La storia stimolante di una famiglia con un figlio affetto da paralisi cerebrale

“I due emisferi di Lucca”

Com’è la vita quotidiana delle famiglie con bambini disabili? Il film “I due emisferi di Lucca” mostra questa realtà ignorata, basandosi sulla storia di una famiglia con un figlio nato con paralisi cerebrale. Il film della regista messicana Mariana Chenillo è una lezione di amore incondizionato, di superamento delle difficoltà e di speranza. Tuttavia, questa storia stimolante rivela anche senza mezzi termini gli ostacoli e le sfide che i genitori devono affrontare in una società che considera la diversità una piaga da sradicare attraverso pratiche eugenetiche.

Barbara e Andres sono una coppia felice perché diventeranno genitori. Ma un problema durante il parto fa sì che gli eventi si svolgano in modo molto diverso da come avevano immaginato. Lucca nasce con una grave paralisi cerebrale, dovuta a una crisi respiratoria della madre (Bárbara Mori), che lascia gravi conseguenze sul cervello del bambino. Dieci giorni dopo la nascita, la diagnosi medica conferma l’entità delle lesioni, che i neurologi considerano irreversibili, escludendo che Lucca (Julián Tello) possa camminare, parlare, relazionarsi con gli altri e persino riconoscere i propri genitori. Questa situazione è aggravata dalla crescente frequenza degli attacchi epilettici. Le difficoltà nell’ingestione del cibo rendono inoltre necessario un intervento chirurgico per posizionare un bottone gastrico, per garantire il fabbisogno nutrizionale e facilitare la somministrazione dei farmaci.

Tuttavia, quello che allo spettatore può sembrare un ostacolo insormontabile, non fa che rafforzare l’unità di una famiglia che, dopo la nascita di Lucca, cresce con l’arrivo di Bruno e non perde la speranza che nuove terapie o farmaci possano migliorare le condizioni di vita del membro più vulnerabile. Barbara e suo marito Andrés (Juan Pablo Medina) sanno infatti che non esiste una cura per la paralisi cerebrale del loro figlio, ma confidano che egli possa trarre beneficio dai progressi scientifici e che i trattamenti futuri miglioreranno le sue capacità motorie e la sua capacità di comunicare con le persone che lo circondano. Lucca è un dono per tutti, un fermento di amore incondizionato, una fonte di senso e di senso vitale per un ambiente che cresce in generosità, dono e gioia di vivere. Un solo sorriso di Lucca scioglie i suoi genitori, fa sparire magicamente ogni capriccio del fratello Bruno e, man mano che il film procede, colpisce il cuore e trasforma la visione della diversità degli spettatori.

L’avvincente storia della regista messicana Mariana Chenillo, basata su eventi reali e che sta spopolando su Netflix, raggiunge un punto di svolta quando la salute di Lucca peggiora improvvisamente perché le crisi epilettiche diventano sempre più frequenti e intense e compromettono lo stato neurologico del bambino. Le diagnosi peggiori portano la famiglia ad aspettarsi un esito doloroso quando appare un barlume di speranza. Barbara scopre che un ospedale di Bangalore, una delle capitali più tecnologicamente avanzate dell’India, sta portando avanti un trattamento sperimentale che si rivela promettente per i pazienti con lesioni neurologiche. Barbara e Andrés non esitano, ipotecano la loro casa e viaggiano dal Messico all’India per incontrare il dottor Rajah Kumar (Danish Husain), dopo aver appreso dei risultati positivi su pazienti adulti il ​​cui trattamento aveva migliorato le connessioni cerebrali e la rigenerazione dei tessuti danneggiati. Dopo aver ottenuto le autorizzazioni necessarie, Lucca è il primo bambino a sottoporsi a una terapia non invasiva che gli permetterà di sviluppare la parola, migliorare lo strabismo e relazionarsi meglio con l’ambiente circostante. I suoi rapidi progressi continuano a sorprendere l’equipe medica dell’ospedale messicano, che inizialmente aveva sconsigliato il viaggio ed era radicalmente scettico nei confronti di questo nuovo trattamento.

Difficoltà quotidiane e mancanza di supporto

Il film I due emisferi di Lucca porta onestamente alla luce una realtà ignorata che riguarda le difficoltà quotidiane che devono affrontare le famiglie con bambini con qualche diversità funzionale. Il regista del film mostra anche come molte di queste sofferenze potrebbero essere alleviate, o addirittura eliminate, con più empatia e sostegno da parte della società e delle pubbliche amministrazioni.

In effetti, il percorso emotivo e spirituale di Barbara, Andrés, Bruno e Lucca non è un percorso facile perché nascere e vivere nel mondo con una disabilità significa, ancora oggi, subire un disagio sociale che impedisce la piena inclusione dei più deboli. In questo senso, il film rivela anche come i genitori finiscano per perdere il lavoro perché le loro aziende ritengono che prendersi cura di un figlio disabile influisca negativamente sullo svolgimento efficiente dei loro obblighi lavorativi. La solitudine li rende facili vittime di persone senza scrupoli e truffatori, ruolo interpretato in questo film dal dottor Jaramillo (Bill Rogers), più interessato al guadagno finanziario che al benessere dei pazienti. Le compagnie di assicurazione sanitaria non vogliono coprire i costi delle terapie necessarie, che alla fine sono a carico dei genitori. A questo si aggiunge un’eccessiva burocratizzazione delle amministrazioni pubbliche che cancella il volto di chi ne è colpito e di chi convive con la diversità funzionale, applicando politiche basate su criteri utilitaristici ed economicistici.


Niente di quanto detto sopra può essere separato dalla crescente indifferenza verso la sofferenza altrui o da un’idea irrazionale che si è radicata nella società, secondo cui mettere al mondo una persona disabile è un errore perché soffrirà la vita invece di viverla, porterà solo dolore alla famiglia e costituirà un peso per un modello di società disumanizzato. Questa prospettiva dà sfogo a pratiche eugenetiche che non rispettano in alcun modo la dignità intrinseca della persona o il valore della vita umana, indipendentemente dalle condizioni specifiche.

Dignità, diversità e bioetica

Il film invita a una riflessione bioetica in una prospettiva di diversità che non violi il rispetto della dignità che rende tutti uguali, come proposto dal modello bioetico personalista. La realtà ci pone di fronte a due strade radicalmente opposte per correggere le drammatiche conseguenze dell’erroneo rapporto tra disabilità e disagio sociale. Una soluzione, che purtroppo sta prendendo piede, è l’eliminazione della diversità. Ciò conferisce legittimità morale alla negazione dell’esistenza di coloro che non sono considerati persone. Certamente, se non ci sono persone disabili, l’idea di flagello o di svantaggio sociale scompare. Ma un’altra strada, più incoraggiante e umana, è quella di costruire società capaci di eliminare la visione che associa la disabilità a un valore inferiore della persona e a una vita in condizioni inferiori rispetto alle altre. Questo approccio renderebbe più facile per chiunque sia interessato da una diversità funzionale sviluppare la propria vita con pari opportunità, senza essere escluso o discriminato, ma accolto e beneficiando dell’assistenza e del sostegno educativo che merita.

Naturalmente, un’interpretazione distorta dell’autonomia o dei diritti individuali non ci prepara adeguatamente ad affrontare problemi come quelli evidenziati in questo film e altri come la clonazione, i “bambini su richiesta” o l’ingegneria genetica. Concludo con alcune riflessioni illuminanti del filosofo e bioeticista Michael Sandel che sono essenziali nel nostro panorama morale: umiltà, responsabilità e solidarietà. In un mondo sociale che valorizza il dominio e il controllo, la genitoriali è una scuola di umiltà perché ci invita ad accogliere l’imprevisto, afferma Sandel. Questo pensatore avverte che la perdita di umanità moltiplica la responsabilità nella misura in cui ci sarà meno da attribuire al caso e più alla scelta. Cosa significa? Questa solidarietà consiste nell’apprezzamento di ciò che si è ricevuto, perché nessuno è pienamente responsabile del suo successo. Se si lasciasse che il caso fosse sostituito dalla scelta, il valore delle conquiste umane e simili perderebbe terreno, così come il nostro apprezzamento per un mondo condiviso. Vale a dire che si tenderebbe a considerare che ogni persona è interamente responsabile del proprio successo.

La conseguenza non è da poco, perché i soggetti colpiti non sarebbero meritevoli di risarcimento e solidarietà, ma anzi considerati “inadatti e bisognosi di riparazione eugenetica”. Ecco come il controllo genetico erode la solidarietà e ignora il senso dei diritti inalienabili, inviolabili e indisponibili. Sandel sottolinea: “La rivoluzione genetica è arrivata per curare la malattia, ma è rimasta per tentarci con la prospettiva di ottimizzare le nostre prestazioni, progettare i nostri figli e perfezionare la nostra natura. Il nostro desiderio di vederci in cima al mondo e di dominare la natura è una visione errata della libertà che minaccia di sopprimere il nostro apprezzamento della vita come un dono e di non lasciarci nulla da affermare o contemplare oltre alla libertà stessa”.

Amparo Aygües – Laurea Magistrale in Bioetica presso l’Università Cattolica di Valencia – Membro dell’Osservatorio di Bioetica – Università Cattolica di Valencia