La Corte interamericana dei diritti umani stabilisce che l’aborto non è un diritto
La CIDH respinge l'aborto come diritto e sostiene la Convenzione americana

La Corte interamericana dei diritti umani ha respinto la richiesta delle organizzazioni pro-aborto e della Commissione interamericana dei diritti umani di riconoscere l’aborto come diritto in El Salvador.
Allo stesso modo, non ha accettato la richiesta di considerare il rifiuto di facilitare un aborto come un atto di tortura all’interno del sistema interamericano dei diritti umani.
Sebastián Schuff, presidente del Global Center for Human Rights, ha affermato: “Questa è una grande vittoria, non solo per El Salvador, ma per tutti i paesi”.
Questa sentenza è stata emessa in seguito al famoso caso di Beatriz, una giovane salvadoregna incinta affetta da lupus eritematoso, una malattia autoimmune, che nel 2013 chiese di abortire perché il suo feto era affetto da anencefalia, una grave malformazione mortale.
La richiesta è stata respinta poiché in El Salvador l’aborto è proibito in ogni circostanza. Quattro anni dopo, la giovane donna morì e sua madre, Delmy Cortez, avviò una campagna per ottenere l’accesso all’aborto e la creazione di “protocolli medici e giudiziari per le gravidanze che mettono a rischio la vita e la salute di una donna”.
La Corte interamericana dei diritti umani ha emesso una sentenza storica in questo caso, condannando il governo salvadoregno per aver violato i diritti umani di Beatriz negandole l’aborto terapeutico. Ha però affermato che non esiste alcun diritto all’aborto, rispettando così la Convenzione americana.
Ligia Castaldi, esperta presso la Corte interamericana dei diritti umani nel caso Beatriz, ha spiegato nella sua sentenza che la morte della giovane donna nel 2017 non era collegata alla decisione di negarle l’accesso all’aborto o al divieto di tale pratica da parte del Paese. Come affermato da Aciprensa: “La sentenza non deve essere considerata una condanna a favore dell’ergastolo, poiché la sua più grande omissione è che non riconosce alcun diritto alla bambina Leilani Beatriz, nata viva, né attribuisce alcun valore alla sua vita”. Anche l’aborto non è riconosciuto come un diritto, per cui le restrizioni in questo Paese non sono cambiate fino a oggi.
La situazione dell’aborto in America Latina
Le normative sull’aborto in America Latina variano notevolmente da paese a paese, riflettendo diverse posizioni legali, etiche e culturali in merito alla tutela della vita umana.
In Messico, la Corte Suprema ha eliminato il reato di aborto a livello federale, il che significa che nessuna donna potrà essere penalizzata per questa pratica. Prima di questa decisione, l’aborto era già stato depenalizzato in 12 stati del Paese. A Città del Messico è consentito fino alla 12a settimana di gestazione.
In paesi come Colombia, Argentina, Uruguay e Cuba, l’aborto è legale su richiesta di qualsiasi donna incinta. In Uruguay e Cuba l’aborto è consentito fino alla 12a settimana di gestazione, mentre in Argentina il limite si estende fino alla 14a settimana.
Nelle Americhe, anche altre nazioni come Canada, Guyana e Guyana francese hanno leggi che consentono l’aborto senza restrizioni durante le prime settimane di gravidanza.
D’altro canto, ci sono Paesi in cui l’aborto è consentito solo in determinate circostanze. La Bolivia lo autorizza nei casi di stupro, incesto o quando la salute mentale della donna è a rischio. In Ecuador è consentito solo in caso di stupro, mentre in Perù è consentito quando c’è un rischio per la vita della madre.
In paesi come Antigua e Barbuda, Brasile, Dominica, Guatemala, Panama, Paraguay e Venezuela, l’aborto è generalmente proibito, ma è considerato un’eccezione quando la vita della madre è in pericolo.
Infine, Suriname, Nicaragua, Repubblica Dominicana e Honduras mantengono il divieto totale dell’aborto, senza eccezioni legali, il che rafforza la tutela del diritto alla vita fin dal concepimento in questi paesi.
CNN – Aborto in America – verde: Consentito su richiesta; rosso: autorizzato a salvare la vita della donna; giallo: consentito per preservare la salute; nero: completamente proibito; grigio: incertezza dopo la sentenza della Corte Suprema
Valutazione bioetica
Il cosiddetto aborto terapeutico è un eufemismo che racchiude una grande contraddizione. L’aborto non è in alcun modo terapeutico: né per il bambino che interrompe né per la madre, dato che le conseguenze legate alla pratica dell’aborto sono oggettive.
I progressi della medicina ostetrica hanno permesso di escludere situazioni in cui sarebbe necessario indurre la morte del feto per salvare la madre. Un intervento terapeutico su una donna incinta, volto a salvarle la vita di fronte a una grave malattia, che sia associato a effetti collaterali embriotossici e possa danneggiare o uccidere l’embrione, è bioeticamente ammissibile quando non esiste un’alternativa terapeutica, il doppio effetto è inevitabile e, inoltre, non è intenzionalmente ricercato. Ma non si tratta di un aborto terapeutico, bensì di un intervento terapeutico sulla donna incinta, che questa volta porta con sé inevitabilmente un effetto collaterale sul feto.
Intervenire con l’intenzione diretta di provocare la morte dell’embrione o del feto costituisce in ogni caso un attentato ingiustificato e riprovevole alla vita umana.
Julio Tudela – Cristina Castillo – Osservatorio di Bioetica – Istituto di Scienze della Vita – Università Cattolica di Valencia
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