Sebbene il corpo si apra alle manifestazioni più elevate dello spirito umano o come direbbe il dottor G. Castillo, “la parte migliore di noi ‘esce’ allo scoperto grazie alla nostra corporeità”; Tuttavia, è attraverso il volto che qualcuno si prende cura dell’unicità di una persona. Quando si entra in contatto con una persona, vis-à-vis, la conoscenza acquista dimensioni e prospettive insospettate. Non solo assisti come spettatore alla sua biografia esposta fino a quel momento, ma condividi anche valutazioni, interpretazioni e fondamenti di alcune delle sue tappe personali. Ciò che si conosce attraverso l’udito è ammesso iridescente dal suo essere personale, espresso ora dai suoi gesti, ora dal suo sguardo, ora dalle sue inflessioni di voce… che significano un mondo intenso, diverso e originale. Non potrebbe essere diversamente perché incontrare una persona non è un banale inciampo. È piuttosto l’inizio della scoperta di una soggettività, di uno spirito che dà avviso di un’origine superiore che aggiunge plasticità, profondità e mistero.
In un certo senso, qualcosa di simile accade quando si incontra l’estetica. Questo si riferisce alla bellezza. Il suo modo abituale di esprimersi è attraverso la pittura e la scultura. La musica e la poesia hanno i loro statuti che determinano come apprezzarle. La natura ha le sue cose: ordine, armonia, intensità, colore e forme compiute… attributi che si apprezzano meglio quando si lascia la città per un fine settimana o una vacanza. La corsa dei giorni con le loro urgenze che, esaurite in se stesse, non favoriscono la prospettiva né il rapporto con l’ambiente, ci impediscono di concepire – questo verbo implica una certa elaborazione armonica della bellezza – ma ci costringono ad avere una visione frammentata e visione ridotta degli stessi. Frammentato secondo le espressioni artistiche più conosciute e ridotto perché confinato – in ordine alle sue manifestazioni – alle aree o ai luoghi in cui sono esposte. Se l’estetica finisce per limitarsi a chiostri specializzati, allora non è possibile acquisirla nella vita di tutti i giorni, tanto più se manca una sensibilità coltivata.
Le letterature non abbondano di tecniche, stili o modalità artistiche, anzi, scendono al sostrato e ai principi filosofici della bellezza. Non erano artisti che discutevano, ma pensatori che fin dall’antica Grecia hanno riflettuto sull’estetica, intrecciandola e collegandola alla concezione dell’uomo, dell’universo e di Dio. Dal punto di vista del ragionamento, l’estetica propone il seguente dilemma: le cose sono belle perché dilettano o piacciono perché sono belle. Se si sostiene che le cose sono belle perché dilettano, allora si ammette che la bellezza sta nella soggettività della persona, nel qual caso è la sensibilità che accredita la bellezza. Di conseguenza, la misura della stima della bellezza di qualcosa sarà legata alla maggiore o minore intensità del brivido e del risveglio delle emozioni che ciò che viene percepito suscita. In questo senso si potrebbe concludere che la bellezza sarebbe condizionata al tipo di personalità, all’eccitabilità, alla capacità di rispondere sensibilmente a ciò che si vede da parte di un osservatore; così come dai suoi labirinti emotivi e dalle preoccupazioni che gli impediscono di orientare intenzionalmente i suoi sensi verso l’ambiente.
L’altra parte del dilemma sottolinea che la bellezza è costitutiva delle cose e, poiché sono belle in sé, ci convocano, ci attraggono e ci invitano a contemplarle. In che senso sono belli? Hanno tutti la stessa forma di bellezza? Ti lasci ‘catturare’ esclusivamente da ciò che i tuoi sensi captano? Ora, se tutte le cose sono belle, essendo diverse, è perché hanno attributi comuni che non sono casuali. Se la bellezza non fosse così si limiterebbe ai gruppi, alle specie o ai generi delle cose. Pertanto l’estetica va identificata in ciò che trascende, ciò che appare, ciò che si vede, per toccarlo da ciò che sono, dal proprio essere. Ma ciò che sono non è il prodotto di una sorta di autocostituzione: hanno ricevuto l’essere. Se l’hanno ricevuta significa che sono creature che partecipano della natura e delle qualità del loro Creatore, una – tra tante – è la loro bellezza.
Il dilemma, però, non si risolve optando per l’una o per l’altra opzione. La cosa entusiasmante dello studio dell’estetica è che riflette sulla connessione tra i due estremi: la bellezza delle cose e il modo in cui l’uomo la percepisce. Se le cose partecipano in modo diverso all’essere, quanto maggiore è la pienezza dell’essere ricevuto, tanto maggiore è la bellezza, allora la cattura degli attributi dell’essere partecipato non è primariamente conveniente per i sensi, essi sono piuttosto un canale per l’intervento dell’essere umano facoltà: comprensione e forza di volontà. Cogliere l’armonia, l’integrità, la semplicità, la verità e la chiarezza delle cose non predica la frivolezza, ma richiede piuttosto un certo sforzo affinché l’intelletto – accompagnato dalla sensibilità – penetri nell’essere delle cose e possa contemplarle. La contemplazione non è pura visione. Richiede due condizioni. Innanzitutto mettiamo tra parentesi la vana soggettività del sentirsi origine della bellezza; e, in secondo luogo, spogliati di quello stato d’animo, aprirsi rispettosamente alla cosa stessa, lasciando che l’intimità compia un viaggio dal di dentro affinché, iridescente per l’ammirazione che nasce dalla scoperta in essa del Creatore, si stabilisca nella pupilla di gli occhi, affinché la cattura della bellezza sia conseguenza di uno sguardo di amorosa gratitudine.
La bellezza è pacificamente attraente. Non è percepito come provocatorio nel senso che muova con veemenza l’appetito o il desiderio fino al punto di offuscare o disordinare la passione; Se così fosse, l’intelletto non riuscirebbe a penetrare ciò che si vede: l’effervescenza sensibile si diletta in se stessa e, preda di quell’egocentrismo, le viene negata la capacità di guardare fuori.
In qualche modo la bellezza è unione, armonia tra il mio essere e l’essere della cosa che contemplo. La cosa dà notizia di ciò che è e degli attributi che possiede, in un certo modo dispotico, tuttavia l’uomo – libero per natura – ha il potere di agire contro il suo essere. Nell’uomo c’è spazio per la disarmonia, per l’inversione dei suoi propositi e per l’uso disordinato delle sue facoltà. In questa prospettiva, l’acquisizione della bellezza implica la somiglianza tra la cosa e la persona. Similitudine che invita, da parte sua, a mostrare meno le proprie virtù e l’autocontrollo nel lasciarsi estasiare dalla bellezza. Quando si vive in armonia, unirsi con più intensità e compiacenza, con la bellezza delle cose non è una sfida gravosa, piuttosto è un’acquiescenza verso la pienezza.
L’artista, dal canto suo, ha un dono speciale che gli permette di catturare la bellezza, illuminando il nocciolo distinguibile delle cose, infondendo loro una nuova forma – quella che vede nella sua mente – e facendo percepire agli altri ciò che ha visto e parteciparvi. della sua ricchezza interiore. Non solo l’artista può evincere la bellezza che le cose potenzialmente hanno. Il cittadino medio può scoprire la mano di Dio anche nella vita di ogni giorno, nel sorriso di un bambino, nello sguardo tenero di un vecchio, nell’aha di uno studente che, dopo uno sforzo prolungato, capisce la lezione; nell’ascolto attento e accogliente di un amico che sta attraversando dei problemi… Nelle gocce di pioggia che colpiscono ritmicamente il tetto di una casa; il risveglio del sole i cui raggi entrano in una stanza… La bellezza è profonda, misteriosa, filosofica, ma sa esprimersi nella semplicità, nella bontà, nella vita e nel bene. Questo è il volto che dobbiamo scoprire dell’estetica.