La confessione cura l’anima e la psiche

Le parole del Papa ai partecipanti al corso sul sacramento della Riconciliazione

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(C) Alessandro Vicentino - Cathopic

Sono circa 800 sacerdoti i partecipanti al XXXII corso sul Foro interno promosso dalla Penitenzieria Apostolica, sul sacramento della confessione. Numeri importanti, come ha sottolineato lo stesso Papa che questa mattina li ha ricevuti nell’Aula Paolo VI. Ad accompagnare i chierici c’erano il Cardinale Mauro Piacenza, Penitenziere Maggiore, il Reggente Krzysztof Józef Nykiel, i prelati, gli officiali e il personale della Penitenzieria, i Collegi dei Penitenzieri ordinari e straordinari delle Basiliche Papali. Secondo il Papa, una partecipazione così ampia “è un buon segno, perché oggi una mentalità diffusa stenta a comprendere la dimensione soprannaturale, o persino vorrebbe negarla”.

“Può far bene, non solo a voi, ma a tutti i sacerdoti confessori, magari approfittando del tempo quaresimale, rileggere e meditare la Nota sul foro interno e l’inviolabilità del sigillo sacramentale, pubblicata dalla Penitenzieria Apostolica nel 2019. Essa tocca aspetti di grande attualità, e soprattutto ci aiuta a riscoprire quanto sia prezioso e necessario, anche ai nostri giorni, il ministero della Riconciliazione, che rende visibile e realizza la misericordia di Dio per gli uomini.

Il perdono, diritto umano

In una recente intervista, con un’espressione inconsueta, ho affermato che “il perdono è un diritto umano”. In effetti, esso è ciò a cui più profondamente anela il cuore di ogni uomo, perché, in fondo, essere perdonati significa essere amati per quello che siamo, malgrado i nostri limiti e i nostri peccati. E il perdono è un “diritto” nel senso che Dio, nel mistero pasquale di Cristo, lo ha donato in modo totale e irreversibile ad ogni uomo disponibile ad accoglierlo, con cuore umile e pentito.

Dispensando generosamente il perdono di Dio, noi confessori collaboriamo alla guarigione degli uomini e del mondo; cooperiamo alla realizzazione di quell’amore e di quella pace a cui ogni cuore umano anela tanto intensamente; contribuiamo, permettetemi la parola, a una “ecologia” spirituale del mondo. Vorrei offrirvi alcuni spunti di riflessione e revisione di vita intorno a tre parole-chiave: accoglienza, ascolto, accompagnamento. Tre dimensioni essenziali del ministero del confessore; tre facce dell’amore, alle quali va aggiunta la gioia, che sempre lo accompagna.

Accoglienza

L’accoglienza dev’essere la prima caratteristica del confessore. È quella che aiuta il penitente ad accostarsi al Sacramento con lo spirito giusto, a non stare ripiegato su sé stesso e il proprio peccato, ma ad aprirsi alla paternità di Dio, al dono della Grazia. L’accoglienza è la misura della carità pastorale, che avete maturato nel cammino di formazione al sacerdozio ed è ricca di frutti sia per il penitente sia per lo stesso confessore, che vive la sua paternità, come il padre del figlio prodigo, pieno di gioia per il ritorno del figlio. Abbiamo noi questa accoglienza e questa gioia?

Ascolto

Il secondo elemento è l’ascolto. Ascoltare – lo sappiamo – è più che udire. Richiede una disposizione interiore fatta di attenzione, di disponibilità, di pazienza. Si devono lasciare i propri pensieri, i propri schemi, per aprire davvero la mente e il cuore all’ascolto. Se, mentre l’altro parla, tu stai già pensando a cosa dire, a cosa rispondere, allora tu non stai ascoltando lui o lei, ma te stesso. In alcune confessioni, non si deve dire nulla o quasi – intendo come consiglio o esortazione – ma solo si deve ascoltare e perdonare. L’ascolto è una forma di amore che fa sentire l’altro davvero amato.


E quante volte la confessione del penitente diventa anche esame di coscienza per il confessore! Di fronte a certe anime fedeli, ci viene da chiederci: ho io questa coscienza di Gesù Cristo vivo? Ho questa carità verso gli altri? Questa capacità di mettermi in discussione?

L’ascolto implica una sorta di svuotamento: svuotarmi del mio io per accogliere l’altro. È un atto di fede nella potenza di Dio e nel compito che il Signore ci ha affidato. Solo per fede i fratelli e le sorelle aprono al confessore il loro cuore; quindi, hanno il diritto di essere ascoltati con fede, e con quella carità che il Padre riserva ai figli. E questo genera gioia!

Accompagnamento

La terza parola-chiave è accompagnamento. Il confessore non decide al posto del fedele, non è il padrone della coscienza dell’altro. Il confessore, semplicemente, accompagna, con tutta la prudenza, il discernimento e la carità di cui è capace, al riconoscimento della verità e della volontà di Dio nella concreta esperienza del penitente. È sempre necessario distinguere il colloquio della confessione vera e propria, vincolato dal sigillo, dal dialogo di accompagnamento spirituale, riservato anch’esso, seppure in forma differente. Il confessore ha sempre come obiettivo l’universale chiamata alla santità, e accompagnare discretamente ad essa.

Accompagnare vuol dire prendersi cura dell’altro, camminare insieme a lui o a lei. Non basta indicare una meta, se poi non si è disposti a fare nemmeno un tratto di strada insieme. Per quanto breve possa essere il colloquio della confessione, da pochi dettagli si comprende già quali siano i bisogni del fratello o della sorella: ad essi siamo chiamati a rispondere, accompagnando soprattutto alla comprensione e all’accoglienza della volontà di Dio, che è sempre la via del bene più grande, la via della gioia e della pace.

Confessione, medicina per l’anima e la psiche

Cari fratelli, ringrazio il Signore con voi per il ministero che svolgete, o che presto vi verrà affidato, al servizio della santificazione del Popolo fedele di Dio. Mi raccomando: abitate volentieri il confessionale, accogliete, ascoltate, accompagnate, sapendo che tutti, ma proprio tutti hanno bisogno del perdono, cioè di sentire di essere amati come figli da Dio Padre. Le parole che pronunciamo: “Io ti assolvo dai tuoi peccati”, significano anche “tu, fratello, sorella, sei prezioso, preziosa per Dio; è un bene che tu ci sia”. E questa è una potentissima medicina per l’anima, e anche per la psiche di tutti.

Si avvicina il Giubileo del 2025. Colgo questa occasione per invitare fin da ora la Penitenzieria, alla cui cura è affidato, per così dire, il “nucleo profondo” di ogni Giubileo, a disporre, in accordo con gli altri organi interessati, quanto necessario perché sia il più fruttuoso possibile il prossimo Anno Santo. Vi incoraggio a utilizzare tutta la creatività che lo Spirito suggerisce, perché la misericordia di Dio possa giungere ovunque e a tutti: perdono e indulgenza!