Il declino spesso annunciato di Mitchell Leisen sconvolgerà ancora una volta i suoi profeti. Nello stesso anno, nel 1951, in cui uscì “La stagione degli accoppiamenti” (“Sposati e con suocere”)[1], il regista ci regalò un film delizioso – con un po’ di commedia, dramma, intreccio… e persino mistero: “Caro, come hai potuto!” (“Tesoro, perché l’hai fatto?”, 1951)[2]. Ed essendo tutto questo vero, proponiamo una lettura che ci faccia vedere che c’è ancora molto di più. Cogliamo in ciò che ci viene presentato sullo schermo una riflessione rinfrescante sul “rapporto tra la visione che le donne possono avere di se stesse nel XX secolo e oggi” e il “diritto della famiglia a esistere e progredire come tale”[3 ].
https://www.youtube.com/watch?v=HOcgcwFWoW4
Immaginari che in tanti discorsi ideologici vogliono contrapporre tra loro (si cerca di correlare la liberazione della donna con la distruzione della famiglia) quando in realtà, da una logica cardiale[4], del cuore, sono chiamati a camminare insieme ( la vera felicità di innumerevoli donne per la gioia di aver fondato la loro famiglia e di averla fatta progredire). Ma, come abbiamo visto nel contributo precedente, la logica del cuore è legata alla capacità di novità e di sorpresa, per questo è fortemente consigliabile interrogarsi su nuovi scenari che ci permettano di vedere che si può essere pienamente donna, godere appieno del donarsi ad una famiglia, che a sua volta è chiamata a valorizzarla e valorizzarla. E pochi come Mitchell Leisen – lo abbiamo visto – accettano questa sfida e la sviluppano con successo.
In Leisen è riconoscibile un’autorialità – i suoi film portano il suo sigillo creativo che permette di identificarli come suoi –, che non cade negli eccessi di quello che a volte è stato chiamato autorismo, cioè la rivendicazione della qualità artistica del il film viene solo da lui. “Tesoro, come potresti!” è favorito dal lavoro degli sceneggiatori. In primo luogo, da Dodie Smith (1896-1990), nota per i suoi lavori di scrittura (“La carica dei cento e uno”) (“La carica dei 101”, 1961, di Walt Disney), che aveva già collaborato con Leisen in “A ciascuno il suo Own” (“La vita intima di Julia Norris”, 1946)[5], sebbene non compaia nei titoli di coda. Insieme a lei appare come sceneggiatore Lesser Samuels (1894-1980), che nello stesso anno lavorò con Billy Wilder in “Ace in the Hole” (“Il grande carnevale”).
James Mathew Barrie: da Peter Pan ad “Alice Sit-By-The-Fire”
Ancora più significativo nel testo del film è che è basato sull’opera teatrale di James Mathew Barrie (1860-1937), “Alice Sit-By-The-Fire” [6]. Da qui l’argomentazione originale dei genitori che hanno trascorso molti anni separati dai loro tre figli, mentre hanno lavorato all’estero e al ritorno trovano difficoltà nell’adattamento reciproco. Essi sono particolarmente aggravati dal fatto che l’immaginazione adolescenziale della figlia maggiore, influenzata dall’aver visto opere teatrali basate sulle infedeltà coniugali, attribuisce un errore alla madre. In modo eroico e altruistico, è disposta a sacrificarsi per il bene della famiglia, proponendosi come fidanzata del presunto amante, pur di nascondere al padre la scandalosa situazione e salvare l’onore di moglie della madre.
Un melodramma come questo, Barrie lo presenta come una farsa divertente, e quel tono si ripercuote nel film. Ciò che non dobbiamo perdere di vista è che questo romanziere e drammaturgo scozzese è stato il creatore di Peter Pan, un personaggio immaginario che sembrava trasmettere alcuni dei traumi infantili di Barrie. Come è noto, si tratta di un ragazzo che non vuole crescere e che ha una relazione con un’isola di bambini sperduti che, come è stato dimostrato in un manoscritto originale dell’autore, erano bambini abbandonati o orfani. Quest’ultimo aspetto è continuato nel meno noto “Alice Sit-By-The-Fire”, in cui Amy, per evitare che suo padre rinnegasse sua madre, appare alla fine come una ragazza indifesa che chiede a suo padre cosa ne sarà di lei. .lei se ciò dovesse accadere. Ma anche l’atteggiamento della madre, che lontana dai figli, ha prolungato la sua adolescenza, può rappresentare una variante della sindrome di Peter Pan in chiave femminile: la madre che vuole prolungare la sua giovinezza senza accettare pienamente che gli anni trascorrano per lei e che l’educazione dei tuoi figli richiede una maggiore maturità.
Supportato dai suoi sceneggiatori, Leisen ha saputo portare il tema ancora più in là. Cambiano alcuni elementi significativi: scompare il personaggio di Ginevra, amica intima della primogenita Amy, sua anima gemella – il che aumenta il rapporto madre/figlia senza intermediari; l’atmosfera non è britannica senza americana; Il padre non è più un soldato in India, ma un medico nel Canale di Panama, dove la madre svolge un ruolo attivo nelle condizioni avverse, che comporta l’ammirazione dei suoi figli; La famiglia americana ha la presenza di un cagnolino che catalizza con discrezione i sentimenti dei suoi componenti.
Joan Fontaine, Mona Freeman e John Lund
Ma soprattutto ha avuto una triade di attori protagonisti che sono riusciti a rendere la storia ancora più penetrante: la madre, Alce Grey, è interpretata da Joan Fontaine;Amy, la figlia di Mona Freeman, e Dr. Grey, il padre, di John Lund, come abbiamo visto utilizzare l’attore Leisen in molti dei suoi ultimi film. Senza dubbio, Joan Fontaine sì
il peso dell’opera, e rappresenta in modo molto fluido quella donna che deve lottare per regolare il suo orologio dal momento in cui deve già “fare da madre”. Il coraggio del suo personaggio, Alice Gray, di accettare l’inclemenza del tempo e della vita nei Caraibi e nella giungla panamense, ha per lei una compensazione emotiva che Leisen mostra in modo trasparente. È lei la donna ammirata con cui gli uomini del luogo e della nave di ritorno, tanto più che la presenza femminile è scarsa, si disputano le danze. Il marito, lungi dall’impedirlo, lo conferma con la soddisfazione di sapere che si tratta di giochi innocenti, che non possono in alcun modo essere paragonati al loro solido rapporto coniugale.
Questo possibile flirt deriva, come sottolinea Gintautas Vaitoska, dal fatto che «quando un uomo incontra una donna, c’è un aumento di energia… e di speranza di raggiungere la felicità definitiva».[7] La presenza del marito sembra confinarlo. al limite. onesto perché, come continua a sottolineare il medico e terapista lituano, alludendo al prete russo Alexandre Elchaninov, “quando si parla con altri uomini o donne, è opportuno dire solo quello che si direbbe in presenza dei propri cari. coniuge»[8]. Si tratta però di un modo di procedere che comporta dei rischi e che, soprattutto, il personaggio di Alice sa che a un certo punto dovrà finire. Lei fa notare sfacciatamente al marito, sul transatlantico che li riporta a casa, che ne approfitterà quando sua figlia Amy arriverà alla maggiore età… per applicarlo a se stessa.
La performance di Joan Fontaine è particolarmente adatta al suo personaggio perché mostra due qualità che, sebbene possano sembrare opposte, in realtà si completano a vicenda: la fragilità e la bellezza. A partire dal primo, riconoscendosi ancora bambina, Alice Gray sarà insicura, soprattutto alla prospettiva di incontrare i propri figli. Soffre perché non sa se gli piacerà. E l’argomentazione rassicurante del marito a volte è sbagliata – quando le dice che “come possono non amarla se tutti sono pazzi di lei”: l’amore per i bambini non ha nulla a che vedere con la seduzione – e a volte è giusta – quando lo racconta dirle che deve avere fiducia in se stessa: i bambini sanno che lei è la loro madre, con tutto ciò che connota—. Ma sarà lei a dover riconquistare il suo mondo interiore.
Un anno dopo “Tesoro, come potresti!”, Joan Fontaine sfrutterà ancora di più questo aspetto di fragilità quando, sotto la direzione di George Stevens, interpreterà un’attrice alcolizzata in “Qualcosa per cui vivere” (1952), sceneggiato da Dwight Taylor. Riguardo al suo personaggio di Jenny Carey, Roberto Amaba sottolinea: “Come ogni brava attrice, è insicura, patologicamente timida”.[9]Con il tono tipico del melodramma realistico, l’attrice riuscirà a ricostruirsi grazie all’aiuto di un uomo sposato, volontario degli Alcolisti Anonimi, e saprà anche rinunciarvi, per rispetto del suo progetto familiare – con due figli, sua moglie sta aspettando il terzo. Un saper scegliere per il bene dei bambini che Fontaine aveva incarnato nella sua prima collaborazione con Leisen, “Frenchman’s Creek” (“Il pirata e la signora”, 1944).
La bellezza delle donne
Una fragilità che rende la sua bellezza più penetrante, poiché la libera da ogni contatto con l’arroganza che la falsificherebbe. Fontaine aveva trentaquattro anni quando recitò in “Tesoro, come hai potuto!” Nieves Gómez Álvarez, nella sua monumentale monografia sulle donne come persone femminili nell’opera di Julián Marías[10], raccoglie due testi di Ortega e
María sulla bellezza delle donne a quell’età, che oggi estenderemmo facilmente e giustamente fino ai quarantacinque anni. Dice Ortega: “All’età di trent’anni, la personalità incedibile e unica di ogni donna si risveglia, e subito lascia il segno e impone il suo stile sulla bellezza indifferenziata e generica della fanciulla in fiore… la guancia avvizzita assume un aspetto nuova fioritura di giardini interni, in cui l’anima trabocca sulla bellezza precedente, più banale, anche se più fresca.”[11] Nieves Gómez rileva poi: «Marías commenterà quel frammento così: La donna di trent’anni è, dunque, colei che sceglie; allo stesso tempo è scelta personalmente, da se stessa nella sua rigorosa individualità. .” [12]
L’innegabile bellezza di Joan Fontaine viene catturata esplicitamente anche da Julián Marías per mostrare che è completamente lontana da ciò che uno sguardo oggettivante, una reificazione, potrebbe implicare. Faceva parte di quel gruppo di attrici cinematografiche che “non erano quelli che oggi si chiamano ‘sex simboli’, espressione allora non usata. Erano soprattutto persone, donne in cui si poteva intuire, attraverso la loro corporeità, e soprattutto il loro volto, un progetto, una configurazione vitale che era una promessa.»[13]
Quando Amy, sua figlia, riesce a credere di essere coinvolta in un’infedeltà coniugale, dobbiamo prendere atto che ella rientra in quella storia di puritanesimo del teatro che l’ha colpita – paradossalmente prolungata nel film noir, anche se alcuni vogliono dare ha un significato diverso. Il cinema personalista di Leisen, in sintonia con quanto mostra la filosofia di Julián Marías, sostiene, al contrario, che la bellezza nelle donne fa parte della loro stessa personalità, della loro capacità di portare avanti il proprio progetto. Che Alice (Joan Fontaine) sia disposta ad accettare le limitazioni che l’essere madre può comportare su di lei non è una rinuncia al suo modo di essere, tanto meno alla sua forza espressiva: è una conferma della fertilità che accompagna il suo progetto, “ una configurazione vitale che era una promessa”.
E per questo motivo, la parte più tenera e divertente del film ci viene presentata quando assistiamo ad un vero e proprio incontro di boxe tra Alice e Amy (Mona Freeman) per vedere chi si sacrifica di più per il bene dell’altra: Amy, nella sua storia di fantasia secondo cui è disposta a sposare l’uomo che ritiene essere l’amante di sua madre per proteggere il suo onore; Alice, che impedisce alla figlia di sentirsi ridicola, accetta di trascorrere qualche momento da adultera riscattata dalla sua generosità, per non ferirla.
L’esercizio della cura reciproca delle persone nella loro unicità
Che la famiglia abbia il diritto di esistere e di progredire come tale non è un’astrazione. È l’esercizio della cura reciproca delle persone nella loro unicità. La strana situazione dei genitori separati da tempo dai figli per motivi di lavoro, lungi dall’essere una fatalità irrimediabile in “Tesoro, come potresti!”, rappresenta una sfida per ciascuno dei membri della famiglia a dare il meglio di sé per il futuro! bene degli altri. E in un modo unico, la madre e la figlia maggiore danno un saggio di creatività per raggiungerlo.
Che la società e i poteri pubblici debbano rispettare e promuovere “la dignità, la giusta indipendenza, l’intimità, l’integrità e la stabilità di ogni famiglia” non è nemmeno qualcosa di generico ed etereo, ma piuttosto qualcosa di specifico nel fatto che ogni donna possa realizzare il suo progetto familiare non in secondo canoni di una felicità prototipica che non esiste, ma delle proprie scelte di costituire una comunità familiare orientata alla vita e all’amore, alla gioia e alla speranza.
La bioetica non può concepirsi come un’etica civile astratta e generica, i cui principi entrano nella comunità familiare senza comprendere con la dovuta precisione i principi che la governano e che sono esplicitati nella Carta dei diritti della famiglia a cui abbiamo fatto riferimento. Deve essere messa al servizio della logica cardiaca delle donne, della loro stessa razionalità vitale. Come sottolinea Julián Marías: “Le donne assistono intimamente a uno spettacolo unico: quello della personalizzazione. È una forma di saggezza che ha sempre corretto il pensiero astratto dell’uomo e lo ha arricchito enormemente, quando l’uomo è stato abbastanza intelligente per realizzarlo. La donna – e questo ha un collegamento immediato con ciò – ha passato la vita eseguendo operazioni reali e controllabili, con risultati immediati; ha dovuto rispondere pragmaticamente agli effetti.”[14]
Conclusione: un diritto di ogni donna come madre e un dovere di rispetto per tutti gli altri
Quando alla fine del film vediamo i genitori Gray, riuniti con i loro tre figli – oltre ad Amy, Cosmo (David Stollery) e la piccola Molly (Maureen Lynn Reimer)… senza che il cane smetta allegramente di unirsi a loro – accanto a davanti al caminetto, mentre la madre canta la ninna nanna di Brahms con testo in inglese — “Lullaby and Goodnight” — si trasmette un’innegabile armonia e pace che dovrebbe essere espressa come un diritto di ciascuna donna in quanto madre e un dovere di rispetto per tutti gli altri .
José Alfredo Peris-Cancio – Professore e ricercatore di Filosofia e Cinema – Membro dell’Osservatorio di Bioetica – Università Cattolica di Valencia
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[1] Lo abbiamo studiato nel precedente contributo di questa stessa sezione dell’Osservatorio, cfr.https://www.observatoriobioetica.org/2024/07/la-libertad-de-la-mujer-y-madre-como-sujeto-cardial-en-the-mating-season/10002082
[2] Esiste un’edizione in DVD, accessibile da un sito web russo, nella versione originale con sottotitoli in spagnolo, https://ok.ru/video/1317954456265
[3] Cfr. articolo 6 della Carta dei diritti della famiglia: La famiglia ha diritto di esistere e di progredire come famiglia.
a) I poteri pubblici devono rispettare e promuovere la dignità, l’equa indipendenza, la riservatezza, l’integrità e la stabilità di ciascuna famiglia.
b) Il divorzio attenta all’istituzione stessa del matrimonio e della famiglia.
c) Il sistema della famiglia allargata, laddove esiste, deve essere stimato e aiutato perché possa adempiere al suo tradizionale ruolo di solidarietà e di mutua assistenza, nel rispetto dei diritti del nucleo familiare e della dignità personale di ciascun membro.
Cfr. Pontificio Consiglio per la Famiglia. (1983).Carta dei diritti della famiglia presentata dalla Santa Sede a tutte le persone, istituzioni e autorità interessate alla missione della famiglia nel mondo contemporaneo.Città del Vaticano: Vatican.va. Estratto da https://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/family/documents/rc_pc_family_doc_19831022_family-rights_sp.html
[4] Lo abbiamo spiegato nel contributo precedente già citato.
[5] Abbiamo studiato anche questa sezione dell’Osservatorio, https://www.observatoriobioetica.org/2024/05/la-maternidad-como-don-y-responsibilidad-reflexiones-bioeticas-sobre-to-each-his – proprio/10001601
[6] Pubblicato originariamente nel 1919, abbiamo seguito l’edizione di Charles Scribner’s Sons, New York, 1935, accessibile su chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://ia801609.us.archive.org/2/items/alicesitbyfire0000jmba /alicesitbyfire0000jmba.pdf
[7] Vaitoska, G. (2022). Flirtare. In J. Noriega, R. Ecochard, I. Ecochard, Dizionario del sesso, dell’amore e della fecondità (pp. 361-364). Madrid: Didaskalos, p. 361.
[8] Ivi, p. 363
[9] Amaba, R. (2022).Quelle donne! Ritratti della Hollywood dorata, Contracampo Shangrila, p. 153.
[10] Gómez Alvarez, N. (2023).Donna: persona femminile. Un approccio attraverso il lavoro di Julián Marías.Pamplona: Eunsa.
[11] Ivi, p. 66, n. 29.
[12] Ibid., n. 30.
[13] Ibid., p. 220, n. 95.
[14] Marias, J. (1982).Le donne nel XX secolo.Barcellona: Círculo de Lectores, p. 193.