Dall’ambasciatore di Armenia presso la Santa Sede Garen Nazarian riceviamo e pubblichiamo:
Egregio Signor Acali,
Spettabile Redazione,
Scrivo in merito all’intervista all’ambasciatore dell’Azerbaijan presso la Santa Sede, il sig. Mukhtarov, pubblicata sul vostro sito il 21 febbraio 2023. Vi sarei grato se poteste mettere a disposizione dei vostri lettori le mie opinioni in risposta al racconto dell’Azerbaijan.
Dissimulando le sue reali intenzioni, il signor Mukhtarov sotto il titolo “L’Azerbaijan tende la mano all’Armenia” ha tentato, nuovamente, di promuovere la sua propaganda di stato di stampo sovietico. In primo luogo, la sua intervista contiene una serie di fatti e presupposti alterati, falsità palesi sull’Armenia, sul Nagorno Karabakh e sul corso degli eventi e della geografia nella regione. Il signor Mukhtarov usa queste alterazioni senza molto riflettere sulla gravità e sulle ripercussioni di tali asserzioni.
Mukhtarov parla della cosiddetta “occupazione” senza mai citare ciò che ha preceduto quella “occupazione”. Nei fatti, essa è stata preceduta dal referendum condotto in Nagorno Karabakh, nel pieno rispetto delle norme e della legislazione allora vigenti nella regione. In risposta, le autorità azerbaijane lanciarono un’aggressione su vasta scala, una pulizia etnica e, in ultimo, una guerra totale contro gli armeni nelle città, nei paesi e nei villaggi dell’Azerbaijan.
La comunità internazionale ha assistito e confermato le innumerevoli atrocità e i crimini efferati perpetrati dalle autorità azere nei confronti della popolazione armena indifesa. Basti ricordare che esattamente 35 anni fa, in questi stessi giorni di febbraio, in risposta alla richiesta pacifica e costituzionale del popolo del Nagorno Karabakh di esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione, le autorità azerbaijane organizzarono la folla armata che sferrò un pogrom contro gli armeni che vivevano nella città azerbaijana di Sumgait. Questi massacri furono il primo atto delle uccisioni di massa in seguito perseguiti penalmente dalle autorità sovietiche. Immediatamente dopo aver dichiarato la propria indipendenza dall’Unione Sovietica, tuttavia, l’Azerbaijan liberò i colpevoli di quei crimini e li salutò pubblicamente, attraverso gli organi di informazione, come eroi nazionali. I rapporti delle organizzazioni internazionali per i diritti
umani testimoniarono che quegli eventi avevano lo scopo di esacerbare la paura e l’orrore degli abitanti di etnia armena anche nel resto dell’Azerbaijan. I massacri a Ganja, Baku e in altre città tra il 1988 e il 1991 furono enormi e crudeli e portarono alla deportazione e alla pulizia etnica di oltre mezzo milione di abitanti di etnia armena. A queste atrocità seguirono, dal 1992 al 1994, offensive e operazioni militari azerbaijane senza precedenti pensate per raggiungere una soluzione militare alla questione del Nagorno Karabakh. Ancora una volta fu l’Azerbaijan a dare il via a un’aggressione armata contro il pacifico Nagorno Karabakh.
Nell’intervista il signor Mukhtarov ha anche fatto un pietoso tentativo di presentare il “multiculturalismo” come la forza dell’Azerbaijan. Durante la guerra contro il Nagorno Karabakh – storicamente noto come Artsakh – nell’autunno del 2020 e dopo la Dichiarazione Trilaterale del 9 novembre dello stesso anno, in diretta violazione del Secondo Protocollo alla Convenzione dell’Aia del 1954 e del diritto umanitario
internazionale consuetudinario, l’Azerbaijan ha intenzionalmente demolito e profanato i siti del patrimonio storico e culturale armeno in tutti i territori del Nagorno-Karabakh caduti sotto il suo controllo. La città di Shushi, di particolare valore storico per gli armeni, è stata “etnicamente” ripulita dall’Azerbaijan all’indomani della guerra dei 44 giorni. Nei giorni del conflitto la città è stata obiettivo costante di un bombardamento deliberato e pesante che ha preso di mira in particolar modo le sue chiese, i centri culturali e altri siti di rilevanza storica. Il mondo intero ha assistito ancora una volta all’atteggiamento
intollerante e razzista dell’Azerbaijan nei confronti del popolo armeno e del patrimonio religioso e storico-culturale armeno. I social media azerbaijani hanno pubblicato video e foto in quantità delle atrocità
contro la popolazione civile dell’Artsakh, degli atti vandalici contro khachkar (croci di pietra), siti e monumenti religiosi e della loro deliberata distruzione. La profanazione della chiesa del Santo Salvatore
a Shushi, diventata bersaglio della barbarie Azerbaijana, è, a questo riguardo, particolarmente oltraggiosa.
Oltre alla distruzione fisica o al vandalismo, l’Azerbaijan sta ora perseguendo una politica di falsificazione dei fatti storici e di appropriazione del patrimonio del popolo armeno, presentando i monumenti armeni in Artsakh come “albanesi caucasici”. La distorsione dell’identità del patrimonio armeno è un tentativo di “saccheggio culturale” e assieme una violazione gravissima degli strumenti giuridici internazionali pertinenti. Presentare le chiese armene come albanesi caucasiche è, infatti, una fase intermedia verso la loro “Azerbaijanizzazione”. Le migliaia di monumenti armeni, religiosi e non, nella regione furono eretti secoli prima della creazione dell’Azerbaijan nel 1918 e nulla hanno a che fare con l’identità azerbaijana. Tentare di estraniare i monumenti del popolo armeno non ha alcuna giustificazione storica, religiosa o morale.
Il clima anti-armeno in Azerbaijan e le azioni volte al completo annientamento di ogni traccia della presenza armena in Artsakh costituiscono una violazione evidente del diritto internazionale, contraddicono i valori universali e vanno severamente puniti. Condannando fermamente questa barbarie contro il patrimonio
dell’umanità, l’Armenia, in collaborazione con gli organismi internazionali competenti, continua a intraprendere misure concrete affinché i suoi autori ne siano giudicati responsabili e per impedire
del tutto simili azioni.
Oggi le popolazioni dell’Armenia e del Nagorno Karabakh si trovano ad affrontare sfide senza precedenti che continuano a minacciare la stabilità e la sicurezza della nostra regione e che sono state perfettamente sintetizzate nei recenti appelli lanciati da leader e parlamenti mondiali. In particolare, Papa Francesco nei messaggi del 18 dicembre 2022 e del 9 e 29 gennaio scorsi ha chiesto il rilascio dei prigionieri di guerra armeni e dei civili detenuti in Azerbaijan e la revoca del blocco del corridoio di Lachin. Queste voci forti si sono sentite in Armenia e nel Nagorno-Karabakh e spero siano state sentite e ascoltate anche a Baku.
In tale contesto, gli appelli forti e mirati della comunità internazionale, ivi compresi i media, sono davvero importanti. Da due anni a questa parte, l’Armenia persegue un’agenda di pace e, avendo la volontà politica di normalizzare le relazioni con l’Azerbaijan, si è impegnata in buona fede nei colloqui. In risposta, l’Azerbaijan non solo ha sollevato nuove rivendicazioni territoriali ma ha anche cercato di giustificare la sua ultima aggressione con la falsa argomentazione secondo cui il confine con l’Armenia non è delimitato. A tutt’oggi l’Azerbaijan sta utilizzando ogni possibile strumento di pressione: dalla detenzione illegale di prigionieri di guerra armeni come ostaggi alla diffusione di matrice statale dell’incitamento all’odio contro gli armeni, dalla retorica guerrafondaia all’uso concreto della forza. È altrettanto chiaro che finora le azioni dell’Azerbaijan, incluso il disumano blocco del corridoio di Lachin, hanno dimostrato nuovamente
l’assoluta necessità di un impegno internazionale per affrontare le questioni dei diritti e della sicurezza della popolazione del Nagorno-Karabakh.
In questo preciso momento, la popolazione del Nagorno Karabakh rimane sotto un assedio disumano a causa del blocco illegale del corridoio Lachin, l’ancora di salvezza, l’unica strada che collega il Nagorno-Karabakh con l’Armenia. Creando condizioni di vita insopportabili, l’Azerbaijan mira a costringere la popolazione del Nagorno-Karabakh a lasciare le case e le terre ancestrali. La recente dichiarazione del Presidente dell’Azerbaijan che suggerisce la deportazione di quegli armeni che non vogliono diventare cittadini dell’Azerbaijan viene a dimostrare ancora una volta la loro intenzione di pulizia etnica.
Proprio nei giorni scorsi la Corte Internazionale di Giustizia, il principale organo giurisdizionale delle Nazioni Unite, ha emesso un’ordinanza con effetto vincolante per tutti gli Stati membri. La Corte in particolare stabilisce che “l’Azerbaigian, in conformità con gli obblighi derivanti dalla Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, deve adottare tutte le misure a sua
disposizione per garantire la libera circolazione di persone, veicoli e merci lungo il corridoio di Lachin in entrambe le direzioni”.
Poiché la crisi umanitaria nel Nagorno-Karabakh sta peggiorando di giorno in giorno, non possiamo rimanere a guardare mentre una popolazione lentamente muore di fame a causa di giochi politici e forse
considerazioni geopolitiche. È necessario l’intervento immediato della comunità internazionale per garantire un accesso umanitario senza ostacoli al Nagorno Karabakh. Bisognerebbe spiegare all’Azerbaijan che ci sono delle precise regole internazionali alle quali tutti devono attenersi.
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Prendiamo atto della lunga dichiarazione dell’ambasciatore Garen Nazarian. Non spetta certamente a noi stabilire chi ha ragione e chi ha torto in un conflitto che ha radici antiche e complesse. Da parte nostra l’unico contributo possibile può essere quello di farci megafono delle parole del S. Padre e rilanciare l’invito ad Armenia e Azerbaigian a cercare veramente una pace duratura per il bene della popolazione civile, mettendo da parte, per quanto difficile, rancori e rivendicazioni che non possono favorire un clima di dialogo e di recupero di reciproca fiducia.
A.A.