Alle ore 17.30 di oggi, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, il Santo Padre Francesco ha presieduto la celebrazione dei Secondi Vespri della solennità della Conversione di San Paolo Apostolo, a conclusione della 56.ma Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani sul tema: «Imparate a fare il bene, cercate la giustizia» (Is 1, 17).
Hanno preso parte alla celebrazione i Rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali presenti a Roma.
Al termine dei Vespri, prima della benedizione apostolica, l’Em.mo Card. Kurt Koch, Prefetto del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, ha rivolto al Santo Padre un indirizzo di saluto.
Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia che Papa Francesco ha pronunciato nel corso della celebrazione:
Omelia del Santo Padre
Abbiamo appena ascoltato la Parola di Dio che ha caratterizzato questa Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani. Sono parole forti, tanto forti che potrebbero sembrare inopportune mentre abbiamo la gioia di incontrarci come fratelli e sorelle in Cristo per celebrare una solenne liturgia a sua lode. Già non mancano oggi notizie tristi e preoccupanti, così che dei “rimproveri sociali” della Scrittura faremmo volentieri a meno! Eppure, se prestiamo orecchio alle inquietudini del tempo che viviamo, a maggior ragione dobbiamo interessarci di ciò che fa soffrire il Signore per cui viviamo; e se ci siamo radunati nel suo nome, non possiamo che mettere al centro la sua Parola. Essa è profetica: infatti Dio, con la voce di Isaia, ci ammonisce e ci invita al cambiamento. Ammonimento e cambiamento sono le due parole su cui vorrei proporvi alcuni spunti stasera.
1. Ammonimento. Riascoltiamo alcune parole divine: «Quando venite a presentarvi a me, […] smettete di presentare offerte inutili; […] quando stendete le mani io distolgo gli occhi da voi. Anche se moltiplicaste le preghiere, io non ascolterei» (Is 1,12.13.15). Che cosa suscita l’indignazione del Signore, al punto da richiamare con toni così sdegnati il popolo che tanto ama? Il testo ci rivela due motivi. Anzitutto, Egli biasima il fatto che nel suo tempio, nel suo nome, non si compie ciò che Lui vuole: non incenso e offerte, ma che venga soccorso l’oppresso, che sia resa giustizia all’orfano, che sia difesa la causa della vedova (cfr v. 17). Nella società del tempo del profeta, era diffusa la tendenza – purtroppo sempre attuale – di considerare benedetti da Dio i ricchi e coloro che facevano molte offerte, e disprezzare i poveri. Ma questo è fraintendere completamente il Signore. Gesù proclama beati i poveri (cfr Lc 6,20), e nella parabola del giudizio finale si identifica con gli affamati, gli assetati, i forestieri, i bisognosi, i malati, i carcerati (cfr Mt 25,35-36). Ecco dunque il primo motivo di sdegno: Dio soffre quando noi, che ci diciamo suoi fedeli, anteponiamo la nostra visione alla sua, seguiamo i giudizi della terra anziché quelli del Cielo, accontentandoci di ritualità esteriori e rimanendo indifferenti nei riguardi di coloro ai quali Egli tiene maggiormente. Dio dunque si addolora, potremmo dire, per il nostro fraintendimento indifferente.
Oltre a questo, c’è un secondo e più grave motivo che offende l’Altissimo: la violenza sacrilega. Egli dice: «Non posso sopportare delitto e solennità. […] Le vostre mani grondano sangue. […] Allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni» (Is 1,13.15.16). Il Signore è “irritato” per la violenza commessa verso il tempio di Dio che è l’uomo, mentre viene onorato nei templi costruiti dall’uomo! Possiamo immaginare con quanta sofferenza debba assistere a guerre e azioni violente intraprese da chi si professa cristiano. Viene in mente quell’episodio in cui un santo protestò contro l’efferatezza del re andando da lui in Quaresima a offrirgli della carne; quando il sovrano, in nome della sua religiosità, rifiutò sdegnato, l’uomo di Dio gli chiese perché avesse scrupoli a mangiare carne animale mentre non esitava a mettere a morte dei figli di Dio.
Fratelli e sorelle, questo ammonimento del Signore ci fa tanto pensare, come cristiani e come Confessioni cristiane. Vorrei ribadire che «oggi, con lo sviluppo della spiritualità e della teologia, non abbiamo scuse. Tuttavia, ci sono ancora coloro che ritengono di sentirsi incoraggiati o almeno autorizzati dalla loro fede a sostenere varie forme di nazionalismo chiuso e violento, atteggiamenti xenofobi, disprezzo e persino maltrattamenti verso coloro che sono diversi. La fede, con l’umanesimo che ispira, deve mantenere vivo un senso critico davanti a queste tendenze e aiutare a reagire rapidamente quando cominciano a insinuarsi» (Enc. Fratelli tutti, 86). Se vogliamo, sull’esempio dell’Apostolo Paolo, che la grazia di Dio in noi non sia vana (cfr 1 Cor 15,10), dobbiamo opporci alla guerra, alla violenza, all’ingiustizia ovunque s’insinuano. Il tema di questa Settimana di preghiera è stato scelto da un gruppo di fedeli del Minnesota, consapevoli delle ingiustizie perpetrate nel passato nei riguardi delle popolazioni indigene e contro gli afroamericani ai nostri giorni. Di fronte alle varie forme di disprezzo e razzismo, di fronte al fraintendimento indifferente e alla violenza sacrilega, la Parola di Dio ci ammonisce: «Imparate a fare il bene, cercate la giustizia» (Is 1,17). Non basta infatti denunciare, occorre anche rinunciare al male, passare dal male al bene. Ecco che l’ammonimento è volto al nostro cambiamento.
2. Cambiamento. Diagnosticati gli errori, il Signore chiede di rimediarvi e, per mezzo del profeta, dice: «Lavatevi, purificatevi […]. Cessate di fare il male» (v. 16). E sapendo che siamo oppressi e come paralizzati dalle troppe colpe, promette che sarà Lui a lavare i nostri peccati: «Su, venite e discutiamo – dice il Signore. Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana» (v. 18). Carissimi, dai nostri fraintendimenti su Dio e dalla violenza che cova dentro di noi, non siamo capaci di liberarci da soli. Senza Dio, senza la sua grazia, non guariamo dal nostro peccato. La sua grazia è la sorgente del nostro cambiamento. Ce lo ricorda la vita dell’Apostolo Paolo, che commemoriamo oggi. Da soli non ce la facciamo, ma con Dio tutto è possibile; da soli non ce la facciamo, ma insieme è possibile. Insieme, infatti, il Signore chiede ai suoi di convertirsi. La conversione – questa parola tanto ripetuta e non sempre facile da capire – è chiesta al popolo, ha una dinamica comunitaria, ecclesiale. Crediamo dunque che anche la nostra conversione ecumenica progredisce nella misura in cui ci riconosciamo bisognosi di grazia, bisognosi della stessa misericordia: riconoscendoci tutti dipendenti in tutto da Dio, ci sentiremo e saremo davvero, col suo aiuto, «una sola cosa» (Gv 17,21), fratelli sul serio.
Che bello aprirci insieme, nel segno della grazia dello Spirito, a questo cambiamento di prospettiva, riscoprendo che «tutti i fedeli sparsi per il mondo sono in comunione con gli altri nello Spirito Santo, e così – come scriveva San Giovanni Crisostomo – chi sta in Roma sa che gli Indi sono sue membra» (Lumen gentium, 13; In Io. hom. 65,1). In questo cammino di comunione, sono grato che tanti cristiani di varie comunità e tradizioni stiano accompagnando con partecipazione e interesse il percorso sinodale della Chiesa cattolica, che auspico sempre più ecumenico. Ma non dimentichiamo che camminare insieme e riconoscerci in comunione gli uni con gli altri nello Spirito Santo comporta un cambiamento, una crescita che può avvenire solo, come scriveva Benedetto XVI, «a partire dall’intimo incontro con Dio, un incontro che è diventato comunione di volontà arrivando fino a toccare il sentimento. Allora imparo a guardare quest’altra persona non più soltanto con i miei occhi e con i miei sentimenti, ma secondo la prospettiva di Gesù Cristo. Il suo amico è mio amico» (Enc. Deus caritas est, 18).
L’Apostolo Paolo ci aiuti a cambiare, a convertirci; ci ottenga un po’ del suo coraggio indomito. Perché, nel nostro cammino, è facile lavorare per il proprio gruppo anziché per il Regno di Dio, spazientirsi, smarrire la speranza di quel giorno in cui «tutti i cristiani, nell’unica celebrazione dell’Eucaristia, si troveranno riuniti in quella unità dell’unica Chiesa che Cristo fin dall’inizio donò alla sua Chiesa» (Decr. Unitatis redintegratio, 4). Ma proprio in vista di quel giorno riponiamo la nostra fiducia in Gesù, nostra Pasqua e nostra pace: mentre lo preghiamo e lo adoriamo, Egli opera. E ci conforta ciò che disse a Paolo e che possiamo sentire rivolto a ciascuno di noi: «Ti basta la mia grazia» (2 Cor 12,9).
Carissimi, ho voluto condividere in spirito fraterno questi pensieri che la Parola mi ha suscitato perché, da Dio ammoniti, per sua grazia cambiamo e cresciamo nel pregare, nel servire, nel dialogare e nel lavorare insieme verso quella piena unità che Cristo desidera. Ora vorrei ringraziarvi di cuore: esprimo la mia riconoscenza a Sua Eminenza il Metropolita Polykarpos, Rappresentante del Patriarcato Ecumenico, a Sua Grazia Ian Ernest, Rappresentante personale dell’Arcivescovo di Canterbury a Roma, e ai Rappresentanti delle altre Comunità cristiane presenti. Viva solidarietà esprimo ai membri del Consiglio Panucraino delle Chiese e delle Organizzazioni Religiose. Saluto gli studenti ortodossi e ortodossi orientali, borsisti del Comitato di Collaborazione Culturale con le Chiese Ortodosse presso il Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, e quelli dell’Istituto Ecumenico di Bossey del Consiglio Ecumenico delle Chiese. Un caro saluto, molto fraterno, anche a Frère Alois e ai fratelli di Taizé, impegnati nella preparazione della Veglia ecumenica di preghiera che precederà l’apertura della prossima sessione del Sinodo dei Vescovi. Tutti insieme camminiamo sulla via che il Signore ci ha posto innanzi, quella dell’unità.