Il ritorno alla commedia leggera
Quando si disse – e oggi lo sostengono spesso gli studiosi – che Mitchell Leisen era entrato in una fase di declino, ci fu una sorpresa. Ha girato un film delizioso[1]. Sicuramente non è un titolo molto appropriato The Mating Season, qualcosa come “la stagione dell’amore”, nella migliore delle ipotesi. Per una volta era molto meglio versione in spagnolo come “Sposato e con due suocere”. Corre l’anno 1951 e dopo la recente riconversione del cinema nero in cinema personale in “No Man of Her Own” (“Latent Lie”)[2], il nostro regista ci regala un film amichevole e luminoso, che ancora una volta ritrae donne libere di concentrarsi sulla propria maternità, mostrando come possono farlo in due modi molto diversi.
Nella sceneggiatura aveva l’insegnante Charles Brackett (1892-1969). Era la loro ultima collaborazione reciproca. Lo scrittore aveva appena firmato quello che sarebbe stato anche il suo ultimo lavoro con Billy Wilder in Sunset Blvd (Il crepuscolo degli dei, Billy Wilder, 1950).Un film cult, ma anche dalle indubbie sfumature amare. Anche Walter Reisch (1903-1983) e Richard L. Breen (1918-1967) sono accreditati come sceneggiatori di The Mating Season.
Forse Leisen e Brackett erano d’accordo nel voler ritornare a quei paesaggi cinematografici dove la bellezza di ciò che viene offerto sullo schermo deriva dalla qualità umana dei personaggi che vengono in questo modo percepiti dallo spettatore. Entrambi, soprattutto il regista, sono stati maestri nel raggiungere questo tono di comunicazione cinematografica. Si sono messi all’opera e secondo noi è chiaro che ci sono riusciti. Erano consapevoli che nel cinema c’è spesso un appello alla ripetizione, il che è estremamente costruttivo. Come accade nella vita, alcuni film funzionano come ripetuti inviti a tornare ai bei ricordi, a goderne e alla sicurezza esistenziale che ci forniscono.
Una filosofia della maternità con tutte le sue sfumature
E uno di quei temi nobilitanti che Leisen amava rivisitare ha a che fare, insistiamo, nel focalizzare la sua considerazione sulle donne per raccontare con la macchina da presa la libertà e l’amore nella storia di alcune madri. Abbiamo brevemente esposto altrove[3] le chiavi di lettura di quest’opera cinematografica di Leisen, in quella che abbiamo definito la sua filosofia della maternità, con tutta la sua gamma di sfumature.
Ora vogliamo chiederci ancora cosa Leisen ha voluto proporre presentando alcune donne che, nell’esercizio della loro libertà, sono singolarmente creative vivendo la maternità come progetto e impegno. E lo facciamo con una parola che ci siamo già lasciati sfuggire nelle prime righe di questo scritto: sorpresa. Perché? Perché, come abbiamo già sottolineato, crediamo che non ci si aspettasse che Leisen e Brackett potessero realizzare un film così accattivante dopo aver avuto successi così recenti nell’esplorazione della tristezza o dell’oscurità dichiarata della condizione umana. E forse proprio per questo non è prevedibile che proprio in quei momenti si ricorresse a una risorsa così tipica della vita quotidiana come quella esposta in questa commedia.
E ci rivolgiamo, come è tipico del nostro modo personalistico di analizzare il cinema, a una scrittura filosofica che ci aiuti a comprendere meglio ciò che vediamo sullo schermo. La comparsa nel 2023 della traduzione spagnola dell’opera della fenomenologa francese Natalie Depraz (1964), Le sujet de la Surprise: Un sujet cordial — Fenomenologia della sorpresa: un soggetto cordiale (Depraz, 2023) — ha permesso di riflettere su un argomento raramente considerato dai trattati di filosofia o anche dagli studi cinematografici. Ma crediamo che sia essenziale quando si tratta di proporre i rapporti tra bioetica e cinema, per tutto ciò che rivela sulla condizione umana, nelle sue fibre più sensibili.
Una narrazione è alterata nel suo ritmo dal continuo presentarsi di sorprese
Permetteteci di raccontare la trama del film secondo questo tenore come “una concatenazione di sorprese”. Possiamo anche pensare che si tratti di una risorsa quasi indispensabile affinché un tema già affrontato in successive occasioni da Leisen – la libertà della donna dalla maternità – risulti allo stesso tempo nuovo per lo spettatore e per lo studioso. Risorsa paradossale, completamente efficace.
In The Mating Season, il ritmo della narrazione è alterato dal continuo presentarsi di sorprese. Vediamolo: si inizia con una donna, Ellen McNulty (Thelma Ritter) che deve abbandonare la sua attività e la sua città perché non può permettersi il prestito bancario; Suo figlio, Val McNulty (Joseph Lund), che lavora in un’altra città anche di notte per avanzare nell’azienda in cui è impiegato, viene inviato dal suo capo ubriaco, George G Kaliner Jr. (James Lorimer) per salvare il giovane azienda uomo che è stato turbato e che è nei guai; Quando la trova, il cui nome è Maggie Carleton (Gene Tierny), scopre che è con l’auto sull’orlo di un burrone, sul punto di cadere; La soccorre con cautela – l’auto, ovviamente, cade subito da un dirupo -, la prende tra le braccia, si guardano, entrambi ricevono la cotta e senza pensarci troppo decidono di sposarsi.
Da lì nascerà la sorpresa più grande e la risorsa centrale del film. Mentre prepara un ricevimento per gli ospiti per celebrare il suo matrimonio nell’appartamento che Val ha affittato, Maggie prende Ellen, sua suocera, come qualcuno che l’agenzia di collocamento ha inviato per aiutarla. Si tratta, come sappiamo, di una donna umile e laboriosa, che contrasta con l’ambiente elitario e raffinato in cui la giovane è cresciuta. Ellen McNulty manterrà la sua ambiguità per stare vicino al figlio senza creare problemi finanziari, accettando il posto di cuoca che le viene offerto. Tutto si complicherà quando la madre di Maggie, Fran Carleton (Mirian Hopkins), apparirà inaspettatamente con l’intenzione di alloggiare nel piccolo appartamento della giovane coppia.
Con chiarezza, Leisen espone due modi radicalmente diversi di avvicinarsi alla maternità, attraverso due donne vedove. Ellen McNulty fa un esercizio di abnegazione per non interferire nello sviluppo della comunità coniugale appena contratta. Fran Carleton, invece, non sopporta il fatto che sua figlia abbia sposato un “nessuno” e farà di tutto per affrontare la coppia, per cercare di farli separare. Comincia chiedendo che sia lei a condividere la camera da letto con sua figlia, mandando Val sul divano del soggiorno, davanti allo sguardo stupito di Ellen.
La situazione raggiunge la massima tensione quando Fran sorprende segretamente il genero con una conversazione affettuosa con Ellen, che lo porta a pensare maliziosamente all’infedeltà. Mentre lo racconta a sua figlia, alcuni amici di Ellen appaiono chiedendola come la signora McNulty, il che porta alla luce la strana situazione che si è verificata. Maggie trova insopportabile che suo marito le abbia tenuto lontana sua madre in quel modo. Lei attribuisce di averlo fatto per prosperare professionalmente, e questo provoca una profonda crisi nei novelli sposi, perché nel marito non cercava l’altezza sociale, ma piuttosto l’autenticità.
“Tutti i cani randagi della città lo amavano; Questa è la prova.”
Leisen e Brackett prepareranno una soluzione del tutto fuori dall’ordinario al conflitto creato. Introdurranno un personaggio provvidenziale, Mr. Kaliner Sr. (Larry Keating). Completamente stufo dei modi viziati e capricciosi di suo figlio, prende una posizione decisiva dalla parte di Maggie e Val. E non solo. Incontrerà Ellen McNulty, prima come semplice serva, e poi inizierà a professare per lei una profonda ammirazione. Vedrete in lei la donna pratica che sa come salvare il suo vestito dalla goffaggine del figlio che gli ha fatto cadere sopra una fetta di torta, utilizzando un
coltello invece di uno straccio. Anche lui in prestito da Maggie e Val, viene a servirlo quando il signor Kaliner Sr. è malato, applicando efficaci rimedi casalinghi.
È soprattutto in quel momento che ascolta la sua storia di vedova che amava sinceramente suo marito, nonostante le sue tante debolezze. L’imprenditore le chiede se fosse un bravo ragazzo, lei dà una risposta che fa riferimento ai valori del cuore: “tutti i cani randagi della città lo amavano; questa è la prova”[4]. E quando lui insiste nel chiederle se lo amava, lei gli dice che può scommetterci. L’uomo d’affari, abituato a un mondo sociale artificiale, comincia ad apprezzare ciò che viene trasmesso dallo stile di vita più autentico delle persone semplici.
Alla fine, Val riconoscerà che la sua Maggie ha ragione e che non esiste alcuna posizione professionale che giustifichi nascondere chi sia sua madre nemmeno per un secondo, tanto meno vergognarsi di lei. Leisen e Brackett lo confermano in un’ultima scena magistrale, in cui Ellen McNulty cammina felice per strada, dopo aver visto suo figlio riconciliato con Maggie, e già orgoglioso di lei, sua madre. Con un ombrello puoi resistere alla pioggia. Per un’auto che la invita a salire. È il signor Kaliner Sr. Lei resiste perché dice che è bagnata e le dirà che l’auto è smarrita. Il milionario insiste. Ellen è d’accordo e mentre l’auto parte, la proposta di matrimonio non potrebbe essere più eloquente, proveniente da un uomo della sua posizione: “Anche cani randagi come me”.
Le sorprese ci trasformano in soggetti senza pretese, sempre aperti.
Natalie Depraz afferma giustamente che… le sorprese ci trasformano in soggetti senza pretese, sempre aperti, soggetti che si assumono il rischio di non sapere, il rischio
di perdersi, di essere privati delle nostre sicurezze, di crollare nel nostro centro più intimo, pietrificati; stordito, galvanizzato, dipende. La sorpresa, piccola o grande, mi mette di fronte all’incomprensibile e mi impone l’assenza di significato, anche se significa slancio, vertigine, disperazione. (Depraz 2023: 27).
E aggiunge in tono un po’ provocatorio: “la cosa sorprendente è che la sorpresa non è un concetto filosofico. Questa è forse la sorpresa più bella” (Ibidem). Successivamente indica in modo persuasivo l’effetto che ci procura questo tipo di esperienza.
La sorpresa ci fa uscire da noi stessi. E di conseguenza, ci costringe a confrontarci con l’alterità. All’altro, certo, ma anche a quell’altro in Noi, che è il nostro altro più intimo e che spesso conosciamo molto poco. (Depraz, 2023: 33)
The Mating Season ne è un buon esempio. Sia Ellen, suo figlio e suo marito, sia Mr. Kalinger Sr. percorrono quella strada che li porta a uscire da se stessi (Ellen lascia la sua attività, cambia città; Val deve assumere le sue origini modeste; Maggie abbandona la sua vita protetta; l’uomo d’affari si permette essere accuditi da qualcuno di umile…) che permette loro di riconoscere meglio gli altri e se stessi.
Invece della semplice interazione corpo-cervello, propongo l’interazione corpo-cuore-cervello
La cosa più rilevante della teoria della sorpresa e del suo impatto emotivo che Depraz costruisce è che si tratta di una proposta epistemologica che cambia il nostro modo di mettere in relazione le categorie antropologiche fondamentali.
Invece della sola interazione corpo-cervello, propongo un quadro più articolato e completo, strutturato dall’interazione corpo-cuore-cervello. L’inclusione del cuore ha il vantaggio di nominare esplicitamente il polo emotivo, legato allo stesso tempo al corpo, da un lato (il ritmo cardiovascolare della pompa muscolare) e al cervello, dall’altro (le aree dell’ippocampo e della l’amigdala, nota per essere le aree cerebrali delle emozioni) (Depraz 2023: 109)
La sua proposta è di passare dalla “neurofenomenologia” alla “cardiofenomenologia” nella misura in cui quest’ultima abbia uno scopo.
Il compito di collegare la componente cardiovascolare (terza persona) e la componente emotiva (prima persona), essendo questi due aspetti, sperimentale ed esperienziale, le due facce di una stessa piega continua, preconscia, dove opera chiaramente il cuore (Depraz 2023: 110 )
Il cuore inizialmente non dipende dagli stimoli cerebrali.
Della solida argomentazione pratica e teorica con cui Depraz sostiene la sua cardiofenomenologia, ci interessa particolarmente quello che egli designa come “l’argomento embriogenetico con significato ontologico”, cioè il sistema cardiaco, motore della crescita dell’organismo:
…se il cervello controlla il corpo, di conseguenza controlla l’organo cuore del corpo, perché altrimenti il cuore sarebbe un organo, un organo unico che avrebbe un’autonomia eccezionale. Ma è noto che le contrazioni cardiache spontanee durante le prime tre settimane di vita dell’embrione avvengono in modo autonomo, prima di qualsiasi reazione nervosa cerebrale.A differenza di altri organi, il cuore in queste prime settimane non inizia a funzionare reagendo agli stimoli provenienti dal sistema nervoso: nasce e si auto-organizza indipendentemente dal cervello, ancor prima di essere funzionale. Pertanto, il cuore inizialmente non dipende dagli stimoli cerebrali. Il controllo del cervello entra in gioco solo più tardi, dopo diversi mesi di vita. Esiste quindi nella vita “una dinamica preneurale” che attribuisce al cuore il primato e la centralità nella crescita organica, e alla quale in seguito si alleerà il cervello. (Depraz 2023: 127)
Inoltre, questo argomento ci permette di capirlo
…il cuore gioca un ruolo metodologico: dalla fisiologia organica preconscia del muscolo cardiaco che irriga il corpo dell’organismo emerge un’affettività che resta, però, irriducibile, come lo è l’esperienza alle sensazioni corporee. (Depraz 2023: 129)
Il cinema costituisce un altro laboratorio per lavorare sulla sorpresa e sul cuore.
Così conclude il fenomenologo francese.
La sorpresa sta in questa dimensione affettivo-organica, immediata e quotidiana per ogni soggetto e a variabile facile da produrre e misurare in laboratorio. In quanto tale, rappresenta il ruolo del cuore. Mobilita in modo esemplare la piega cardiaco-affettiva del cuore, e offre un luogo concreto di esperienza per un soggetto che d’ora in poi chiamerò “cardiale”. (Depraz 2023: 130)
Senza dubbio il cinema costituisce un altro laboratorio sui generis per lavorare sulla sorpresa, e con essa sul cuore. Almeno certo cinema che si mette al servizio di descrivere adeguatamente la dignità umana (personalismo filmico). E in particolare il cinema di Leisen quando nota la bellezza della maternità, come vediamo in The Mating Season. In esso la donna e la madre come soggetto cardinale appaiono in modo quasi trasparente. Inoltre, le sorprese che i personaggi sperimentano sullo schermo ci allenano a ciò che la vita ci riserva. Guardare Ellen McNulty lottare per il figlio di cui ha dovuto prendersi cura da sola da quando ha perso il marito ci permette di riconoscere l’inevitabile verità che accompagna la procreazione umana.
Conclusione
Come sottolinea acutamente la dottoressa in giornalismo Carola Minguet Civera:
Ogni bambino è un dono e un sacrificio. Un dono e una croce. E la sua educazione, una missione entusiasmante ma sofferta. Il bambino che affascina e affascina, che desidera tanto e ha tanto bisogno dei suoi genitori, non solo si ammalerà, avrà problemi, causerà guai… ma crescerà e farà capire loro che non appartiene a loro, come noi hanno fatto tutti.[5]
Non è solo la nostra società, sempre più confusa su questi temi essenziali, che ha bisogno di ritornare a queste verità. Crediamo che lo sia anche ogni persona come soggetto libero (e cardinale). E noi che vogliamo coltivare la bioetica non possiamo sottrarcene. Il buon cinema ci viene in aiuto perché possiamo rivedere e considerare ciò che non dovremmo mai dimenticare: siamo soggetti cardiaci che, se non ci sono state interferenze tecnologiche, sono cresciuti sotto il cuore di una madre, come amava Giovanni Paolo II indicare. Là è la nostra vera casa che ci porta a vivere secondo l’amore. Ci sono case nuove e ripetute che le donne libere continuano a costruire con il loro cuore e la loro volontà, e con l’impegno di un marito e di un padre che a sua volta si dona totalmente a quel dono e a quella vocazione. A quella gioia e sorpresa incomparabili.
José Alfredo Peris-Cancio – Professore e ricercatore di Filosofia e Cinema – Membro dell’Osservatorio di Bioetica – Università Cattolica di Valencia
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[1] Accessibile su YouTube: https://www.youtube.com/watch?v=2Vn4GWhc7es
[2] Lo abbiamo analizzato nel precedente contributo La lotta per l’accettazione della vita e per la famiglia in “No Man of Her Own”: https://buff.ly/3yaQFQ7
[3] Peris-Cancio, J.-A. (2017). La filosofia della maternità nella filmografia di Mitchell Leisen. In J. Ibáñez-Martín e J. Fuentes, Educazione e capacità: verso un nuovo approccio allo sviluppo umano (pp. 289-305). Madrid: Dykinson.
[4] Su questo modo di presentare il rapporto con gli animali si può consultare la stessa pagina di bioetica e cinema, “La vita è così e il suo contributo alla bioetica”: https://buff.ly/3yaQPab
[5] Carola Minguet Civera, “Genealogia sostenibile”: https://www.sotodelamarina.es/2024/01/Q1/20240109Carola_Minguet.htm