Questo pomeriggio, lasciata la Prefettura Apostolica, il Santo Padre Francesco si è trasferito in auto alla Steppe Arena per la Santa Messa.
Al Suo arrivo, dopo aver effettuato il cambio di vettura, il Papa ha compiuto alcuni giri in golf car tra gli oltre 2000 fedeli presenti e alle ore 16.00 (10.00 ora di Roma) ha presieduto la Celebrazione Eucaristica in lingua inglese, nella XXII Domenica del Tempo Ordinario.
Nel corso della Santa Messa, dopo la proclamazione del Vangelo, il Santo Padre ha pronunciato l’omelia.
Al termine, dopo l’indirizzo di omaggio del Prefetto Apostolico di Ulaanbaatar, Em.mo Card. Giorgio Marengo, I.M.C., e prima della benedizione finale, il Papa ha rivolto ai fedeli e ai pellegrini presenti un saluto finale e alcune parole di ringraziamento. Quindi è rientrato in auto alla Prefettura Apostolica dove ha cenato in privato.
Pubblichiamo di seguito l’omelia e il saluto finale che il Santo Padre ha pronunciato nel corso della Santa Messa:
Con le parole del Salmo abbiamo pregato: «O Dio, […] ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne in terra arida, assetata, senz’acqua» (Sal 63,2). Questa stupenda invocazione accompagna il viaggio della nostra vita, in mezzo ai deserti che siamo chiamati ad attraversare. E proprio in questa terra arida ci raggiunge una buona notizia: nel nostro cammino non siamo soli; le nostre aridità non hanno il potere di rendere sterile per sempre la nostra vita; il grido della nostra sete non rimane inascoltato. Dio Padre ha mandato il suo Figlio a donarci l’acqua viva dello Spirito Santo per dissetare la nostra anima (cfr Gv 4,10). E Gesù – lo abbiamo appena ascoltato nel Vangelo – ci mostra la via per essere dissetati: è la via dell’amore, che Lui ha percorso fino in fondo, fino alla croce, e sulla quale ci chiama a seguirlo “perdendo la vita per ritrovarla” nuova (cfr Mt 16,24-25).
Soffermiamoci insieme su questi due aspetti: la sete che ci abita e l’amore che ci disseta.
Anzitutto, siamo chiamati a riconoscere la sete che ci abita. Il salmista grida a Dio la propria arsura perché la sua vita assomiglia a un deserto. Le sue parole hanno una risonanza particolare in una terra come la Mongolia: un territorio immenso, ricco di storia, una terra piena di cultura, ma anche segnato dall’aridità della steppa e del deserto. Tanti di voi sono abituati alla bellezza e alla fatica del camminare, azione che richiama un aspetto essenziale della spiritualità biblica, rappresentato dalla figura di Abramo e, più in generale, proprio del popolo d’Israele e di ogni discepolo del Signore: tutti, tutti noi infatti, siamo “nomadi di Dio”, pellegrini alla ricerca della felicità, viandanti assetati d’amore. Il deserto evocato dal salmista si riferisce, dunque, alla nostra vita: siamo noi quella terra arida che ha sete di un’acqua limpida, di un’acqua che disseta in profondità; è il nostro cuore che desidera scoprire il segreto della vera gioia, quella che anche in mezzo alle aridità esistenziali, può accompagnarci e sostenerci. Sì, ci portiamo dentro una sete inestinguibile di felicità; siamo alla ricerca di un significato e una direzione della nostra vita, di una motivazione per le attività che portiamo avanti ogni giorno; e soprattutto siamo assetati di amore, perché è solo l’amore che ci appaga davvero, che ci fa stare bene – l’amore ci fa stare bene –, che ci apre alla fiducia facendoci gustare la bellezza della vita. Cari fratelli e sorelle, la fede cristiana risponde a questa sete; la prende sul serio; non la rimuove, non cerca di placarla con palliativi o surrogati: no! Perché in questa sete c’è il nostro grande mistero: essa ci apre al Dio vivente, al Dio Amore che ci viene incontro per farci figli suoi e fratelli e sorelle tra di noi.
E veniamo così al secondo aspetto: l’amore che ci disseta. Primo era la nostra sete, esistenziale, profonda, e adesso pensiamo all’amore che ci disseta. Questo è il contenuto della fede cristiana: Dio, che è amore, nel suo Figlio Gesù si è fatto vicino a te, a me, a tutti noi, desidera condividere la tua vita, le tue fatiche, i tuoi sogni, la tua sete di felicità. È vero, a volte ci sentiamo come una terra deserta, arida e senz’acqua, ma è altrettanto vero che Dio si prende cura di noi e ci offre l’acqua limpida e dissetante, l’acqua viva dello Spirito che sgorgando in noi ci rinnova liberandoci dal pericolo della siccità. Quest’acqua ce la dona Gesù. Come afferma Sant’Agostino, «se ci riconosceremo nell’assetato, ci riconosceremo anche nel dissetato» (Sul Salmo 62, 3). Infatti, se tante volte nella nostra vita sperimentiamo il deserto, la solitudine, la fatica, la sterilità, non dobbiamo però dimenticare questo: «Affinché non veniamo meno in questo deserto – aggiunge Agostino – Dio ci irrora con la rugiada della sua Parola […]. Ci fa, sì, provare la sete ma poi viene ad appagarla. […] Dio ha avuto misericordia di noi e ha aperto per noi una via nel deserto: il Signore nostro Gesù Cristo», e questa è la via nel deserto della vita. «E ci ha procurato una consolazione nel deserto: i predicatori della sua Parola. Ci ha offerto dell’acqua nel deserto, ricolmando di Spirito Santo i suoi predicatori affinché si formasse in essi una fonte di acqua che sale fino alla vita eterna» (ibid., 3.8). Queste parole, carissimi, richiamano la vostra storia: nei deserti della vita e nella fatica di essere una comunità piccola, il Signore non vi fa mancare l’acqua della sua Parola, specialmente attraverso i predicatori e i missionari che, unti dallo Spirito Santo, ne seminano la bellezza. E la Parola sempre, sempre ci riporta all’essenziale, all’essenziale della fede: lasciarsi amare da Dio per fare della nostra vita un’offerta d’amore. Perché solo l’amore ci disseta veramente. Non dimentichiamo: solo l’amore disseta veramente.
È ciò che Gesù, nel Vangelo di oggi, dice con tono forte all’apostolo Pietro. Questi non accetta il fatto che Gesù dovrà soffrire, essere accusato dai capi del popolo, attraversare la passione e poi morire sulla croce. Pietro reagisce, Pietro protesta, vorrebbe convincere Gesù che si sbaglia, perché secondo lui – e così spesso pensiamo anche noi – il Messia non può finire sconfitto, assolutamente non può morire crocifisso, come un malfattore abbandonato da Dio. Ma il Signore rimprovera Pietro, perché questo suo modo di pensare è “secondo il mondo”, dice il Signore, e non secondo Dio (cfr Mt 16,21-23). Se pensiamo che a dissetare le arsure della nostra vita bastino il successo, il potere, le cose materiali, questa è una mentalità mondana, che non porta a nulla di buono e, anzi, ci lascia più aridi di prima. Gesù invece ci indica la via: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 16,24-25).
Fratelli, sorelle, la via migliore di tutte è questa: abbracciare la croce di Cristo. Al cuore del cristianesimo c’è questa notizia sconvolgente, notizia straordinaria: quando perdi la tua vita, quando la offri con generosità in servizio, quando la rischi impegnandola nell’amore, quando ne fai un dono gratuito per gli altri, allora essa ti ritorna in abbondanza, riversa dentro di te una gioia che non passa, una pace del cuore, una forza interiore che ti sostiene. E abbiamo bisogno di pace interiore.
Questa è la verità che Gesù ci invita a scoprire, che Gesù vuole svelare a voi tutti, a questa terra di Mongolia: non serve essere grandi, ricchi o potenti per essere felici: no! Solo l’amore ci disseta il cuore, solo l’amore guarisce le nostre ferite, solo l’amore ci dà la vera gioia. E questa è la via che Gesù ci ha insegnato e ha aperto per noi.
Anche noi, fratelli e sorelle, allora ascoltiamo la parola che il Signore dice a Pietro: «Va’ dietro a me» (Mt 16,23), vale a dire: diventa mio discepolo, fai la stessa strada che faccio io e non pensare più secondo il mondo. Allora, con la grazia di Cristo e dello Spirito Santo, potremo camminare sulla via dell’amore. Anche quando amare significa rinnegare sé stessi, lottare contro gli egoismi personali e mondani, correre il rischio di vivere la fraternità. Perché se è vero che tutto ciò costa fatica e sacrificio e a volte significa dover salire sulla croce, è ancora più vero che quando perdiamo la vita per il Vangelo, il Signore ce la dona in abbondanza, piena di amore e di gioia, per l’eternità.
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Ringraziamento al termine della Messa
Questi due fratelli vescovi, l’emerito di Hong Kong e l’attuale vescovo di Hong Kong: io vorrei approfittare della loro presenza per inviare un caloroso saluto al nobile popolo cinese. A tutto il popolo auguro il meglio, e andare avanti, progredire sempre! E ai cattolici cinesi chiedo di essere buoni cristiani e buoni cittadini. A tutti. Grazie
Grazie, Eminenza, per le sue parole, e grazie per il vostro dono! Lei ha detto che in questi giorni avete toccato con mano quanto mi sia caro il Popolo di Dio che è in Mongolia. È vero, sono partito per questo pellegrinaggio con molta attesa, con il desiderio di incontrarvi e di conoscervi, e ora ringrazio Dio per voi perché, attraverso di voi, Egli ama compiere grandi cose nella piccolezza. Grazie, perché siete buoni cristiani e onesti cittadini. Andate avanti, con mitezza e senza paura, avvertendo la vicinanza e l’incoraggiamento di tutta la Chiesa, e soprattutto lo sguardo tenero del Signore, che non dimentica nessuno e guarda con amore ciascuno dei suoi figli.
Saluto i fratelli Vescovi, i sacerdoti, i consacrati e le consacrate, e tutti gli amici venuti qui da diversi Paesi, in particolare da varie regioni dell’immenso continente asiatico, nel quale sono onorato di trovarmi e che abbraccio con grande affetto. Esprimo particolare gratitudine a quanti aiutano la Chiesa locale, sostenendola spiritualmente e materialmente.
In questi giorni significative delegazioni del Governo hanno presenziato ad ogni evento: ringrazio il Signor Presidente e le Autorità per l’accoglienza e per la cordialità, così come per tutti i preparativi svolti. Ho toccato con mano la tradizionale cordialità: grazie!
Saluto poi di cuore i fratelli e le sorelle di altre Confessioni cristiane e religioni: continuiamo a crescere insieme nella fraternità, come semi di pace in un mondo tristemente funestato da troppe guerre e conflitti.
E il mio “grazie” sentito va a tutti coloro che qui hanno lavorato, tanto e da tanto tempo, per rendere bello, per rendere possibile questo viaggio, e a quanti lo hanno preparato con la preghiera.
Eminenza, ci ha ricordato che la parola “grazie” in lingua mongola deriva dal verbo “rallegrarsi”. Il mio grazie si accorda con questa meravigliosa intuizione della lingua locale, perché è pieno di gioia. È un grazie grande a te, popolo mongolo, per il dono dell’amicizia che ho ricevuto in questi giorni, per la tua capacità genuina di apprezzare anche gli aspetti più semplici della vita, di custodire con sapienza le relazioni e le tradizioni, di coltivare la quotidianità con cura e attenzione.
La Messa è azione di grazie, “Eucaristia”. Celebrarla in questa terra mi ha fatto ricordare la preghiera del padre gesuita Pierre Teilhard de Chardin, elevata a Dio esattamente 100 anni fa, nel deserto di Ordos, non molto lontano da qui. Dice così: «Mi prostro, o Signore, dinanzi alla tua Presenza nell’Universo diventato ardente e, sotto le sembianze di tutto ciò che incontrerò, e di tutto ciò che mi accadrà, e di tutto ciò che realizzerò in questo giorno, io Ti desidero, io Ti attendo». Padre Teilhard era impegnato in ricerche geologiche. Desiderava ardentemente celebrare la Santa Messa, ma non aveva con sé né pane né vino. Ecco, allora, che compose la sua “Messa sul mondo”, esprimendo così la sua offerta: «Ricevi, o Signore, questa Ostia totale che la Creazione, mossa dalla tua attrazione, presenta a Te nell’alba nuova». E una preghiera simile era già nata in lui mentre si trovava al fronte durante la Prima guerra mondiale, dove operava come barelliere. Questo sacerdote, spesso incompreso, aveva intuito che «l’Eucaristia è sempre celebrata, in un certo senso – in un certo senso –, sull’altare del mondo» ed è «il centro vitale dell’universo, il centro traboccante di amore e di vita inesauribile» (Enc. Laudato si’, 236), anche in un tempo come il nostro di tensioni e di guerre. Preghiamo, dunque, oggi con le parole di padre Teilhard: «Verbo sfavillante, Potenza ardente, o Tu che plasmi il molteplice per infondergli la tua Vita, abbassa su di noi, Te ne supplico, le tue Mani potenti, le tue Mani premurose, le tue Mani onnipresenti».
Fratelli e sorelle della Mongolia, grazie per la vostra testimonianza, bayarlalaa! [grazie!]. Dio vi benedica. Siete nel mio cuore e nel mio cuore rimarrete. Ricordatemi, per favore, nelle vostre preghiere e nei vostri pensieri. Grazie.