Questa mattina, nel Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i partecipanti al Convegno di spiritualità scalabriniana promosso dai Missionari di San Carlo (Scalabriniani)
L’udienza di Papa Francesco ai partecipanti alla Conferenza di spiritualità scalabriniana è stato un evento importante che ha riaffermato l’impegno della Chiesa cattolica a difendere i diritti dei migranti. La Chiesa, nella sua testimonianza di amore e misericordia, deve essere un luogo di accoglienza per i migranti, una casa sicura dove trovare rifugio e speranza.
Il Papa ha anche invitato la comunità cristiana a essere una voce profetica per la giustizia e la pace. Sono un invito a continuare a lavorare con vicinanza e amore per costruire un mondo più giusto e fraterno, dove tutti gli esseri umani, indipendentemente dalla loro origine, siano accolti e rispettati.
Discorso del Santo Padre
Cari fratelli e sorelle, benvenuti!
Saluto tutti voi, contento di incontrarvi al termine del Convegno di spiritualità scalabriniana. Avete riflettuto sul versetto biblico: «Io verrò a radunare tutte le genti» (Is 66,18), tema molto significativo per il vostro carisma. Infatti San Giovanni Battista Scalabrini, che vi ha fondati come missionari e missionarie per i migranti, vi ha insegnato, nel prendervi cura di loro, a ritenervi fratelli e sorelle in cammino verso l’unità, secondo le accorate parole della preghiera sacerdotale di Gesù (cfr Gv 17,20-23).
Chiariamoci bene: migrare non è un dolce peregrinare in comunione; è spesso un dramma. E, come ciascuno ha diritto a migrare, così a maggior ragione ha diritto a poter rimanere nella propria terra e a viverci in modo pacifico e dignitoso. Tuttavia la tragedia di migrazioni forzosamente causate da guerre, carestie, povertà e disagi ambientali è oggi sotto gli occhi di tutti. E proprio qui entra in gioco la vostra spiritualità: come disporre il cuore verso questi fratelli e sorelle? Con il sostegno di quale cammino spirituale?
Scalabrini ci aiuta, proprio guardando ai missionari dei migranti come a cooperatori dello Spirito Santo per l’unità. La sua è una visione illuminata e originale del fenomeno migratorio, visto come appello a creare comunione nella carità. Ancora giovane parroco, egli stesso racconta di essersi trovato, alla Stazione Centrale di Milano, davanti ad una massa di migranti italiani in partenza per l’America. Racconta di aver visto «tre o quattro centinaia di individui poveramente vestiti, divisi in gruppi diversi. Sulle facce […] solcate dalle rughe precoci che suole imprimervi la privazione, traspariva il tumulto degli affetti che agitavano in quel momento il loro cuore. […] Erano emigranti […] Si disponevano ad abbandonare la patria» (L’emigrazione italiana in America, 1888). Immagini purtroppo consuete anche per noi. E il Santo, impressionato da quella grande miseria, comprese che lì c’era un segno di Dio per lui: l’appello ad assistere materialmente e spiritualmente quelle persone, perché nessuno di loro, lasciato a sé stesso, andasse perduto, smarrendo la fede; perché potessero giungere, come dice il profeta Isaia, alla santa montagna di Gerusalemme «da tutte le genti come offerta al Signore, su cavalli, su carri, su portantine, su muli, su dromedari» (66,20). Cavalli, carri, portantine, muli e dromedari, a cui potremmo aggiungere oggi barconi, TIR e carrette del mare; ma la destinazione resta la stessa, Gerusalemme, la città della pace (cfr Sal 122,3-9), la Chiesa, casa di tutti i popoli (cfr Is 56,7), dove la vita di ognuno è sacra e preziosa. Sì, per Scalabrini questa Gerusalemme è la Chiesa cattolica, cioè universale, e tale perché “madre”, perché città aperta a chiunque cerca una casa e un porto sicuro.
E qui c’è un primo appello per noi, a coltivare cuori ricchi di cattolicità, cioè desiderosi di universalità e di unità, di incontro e di comunione. È l’invito a diffondere una mentalità della vicinanza – “vicinanza”, questa parola-chiave, è lo stile di Dio, che si fa vicino sempre – una spiritualità, una mentalità della cura e dell’accoglienza, e a far crescere nel mondo, secondo le parole di San Paolo VI, «la civiltà dell’amore» (Omelia per il solenne rito di chiusura dell’Anno Santo, 25 dicembre 1975). Sarebbe però utopico pretendere che tutto ciò possa realizzarsi con le sole forze umane. Si tratta invece di cooperare all’azione dello Spirito, e dunque di agire nella storia sotto la guida e con l’energia che viene da Dio: di lasciarsi conquistare dalla sua infinita tenerezza per sentire e agire secondo le sue vie, che non sempre sono le nostre (cfr Is 55,8), per riconoscerlo in chi è straniero (cfr Mt 25,35) e per trovare in Lui la forza di amare gratuitamente. Lo straniero. Non dimentichiamo queste tre parole dell’Antico Testamento: la vedova, l’orfano e lo straniero. Questa è una cosa importante nell’Antico Testamento: lo straniero.
E qui c’è il secondo appello che ci rivolge il Santo Vescovo di Piacenza, quando insiste sulla necessità, per il missionario, di avere un rapporto d’amore con Gesù, Figlio di Dio Incarnato, e di coltivarlo specialmente attraverso l’Eucaristia, celebrata e adorata. Sottolineo questa parola “adorata”. Penso che abbiamo perso il senso dell’adorazione. Abbiamo preghiere per fare qualcosa…, preghiere belle…, ma [è importante] in silenzio, adorare. La mentalità moderna ci ha tolto un pochettino questo senso dell’adorazione. Riprenderlo, per favore, riprenderlo.
Sappiamo quanto Scalabrini amasse l’Adorazione, a cui si dedicava anche di notte, nonostante la stanchezza per i suoi estenuanti ritmi di lavoro, e alla quale non rinunciava di giorno, pur nei momenti di maggiore attività. Egli non si illudeva e invitava a non illudersi: senza preghiera non c’è missione! Diceva: «[Non] lasciatevi sviare da un certo pazzo sfrenato desiderio di aiutare gli altri, trascurando voi stessi […]. È giusto che voi vi facciate tutto a tutti; ma […] ricordatevi degli Angeli che nella Scala di Giacobbe ascendevano a Dio e discendevano fino a terra […]. Anche voi, infatti, siete Angeli del Signore» (Allocuzione finale al Sinodo Diocesano di Piacenza, 4 settembre 1879). Salire a Dio è indispensabile per poi saper discendere fino a terra, per essere “angeli dal basso”, vicino agli ultimi: non a caso la scala di Giacobbe (cfr Gen 28,10-22) è posta proprio al centro dello stemma episcopale di Scalabrini.
Dunque, care sorelle, cari fratelli, eccovi un invito a rinnovare il vostro impegno per i migranti, e a radicarlo sempre più in un’intensa vita spirituale, sull’esempio del vostro Fondatore. Assieme a questo, però, voglio dirvi un grandissimo grazie, per il tanto lavoro che fate in tutto il mondo! Dai tempi di Buenos Aires sono testimone di questo lavoro, e lo fate tanto bene. Grazie, grazie tante! Andate avanti, Dio vi benedica. E pregate, pregate anche per me, perché questo “mestiere” non è facile!