Questa mattina, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i Membri della Delegazione del Patriarcato Ecumenico, giunta come di tradizione a Roma in occasione della Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha consegnato ai presenti nel corso dell’Udienza:
Eminenza, cari fratelli!
Saluto con affetto ciascuno di voi, membri della Delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, che avete partecipato alla festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo. Sono grato della vostra presenza e ringrazio di cuore Sua Santità Bartolomeo e il Santo Sinodo, che vi hanno inviato tra noi. Attraverso di voi rivolgo un cordiale saluto al mio amato Fratello Bartolomeo e a tutti i Vescovi del Patriarcato ecumenico.
Desidero anzitutto esprimere la mia gioia per il buon esito della quindicesima sessione plenaria della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, che ha avuto recentemente luogo ad Alessandria d’Egitto su generoso invito del caro Fratello, Sua Beatitudine Theodoros II, Papa e Patriarca greco ortodosso di Alessandria e di tutta l’Africa. È stato importante aver condotto una lettura comune del modo in cui si è sviluppato in Oriente e in Occidente il rapporto tra sinodalità e primato nel secondo millennio: ciò può contribuire al superamento di argomenti polemici utilizzati da entrambe le parti, argomenti che possono sembrare utili a rinsaldare le rispettive identità, ma che in realtà finiscono con il concentrare l’attenzione solo su sé stessi e sul passato. Oggi, tenendo a mente gli insegnamenti della storia, siamo chiamati a cercare insieme una modalità di esercizio del primato che, nel contesto della sinodalità, sia al servizio della comunione della Chiesa a livello universale. A questo proposito una precisazione è opportuna: non è possibile pensare che le medesime prerogative che il Vescovo di Roma ha nei riguardi della sua Diocesi e della compagine cattolica siano estese alle comunità ortodosse; quando, con l’aiuto di Dio, saremo pienamente uniti nella fede e nell’amore, la forma con la quale il Vescovo di Roma eserciterà il suo servizio di comunione nella Chiesa a livello universale dovrà risultare da un’inscindibile relazione tra primato e sinodalità.
Non dimentichiamo poi mai che l’unità piena sarà dono dello Spirito Santo e che nello Spirito va cercata, perché la comunione tra i credenti non è questione di cedimenti e compromessi, ma di carità fraterna, di fratelli che si riconoscono figli amati del Padre e, colmi dello Spirito di Cristo, sanno inserire le loro diversità in un contesto più ampio. Questa è la prospettiva dello Spirito Santo, che armonizza le differenze senza omologare le realtà. Noi siamo chiamati ad avere il suo sguardo e dunque a chiederlo insistentemente in dono. Preghiamo lo Spirito senza stancarci, invochiamolo gli uni per gli altri! E condividiamo fraternamente quanto portiamo nel cuore: dolori e gioie, fatiche e speranze.
Il clima di questo incontro ci porta così anche a condividere delle preoccupazioni; una su tutte, quella per la pace, specialmente nella martoriata Ucraina. È una guerra che, toccandoci più da vicino, ci mostra come in realtà tutte le guerre sono solo dei disastri, dei disastri totali: per i popoli e per le famiglie, per i bambini e per gli anziani, per le persone costrette a lasciare il loro Paese, per le città e i villaggi, e per il creato, come abbiamo visto recentemente a seguito della distruzione della diga di Nova Kakhovka. Come discepoli di Cristo, non possiamo rassegnarci alla guerra, ma abbiamo il dovere di lavorare insieme per la pace. La tragica realtà di questa guerra che sembra non avere fine esige da tutti un comune sforzo creativo per immaginare e realizzare percorsi di pace, verso una pace giusta e stabile. Certamente, la pace non è una realtà che possiamo raggiungere da soli, ma è in primo luogo un dono del Signore. Tuttavia, si tratta di un dono che richiede un atteggiamento corrispondente da parte dell’essere umano, e soprattutto del credente, il quale deve partecipare all’opera pacificatrice di Dio.
In questo senso il Vangelo ci mostra che la pace non viene dalla mera assenza di guerra, ma nasce dal cuore dell’uomo. A ostacolarla, infatti, è in ultima analisi la radice cattiva che ci portiamo dentro: il possesso, la volontà di perseguire egoisticamente i propri interessi a livello personale, comunitario, nazionale e persino religioso. Perciò Gesù ci ha proposto come rimedio quello di convertire il cuore, di rinnovarlo con l’amore del Padre, il quale «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,45). È un amore gratuito e universale, non confinato al proprio gruppo: se la nostra vita non annuncia la novità di questo amore, come possiamo testimoniare Gesù al mondo? Alle chiusure e agli egoismi va opposto lo stile di Dio che, come ci ha insegnato Cristo con l’esempio, è servizio e rinuncia di sé. Possiamo esser certi che, incarnandolo, i cristiani cresceranno nella comunione reciproca e aiuteranno il mondo, segnato da divisioni e discordie.
Cari membri della Delegazione, assicuro il ricordo nella preghiera per voi e per la Chiesa che oggi qui rappresentate. Domando al Signore che, per l’intercessione dei Santi Pietro e Paolo e di Sant’Andrea, fratello di Pietro, questo nostro incontro possa essere un ulteriore passo nel cammino verso l’unità visibile nella fede e nell’amore. Fraternamente vi chiedo di pregare per me e per il mio ministero. Grazie.