertà alla fine del Concilio Vaticano II, sotto il pontificato di Papa Paolo VI.
Riguardo a questo caso, l’autore analizza “un altro esempio di campagna diretta contro un religioso,” riferendosi al libro “Vater darf das!” (Il padre può farlo!), della ricercatrice Alexandra von Teuffenbach, spiegando che “è stato pubblicato in Germania per impedire il processo di beatificazione del Padre Joseph Kentenich (1885-1968),” aggiungendo che “dopo la pubblicazione del libro,” (due anni dopo), “il vescovo di Treviri, Stephan Ackermann, sospese il processo di beatificazione e ricevendo l’approvazione del Vaticano,” indicando che “la ricercatrice è arrivata addirittura a chiedere con veemenza l’annullamento definitivo del processo (ndr.:di canonizzazione).”
Spörry critica “la pronta sospensione del processo di beatificazione senza un’indagine tecnica e obiettiva più dettagliata”, ritenendo che “sembra più una reazione autoprotettiva del vescovo di Treviri per non apparire al pubblico come un responsabile inattivo della Chiesa”. L’autore ritiene che “un processo in corso sia stato sospeso senza ulteriori controlli al fine di evitare di essere alla mercé di ulteriori critiche dei media e di attacchi di una parte della stampa prevenuta.”
L’autore ritiene inoltre che “prima della sospensione dei procedimenti il vescovo avrebbe dovuto effettuare un esame sommario della veridicità delle dichiarazioni contenute nel suddetto libro.” Crede che “altrimenti ogni affermazione pubblica priva di valore probatorio legalmente confermato potrebbe influenzare direttamente i procedimenti ecclesiastici in corso.” E conclude: “Un esame sommario avrebbe mostrato se le accuse contenute nel libro dello storico fossero legalmente ammissibili e quindi avente valore probatorio per il processo di beatificazione.”
Va notato che Spörry non è membro di nessuna delle comunità di Schoenstatt. La sua opinione è esterna al Movimento.
Quattro condizioni per sostenere una dichiarazione di attività criminosa
Spörry afferma che quattro condizioni devono essere soddisfatte cumulativamente affinché sia provata una dichiarazione d’attività criminosa ed esemplifica questa affermazione basandosi proprio sul caso Kentenich.
In primo luogo, egli afferma che, è richiesta un sufficiente minimo di prove oggettive
L’autore spiega riguardo a questo particolare caso che “tra migliaia di lettere delle Sorelle Maria trovate in vari archivi, lo storico sceglie” (dagli archivi del Sant’Uffizio – oggi Dicastero per la Dottrina della Fede) “un’unica lettera datata 20 settembre 1948 di una suora, Georgia Wagner. Sembra chiaro all’autore che, secondo il testo della sorella, debba essere accaduto qualcosa di moralmente riprovevole e infine nella personale interpretazione dell’autore diventa abuso sessuale. Tuttavia, in questa lettera non c’è una sola descrizione sulla quale possa basarsi l’accusa di abusi fisici-sessuali da parte di Padre Kentenich. Poiché il tenore letterale della lettera non consente di trarre tale conclusione, tale interpretazione avrebbe dovuto richiedere un’indagine approfondita sulla persona e sulle circostanze delle dichiarazioni effettuate da Georgia Wagner.”
Continua: “Eventi importanti come la sostituzione della Sorella di Maria come superiore della fondazione in Cile e la sua richiesta di tornare in Germania; il deterioramento delle sue condizioni di salute causate dalla malattia di Graves-Basedow e i suoi effetti sul suo comportamento vengono completamente ignorati. Si ignora anche tutto l’ambiente relazionale all’interno della comunità delle Suore di Maria e il suo stretto rapporto con un pallottino, P. Ferdinand Schmidt (suo confessore, noto oppositore di P. Kentenich). Tutti questi e altri riferimenti contestuali sono stati completamente ignorati.”
In secondo luogo, è necessario un incidente grave affinché la presunta accusa possa acquisire rilevanza di interesse pubblico
Nel caso Kentenich, afferma che “poiché non è provato alcun comportamento illecito da parte di P. Kentenich, non c’è nemmeno alcun incidente di grave importanza che possa giustificare un legittimo interesse a denunciarlo.”
In terzo luogo, egli mette in guardia sull’importanza che non vi sia una presentazione unilaterale e che non sia contaminata da pregiudizi
Riguardo a una possibile unilateralità nella ricerca della von Teuffenbach, Spörry espone che “la storica ha cercato quasi esclusivamente negli archivi dei Padri Pallottini di Limburg alcune lettere di insoddisfazione nei confronti del fondatore di questo movimento da parte delle Sorelle di Maria di Schoenstatt. A quel tempo – circa 70 anni fa – c’erano circa 1.500 Sorelle di Maria nel Movimento di Schoenstatt. Tra queste, ha trovate dieci suore insoddisfatte nei confronti della conduzione di Padre Kentenich del Movimento o della Comunità. Queste lettere, che mancano anche di riferimenti contestuali e di analisi, costituiscono la base del suo libro. L’autore cerca quindi collegare tra loro i contenuti di queste lettere in modo tale da dedurre un abuso sistematico da parte del fondatore contro le Sorelle di Maria in generale ed in particolare nei confronti di quelle Sorelle di Maria insoddisfatte.” E conclude: “Il punto di vista di Padre Kentenich è presentato in modo estremamente elementare e peggiorativo. Non vengono presentati argomenti e informazioni che possano parlare a favore dell’innocenza di P. Kentenich”. Anche negli archivi del Dicastero per la Dottrina della Fede abbondano tali omissioni.
Va sottolineato che le dieci sorelle insoddisfatte, a cui si riferisce l’autrice, scrivono queste lettere critiche nei confronti del Padre Kentenich 15 anni – o più – dopo la lettera di Suor Georgia. Scrivono su richiesta del Padre Köster, un sacerdote Pallottino oppositore di Padre Kentenich; questi raccoglie queste lettere nell’archivio Pallottino a Limburg. Tra l’altro, queste sorelle avevano già lasciato la comunità quando scrissero le lettere. Un altro sacerdote Pallottino guida von Teuffenbach in quell’archivio, come sottolineato dalla stessa autrice nel suo libro. Queste lettere erano già nell’archivio della causa beatificazione del Padre Kentenich nella diocesi di Treviri. Padre Köster le aveva inviate nel 1990 proprio per cercare di fermare il processo; cosa che all’epoca non sortì alcun effetto.
In quarto luogo, l’interessato deve essere ascoltato e deve avere la possibilità di presentare la sua versione dei fatti
A riguardo Spörry afferma che “dalla pubblicazione in questione e dalla reazione dell’Istituto Secolare delle Sorelle di Maria di Schoenstatt, si può dedurre che l’autrice non ha consultato le Sorelle di Maria prima di pubblicare il suo libro e quindi non ha dato alle persone che possono esercitare i diritti post mortem di P. Kentenich alcuna opportunità di esprimere la loro opinione”.
Soluzione suggerita per la Svizzera
L’articolo in questione ritorna sulla questione locale della Svizzera, dove si propone che “la Conferenza episcopale svizzera istituisca il Tribunale penale e disciplinare a livello nazionale per ottenere una valutazione nazionale coordinata delle vittime e dei colpevoli”. Si conclude affermando che “sarebbe auspicabile che il Tribunale Penale e Disciplinare svizzero concedesse a tutte le parti coinvolte (vittime ed imputati) pieni diritti processuali comparabili ai codici ordinari delle procedure penali creando così trasparenza e giustizia per tutti. La Conferenza Episcopale svizzera ha fissato gli obiettivi ma come si suol dire: Il diavolo si nasconde nei dettagli.”
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Traduttore: Francesco Mennillo, Roma
Fonti:
Articolo originale di Philipp Spörry in tedesco: https://www.kath.ch/medienspiegel/der-umgang-mit-der-problematik-des-sexuellen-missbrauchs-als-herausforderung-fuer-die-katholische-kirche/
Articolo di Philipp Spörry in spagnolo: https://www.vivitmedia.org/2024/12/18/afrontar-abusos-sexuales-un-reto/