La sedazione palliativa è una buona pratica medica?

Una pratica medica etica e necessaria per alleviare la sofferenza senza affrettare la morte

Un malato terminale ha diritto alla sedazione palliativa? Sì, finché è indicato, e quando è indicato e c’è il consenso, il medico ha l’obbligo di applicarlo. In questo caso non trova posto l’obiezione di coscienza, né sarebbe possibile opporsi a ogni altro trattamento correttamente indicato. Abusare della sedazione è grave quanto non applicarla quando è necessaria per il paziente.

Potresti trovare strano il titolo, ma l’ho scelto intenzionalmente. A volte la sedazione palliativa non viene utilizzata come buona pratica medica. Sarai però tu, caro lettore, che alla fine di questo articolo potrai valutare se questo trattamento costituisce o meno una buona pratica medica.

Tutti i medici dovrebbero tenere conto di quanto dice il nostro Codice di Etica Medica, al suo articolo 38.5: “La sedazione palliativa nel malato terminale è un trattamento corretto e indicato quando sono presenti sintomi refrattari che non possono essere controllati con le cure disponibili. Per effettuarla è necessario ottenere il consenso esplicito o implicito del paziente […].

Nella nostra attività professionale verifichiamo che ci siano pazienti che, a un certo punto dell’evoluzione della loro malattia, presentano uno o più sintomi refrattari al trattamento che stanno ricevendo e che causano sofferenze insopportabili. In questa situazione dovremmo ridurre la coscienza del paziente per garantire una morte pacifica, senza sofferenza.

Ma la necessità di ridurre la coscienza di un paziente nei giorni o nelle ore precedenti la sua morte è stata ed è oggetto di controversia, sia nei suoi aspetti clinici, etici, legali e religiosi. Oggi continuano a esserci idee confuse, nella società e nella nostra professione, sulla sedazione palliativa. Inoltre, chi non conosce le indicazioni e la tecnica della sedazione o non ha esperienza in medicina palliativa, potrebbe confonderla con una forma nascosta di eutanasia.

Dobbiamo tenere presente che la sedazione, di per sé, è una risorsa terapeutica neutra e, quindi, eticamente neutra. L’obiettivo che cerchiamo con la sedazione è la misura per valutare l’atto come etico o meno. La sedazione non dovrebbe essere definita “eutanasia lenta” o “eutanasia nascosta”; questa sarebbe negligenza medica. Il medico è obbligato a sedare solo al livello necessario per alleviare i sintomi refrattari. L’uso della sedazione palliativa è accettabile purché venga mantenuto un adeguato aggiustamento delle dosi del farmaco. Se la dose di sedativo supera quella necessaria per ottenere il sollievo dei sintomi, ci sarebbe motivo di sospettare che lo scopo del trattamento non sia il sollievo del paziente, ma piuttosto l’anticipazione della sua morte. Ecco perché la dose da usare è quella indicata dal controllo dei sintomi, perché una dose insufficiente prolungherebbe sofferenze inutili durante il processo della morte, mentre una overdose causerebbe la morte.

Vale la pena ricordare che esiste una differenza chiara e rilevante tra sedazione palliativa ed eutanasia se osservata dal punto di vista dell’Etica e della Deontologia Medica. Il confine tra i due si trova nell’intenzione, nella procedura e nel risultato. La sedazione mira a ridurre il livello di coscienza, con la dose minima necessaria di farmaci, per evitare che il paziente si accorga del sintomo refrattario. Nell’eutanasia si ricerca deliberatamente la morte prematura dopo la somministrazione di farmaci in dosi letali, per porre fine alle sofferenze del paziente.


Non c’è posto oggi, nella medicina veramente umana, per l’incompetenza terapeutica di fronte alla sofferenza terminale, sia essa sotto forma di cure inadeguate per dosi insufficienti o eccessive, o di abbandono. Considerata la sofferenza refrattaria del paziente, è dovere deontologico del medico affrontare con decisione la sedazione palliativa, anche quando tale trattamento potrebbe comportare, come effetto collaterale, un’anticipazione indesiderata della morte.

La sedazione implica, per il paziente, una decisione dal profondo significato antropologico: quella di rinunciare a vivere consapevolmente la propria morte. Per la famiglia ha anche importanti effetti psicologici ed emotivi. Questo è il motivo per cui tale decisione non può essere presa alla leggera dall’equipe sanitaria, ma deve essere il risultato di una ponderata deliberazione tra tutti e di una riflessione condivisa sulla necessità di ridurre il livello di coscienza del paziente come strategia terapeutica più efficace e appropriata in tal caso arriva il momento.

Un malato terminale ha diritto alla sedazione palliativa? Sì, finché è indicato, e quando è indicato e c’è il consenso, il medico ha l’obbligo di applicarlo. In questo caso non trova posto l’obiezione di coscienza, né sarebbe possibile opporsi a ogni altro trattamento correttamente indicato. Abusare della sedazione è grave quanto non applicarla quando è necessaria per il paziente.

Quando il medico seda il paziente che soffre in fase terminale e lo fa con criteri clinici ed etici, non ne provoca la morte; Ti impedisce di soffrire mentre muori; Stai portando avanti una buona pratica medica.

Dott. Jacinto Bátiz Cantera – Direttore dell’Istituto per la Migliore Cura – Ospedale San Juan de Dios di Santurce

*Articolo pubblicato su www.medicosypacientes.com