Il Papa: “L’iniqua distribuzione dei beni causa la povertà”

Incontro con i rappresentanti di alcuni enti di beneficenza di Kinshasa

Vatican News

Questo pomeriggio, alle ore 18.30, il Santo Padre Francesco ha incontrato i Rappresentanti di alcune Opere Caritative presso la Nunziatura Apostolica di Kinshasa.

Hanno preso parte all’incontro Telema Ongenge, i Lebbrosi dell’ospedale del la Rive, l’Associazione Fasta, il Centro Dream, i Sordomuti del villaggio Bondeko, i ciechi delle Scuole di Petite Flamme del Movimento dei Focolari e le Monache Trappiste di Mvanda.

Dopo una breve presentazione delle associazioni caritative presenti, il Papa ha pronunciato il Suo discorso.

Al termine, dopo la recita del Padre Nostro e la benedizione finale, Papa Francesco ha cenato in privato.

Pubblichiamo di seguito il discorso che il Santo Padre ha pronunciato nel corso dell’incontro:

Discorso del Santo Padre

Cari fratelli e sorelle,

vi saluto con affetto e vi ringrazio per i canti, le testimonianze e quanto mi avete raccontato, ma soprattutto per tutto quello che fate! In questo Paese, dove c’è tanta violenza, che rimbomba come il tonfo fragoroso di un albero abbattuto, voi siete la foresta che cresce ogni giorno in silenzio e rende l’aria migliore, respirabile. Certo, fa più rumore l’albero che cade, ma Dio ama e coltiva la generosità che silenziosamente germoglia e porta frutto, e posa lo sguardo con gioia su chi serve i bisognosi. Così cresce il bene, nella semplicità di mani e cuori protesi verso gli altri, nel coraggio dei piccoli passi per avvicinarsi ai più deboli nel nome di Gesù. È proprio vero quel proverbio che ha citato Cecilia: «Mille passi cominciano sempre da uno»!

Mi ha colpito una cosa: non mi avete semplicemente elencato i problemi sociali e non avete enumerato tanti dati sulla povertà, ma avete soprattutto parlato con affetto dei poveri. Avete raccontato di voi e di persone che prima non conoscevate e che ora vi sono diventate familiari: nomi e volti. Grazie per questo sguardo che sa riconoscere Gesù nei suoi fratelli più piccoli. Il Signore va cercato e amato nei poveri e, come cristiani, dobbiamo fare attenzione se ci allontaniamo da loro, perché c’è qualcosa che non va quando un credente tiene a distanza i prediletti di Cristo.

Mentre tanti oggi li scartano, voi li abbracciate; mentre il mondo li sfrutta, voi li promuovete. La promozione contro lo sfruttamento: ecco la foresta che cresce mentre imperversa violento il disboscamento dello scarto! Io vorrei dare voce a quello che fate, favorire la crescita e la speranza nella Repubblica Democratica del Congo e in questo Continente. Sono venuto qui animato dal desiderio di dare voce a chi non ha voce. Quanto vorrei che i media dessero più spazio a questo Paese e all’Africa intera! Che si conoscano i popoli, le culture, le sofferenze e le speranze di questo giovane Continente del futuro! Si scopriranno talenti immensi e storie di vera grandezza umana e cristiana, storie nate in un clima genuino, che ben conosce il rispetto per i più piccoli, per gli anziani e per il creato.


È bello darvi voce qui in Nunziatura, perché le Rappresentanze Pontificie, le “case del Papa” sparse nel mondo, sono e devono essere amplificatori di promozione umana, snodi di carità, in prima linea nella diplomazia della misericordia, nel favorire aiuti concreti e nel promuovere reti di cooperazione. Ciò già avviene, senza clamore, in tante parti del mondo e qui da molto tempo; questa casa è da decenni una presenza vicina: inaugurata novant’anni fa come Delegazione apostolica, celebrerà tra pochi giorni il sessantesimo anniversario dell’elevazione a Nunziatura.

Fratelli e sorelle che amate questo Paese e vi dedicate alla sua gente, quanto fate è meraviglioso, ma non è per nulla facile. Viene da piangere nel sentire storie come quelle che mi avete raccontato, di persone sofferenti consegnate dall’indifferenza generale a una vita randagia, che le porta a vivere per strada, esponendole al rischio di violenze fisiche e di abusi sessuali, e pure all’accusa di stregoneria, mentre sono solo bisognose di amore e di cure. Mi ha colpito quanto ci hai detto tu, Tekadio, che a motivo della lebbra ti senti ancora oggi, nel 2023, «discriminato, guardato con disprezzo ed umiliato», mentre la gente, con un misto di vergogna, d’incomprensione e di paura, si affretta a pulire là dove è passata anche solo la tua ombra. La povertà e il rifiuto offendono l’uomo, ne sfigurano la dignità: sono come cenere che spegne il fuoco che porta dentro. Sì, ogni persona, in quanto creata a immagine di Dio, risplende di un fuoco luminoso, ma solo l’amore toglie la cenere che lo ricopre: solo ridando dignità si restituisce umanità! Mi ha rattristato sentire che anche qui, come in molte parti del mondo, bambini e anziani vengono scartati. Oltre che scandaloso, questo è nocivo per l’intera società, che si costruisce proprio a partire dalla cura per gli anziani e per i bambini, per le radici e per l’avvenire. Ricordiamoci: uno sviluppo veramente umano non può essere privo di memoria e di futuro. Memoria, portata dagli anziani, futuro, portato dai giovani.

Fratelli, sorelle, oggi vorrei condividere con voi e, attraverso di voi, con i tanti operatori di bene in questo grande Paese, due interrogativi. Anzitutto: ne vale la pena? Vale la pena impegnarsi di fronte a un oceano di bisogno in costante e drammatico aumento? Non è un darsi da fare vano, oltre che spesso sconfortante? Ci aiuta quello che ha detto suor Maria Celeste: «Nonostante la nostra piccolezza, il Signore crocifisso desidera averci al suo fianco per sostenere il dramma del mondo». È vero, la carità sintonizza con Dio ed Egli ci sorprende con prodigi insperati che avvengono per mezzo di chi ama. Le vostre storie sono ricche di eventi stupendi, noti al cuore di Dio e impossibili alle sole forze umane. Penso a quanto ci hai raccontato tu, Pierre, dicendo che nel deserto dell’impotenza e dell’indifferenza, nel mare del dolore, insieme ai tuoi amici hai scoperto che Dio non vi aveva dimenticato, perché vi ha inviato persone che non si sono voltate dall’altra parte attraversando la strada dove eravate. Così, nel loro volto avete riscoperto quello di Gesù e adesso volete fare lo stesso per gli altri. Il bene è così, è diffusivo, non si lascia paralizzare dalla rassegnazione e dalle statistiche, ma invita a donare agli altri quanto si è ricevuto gratuitamente. Io ricevo e io do. C’è bisogno che soprattutto i giovani vedano questo: volti che superano l’indifferenza guardando le persone negli occhi, mani che non imbracciano armi e non maneggiano soldi, ma si protendono verso chi sta a terra e lo rialzano alla sua dignità, alla dignità di figlia e figlio di Dio. Soltanto in un caso è lecito guardare una persona dall’alto in basso: per aiutarla a sollevarsi. Altrimenti non si può mai guardare una persona dall’alto in basso.

Ne vale la pena, dunque, ed è un bel segno che le Autorità, attraverso i recenti accordi con la Conferenza Episcopale, abbiano riconosciuto e valorizzato l’opera di quanti si impegnano in campo sociale e caritativo. Ciò certamente non significa che si possa delegare sistematicamente al volontariato la cura dei più fragili, così come l’impegno nella sanità e nell’istruzione. Sono compiti prioritari di chi governa, con l’attenzione di assicurare i servizi fondamentali anche alla popolazione che vive lontana dai grandi centri urbani. Al tempo stesso, i credenti in Cristo non devono mai infangare la testimonianza della carità, che è testimonianza di Dio, con la ricerca di privilegi, prestigio, visibilità e potere. Questa è una cosa brutta, da non fare mai! No, i mezzi, le risorse e i buoni risultati sono per i poveri, e chi si occupa di loro è sempre chiamato a ricordarsi che il potere è servizio e che la carità non porta a stare sugli allori, ma domanda urgenza e concretezza. In questo senso, tra le molte cose da fare vorrei sottolineare una sfida che riguarda tutti e non poco questo Paese. A causare la povertà non è tanto l’assenza di beni e di opportunità, ma la loro iniqua distribuzione. Chi è benestante, in particolare se cristiano, è interpellato a condividere quanto possiede con chi è privo del necessario, tanto più se appartiene allo stesso popolo. Non è questione di bontà, ma di giustizia. Non è filantropia, è fede; perché, come dice la Scrittura, «la fede senza le opere è morta» (Gc 2,26).

Ecco allora un secondo interrogativo proprio sul dovere e sull’urgenza del bene: come farlo? Come fare la carità, quali criteri seguire? A questo proposito vorrei offrirvi tre semplici punti. Sono aspetti che le istituzioni caritative operanti qui già conoscono, ma che fa bene ricordare, perché servire Gesù nei poveri sia una testimonianza sempre più feconda.

Anzitutto la carità chiede esemplarità: infatti non è solo qualcosa che si fa, ma è espressione di ciò che si è. È uno stile di vita, è vivere il Vangelo. Occorrono perciò credibilità e trasparenza: penso alla gestione finanziaria e amministrativa dei progetti, ma anche all’impegno a offrire servizi adeguati e qualificati. È proprio questo lo spirito che caratterizza tante opere ecclesiali di cui beneficia questo Paese e che ne hanno segnato la storia. Ci sia sempre esemplarità!

Secondo punto: la lungimiranza, cioè il saper guardare avanti. È fondamentale che le iniziative e le opere di bene, oltre a rispondere alle esigenze immediate, siano sostenibili e durature. Non semplicemente assistenzialiste, ma realizzate sulla base di quanto realmente si può fare e con una prospettiva di lungo termine, perché perdurino nel tempo e non finiscano con chi le ha avviate. In questo Paese, ad esempio, c’è un suolo incredibilmente fecondo, una terra estremamente fertile; la generosità di chi aiuta non può non sposare questa caratteristica, favorendo lo sviluppo interno di quanti popolano questa terra, insegnando loro a coltivarla, dando vita a progetti di sviluppo che mettano il futuro nelle loro mani. Piuttosto che distribuire beni di cui ci sarà sempre bisogno, è meglio trasmettere conoscenze e strumenti che rendano lo sviluppo autonomo e sostenibile. In proposito, penso anche al grande contributo offerto dalla sanità cattolica, che in questo Paese, come in molti altri nel mondo, dà sollievo e speranza alla popolazione, venendo incontro a chi soffre con gratuità e con serietà, cercando sempre, proprio come dev’essere, di soccorrere attraverso strumenti moderni e adeguati.

Esemplarità, lungimiranza e infine – terzo elemento – connessione. Fratelli e sorelle, bisogna fare rete, non solo virtualmente ma concretamente, come avviene in questo Paese nella sinfonia di vita della grande foresta e della sua variegata vegetazione. Fare rete: lavorare sempre più insieme, essere in costante sinergia fra di voi, in comunione con le Chiese locali e con il territorio. Lavorare in rete: ciascuno con il proprio carisma ma insieme, collegati, condividendo le urgenze, le priorità, le necessità, senza chiusure e autoreferenzialità, pronti ad affiancarsi ad altre comunità cristiane e di altre religioni, e ai molti organismi umanitari presenti. Tutto per il bene dei poveri. Fare rete con tutti.

Cari fratelli e sorelle, vi lascio questi spunti e vi ringrazio per quanto avete lasciato oggi nel mio cuore. Sì, grazie tante perché mi avete toccato il cuore. Siete preziosi. Vi benedico e vi chiedo, per favore, di continuare a pregare per me, che ne ho bisogno. Grazie!