Questa mattina, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i Membri del Sinodo della Chiesa Greco Melkita e ha rivolto loro il discorso che pubblichiamo di seguito:
Discorso del Santo Padre
Sono lieto di ricevervi e sono lieto di rivedere Mons. Georges Kahhale, è bravo! Io vorrei dire che lui mi ha aiutato tanto. Prima di tutto, ha imparato la lingua subito: spero che il suo successore parli lo spagnolo, perché non si può essere vescovo di un popolo parlando un’altra lingua. Peccato che non ci sia, qui. Poi, noi avevamo un problema lì, con un sacerdote, a Buenos Aires, e lui era energico nella soluzione, ma molto pastore, molto buono nel modo di cercarlo. Io, quando l’ho visto, mi sono rallegrato e per questo voglio dare questa testimonianza davanti a tutti voi. Uno dei vostri fratelli che fa onore. Grazie, Mons. Kahhale. E poi, vi racconta le avventure che abbiamo avuto a Buenos Aires con quel prete.
Beatitudine,
Cari Fratelli nell’Episcopato!
Sono lieto di accogliervi questa mattina, dando inizio ai lavori del Sinodo dei Vescovi della Chiesa Patriarcale di Antiochia dei Greco-Melkiti. Ringrazio il Patriarca, grande amico, Sua Beatitudine Youssef Absi, per le parole che mi ha rivolto.
Avete chiesto di poter celebrare la vostra convocazione annuale a Roma, presso le tombe dei santi Apostoli Pietro e Paolo, e a quelle di molti martiri che hanno dato la vita per fedeltà al Signore Gesù. Abbiamo bisogno della loro intercessione, perché anche nel nostro tempo, in società che alcune analisi definiscono “liquide”, con legami leggeri che moltiplicano le solitudini e l’abbandono dei più fragili, la comunità cristiana abbia il coraggio di testimoniare il nome di Cristo, autore e perfezionatore della nostra fede. Tra i Successori di Pietro sono annoverati anche alcuni nati in Siria, e questo ci fa sentire da un lato il respiro cattolico della Chiesa di Roma, chiamata a presiedere nella carità e ad avere la sollicitudo Ecclesiarum omnium, e dall’altro ci fa andare pellegrini nella terra ove alcuni di voi, iniziando dal Patriarca Youssef, sono Vescovi: l’amata e martoriata Siria.
I drammi degli ultimi mesi, che tristemente ci costringono a volgere lo sguardo all’est dell’Europa, non ci devono far dimenticare quello che da dodici anni si consuma nella vostra terra. Io ricordo, il primo anno di pontificato, quando era preparato un bombardamento sulla Siria, che abbiamo convocato una notte di preghiera, qui, in San Pietro, così anche c’era il Santissimo Sacramento e la piazza piena, che pregava. C’erano anche dei musulmani, che avevano portato il loro tappeto e pregavano con noi. E lì è nata quell’espressione: “Amata e martoriata Siria”. Migliaia di morti e feriti, milioni di rifugiati interni e all’estero, l’impossibilità di avviare la necessaria ricostruzione. In più di una occasione mi è capitato di incontrare e sentire il racconto di qualche giovane siriano giunto qui, e mi ha colpito il dramma che portava dentro di sé, per quanto ha vissuto e visto, ma anche il suo sguardo, quasi prosciugato di speranza, incapace di sognare un futuro per la sua terra. Non possiamo permettere che anche l’ultima scintilla di speranza sia tolta dagli occhi e dai cuori dei giovani e delle famiglie! E rinnovo quindi l’appello a tutti coloro che hanno responsabilità, dentro il Paese e nella Comunità internazionale, perché si possa giungere ad una equa e giusta soluzione al dramma della Siria.
Voi Vescovi della Chiesa greco-melkita siete chiamati a interrogarvi sul modo in cui, come Chiesa, portate la vostra testimonianza: eroica sì, generosa, ma sempre bisognosa di essere posta alla luce di Dio perché sia purificata e rinnovata. Ecclesia semper reformanda. Siete un Sinodo, per quelle caratteristiche che vi sono state riconosciute come Chiesa Patriarcale, ed è necessario che vi interrogate sullo stile sinodale del vostro essere e agire, secondo quello che ho chiesto alla Chiesa Universale: la vostra capacità di vivere la comunione di preghiera e di intenti tra voi e con il Patriarca, tra i Vescovi e i presbiteri e i diaconi, con i religiosi e le religiose, e con i fedeli laici, tutti insieme formando il Popolo santo di Dio.
Siete giustamente preoccupati della sopravvivenza dei cristiani nel Medio Oriente – anche io: è una preoccupazione! –, istanza che condivido pienamente; e d’altra parte da decenni ormai la presenza della Chiesa Melkita ha una dimensione mondiale. Il patriarca mi chiedeva di ordinare vescovi da tante parti: esistono eparchie per l’Australia e l’Oceania, negli Stati Uniti e nel Canada, in Venezuela e Argentina, soltanto per citarne alcune; e molti sono i fedeli anche in Europa, per quanto essi non abbiano ancora avuto la possibilità di essere riuniti in circoscrizioni ecclesiastiche loro proprie. Questo aspetto rappresenta senza dubbio una sfida, ecclesiale ma anche culturale e sociale, non senza difficoltà e ostacoli. Al contempo è anche una grande occasione: quella di rimanere radicati nelle proprie tradizioni e origini, aprendovi però all’ascolto dei tempi e dei luoghi in cui siete disseminati, per rispondere a quello che il Signore chiede oggi alla vostra Chiesa.
All’interno del Sinodo, vi incoraggio a esercitare le vostre competenze con tanta saggezza: so che sono avviate riflessioni in alcune Chiese Orientali circa il ruolo e la presenza dei Vescovi emeriti, specie quelli con più di ottanta anni, che in taluni Sinodi sono un numero consistente. Un altro capitolo è quello delle elezioni dei Vescovi, per le quali vi prego di riflettere sempre bene e di pregare lo Spirito Santo perché vi illumini, preparando adeguatamente e con largo anticipo il materiale e le informazioni sui diversi candidati, superando ogni logica di partigianeria e di equilibri tra Ordini Religiosi di provenienza. Vi esorto – e vi ringrazio per l’impegno che porrete in questo – a far risplendere il volto della Chiesa, che Cristo si è acquistato con il suo Sangue, tenendo lontane divisioni e mormorazioni, che non fanno altro che scandalizzare i piccoli e disperdere il gregge a voi affidato. Su questo mi fermo: state attenti al chiacchiericcio. Per favore, niente. Se uno ha una cosa da dire all’altro, la dica in faccia, con carità, ma in faccia. Come uomini. La può dire in faccia da solo, la può dire in faccia davanti agli altri: correzione fraterna. Ma mai sparlare dell’altro con un altro, questo non si fa. Questo è un tarlo che distrugge la Chiesa. Siamo coraggiosi. Guardiamo come Paolo ha detto in faccia a Giacomo tante cose. Anche a Pietro. E poi si fa l’unità, la vera unità, tra uomini. Mandate via ogni sorta di chiacchiericcio, per favore. E poi il popolo si scandalizza: guarda i preti, guarda i vescovi, si spellano tra loro! Mi raccomando: quello che dovete dirvi, in faccia, sempre.
Benedico di cuore ciascuno di voi e i vostri lavori sinodali. La Vergine Santa, Madre della Chiesa, vi accompagni. E vi chiedo la carità di pregare per me. Ne ho bisogno. Grazie!