Questa mattina, nel Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco riceve in Udienza i partecipanti al Pellegrinaggio della Diocesi di Lodi e rivolge loro il discorso che pubblichiamo di seguito:
Discorso del Santo Padre
Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!
Ringrazio il Vescovo per il saluto che mi ha rivolto a nome vostro e dell’intera comunità lodigiana, che voi ben rappresentate sia nella dimensione ecclesiale sia in quella civica. E ringrazio il Vescovo emerito, perché a me piace che gli emeriti continuino a partecipare alla vita della Chiesa, e non si rinchiudano… Avanti, coraggio! Infatti, siete sacerdoti, consacrate, seminaristi e fedeli laici, delegati sinodali e rappresentanti di parrocchie e associazioni, volontari e operatori della comunicazione, insieme alle pubbliche autorità della Provincia e del territorio lodigiano, con i Sindaci, in particolare quelli della prima “zona rossa” in Occidente per l’epidemia di covid-19.
I motivi che vi hanno spinto a venire sono diversi. Mi piace ricordare per primo quello che mi lega a voi con una specie di “parentela” che chiamerei “battesimale”. Come sapete, il prete che mi ha battezzato, padre Enrico Pozzoli, e che poi mi ha aiutato a entrare nella Compagnia [di Gesù] e mi ha seguito tutta la vita, è figlio della vostra terra, nativo di Senna Lodigiana, nella “bassa”, vicino al Po. Attratto dal carisma di Don Bosco, partì da giovane per Torino e, diventato Salesiano, fu subito inviato in Argentina, dove rimase per tutta la vita. Divenne amico dei miei genitori e li aiutò anche ad accettare la mia chiamata al sacerdozio. Sono stato contento quando un vostro bravo conterraneo – che è qui presente – ha raccolto documenti e notizie su di lui e ha scritto la sua biografia. L’ho avuta subito, naturalmente, ma oggi la ricevo in forma, per così dire, ufficiale e con emozione, perché me la portate voi, amici di Senna Lodigiana, compaesani di Don Pozzoli, che è stato un vero salesiano! Un uomo saggio, buono, lavoratore; un apostolo del confessionale – non si stancava di confessare –, misericordioso, capace di ascoltare e di dare buoni consigli. Grazie di cuore! Ecco perché dico che siamo un po’ parenti, ma non per via di sangue, no, il filo che ci unisce è ben più forte e sacro perché è quello del Battesimo!
A proposito di legami con la vostra terra lodigiana, non possiamo dimenticare che ce n’è un altro, questa volta per via di una grande santa: Francesca Saverio Cabrini, nativa di Sant’Angelo Lodigiano, che fondò le Missionarie del Sacro Cuore a Codogno ed è la patrona dei migranti. Io sono figlio di migranti; l’Argentina è diventata patria di tante e tante famiglie di migranti, in gran parte italiani, e Santa Cabrini e le Cabriniane sono una presenza importante a Buenos Aires. Oggi voglio esprimere a voi la mia ammirazione e la mia riconoscenza per questa donna, che – insieme al Vescovo Scalabrini – è testimone della vicinanza della Chiesa ai migranti: il suo carisma è più che mai attuale! Chiedo la sua intercessione affinché la vostra Comunità diocesana sia sempre attenta ai segni dei tempi e attinga dalla carità di Cristo il coraggio per vivere la missione oggi.
Padre Pozzoli e soprattutto Santa Cabrini ci ricordano che l’evangelizzazione si fa essenzialmente con la santità della vita, testimoniando l’amore nei fatti e nella verità (cfr 1Gv 3,18). E così avviene anche la trasmissione della fede nelle famiglie, attraverso una testimonianza semplice e convinta. Penso ai nonni e alle nonne che trasmettono la fede con l’esempio e con la saggezza dei loro consigli. Perché la fede va trasmessa “in dialetto”, sempre, in nessun altra maniera. I nonni, papà, mamma… La fede va trasmessa in dialetto. Sappiamo bene che oggi il mondo è cambiato, anzi, è in continua trasformazione. C’è bisogno di cercare nuove strade, nuovi metodi, nuovi linguaggi. La via maestra, tuttavia, rimane la stessa: quella della testimonianza, di una vita plasmata dal Vangelo. Il Concilio Vaticano II ci ha mostrato questa via, e le Chiese particolari sono chiamate a camminare in essa con atteggiamento estroverso, con una conversione missionaria che coinvolga tutti e tutto.
La vostra Chiesa laudense ha vissuto già due Sinodi dopo il Concilio Vaticano II: il tredicesimo e, recentemente, il quattordicesimo. Ora, il percorso sinodale che stiamo compiendo come Chiesa universale vorrebbe aiutare tutto il Popolo di Dio a crescere proprio in questa dimensione essenziale, costitutiva, permanente dell’essere Chiesa: il camminare insieme, nell’ascolto reciproco, nella varietà dei carismi e dei ministeri, sotto la guida dello Spirito Santo, che crea armonia e unità a partire dalla diversità. Accolgo da voi il Libro del vostro recente Sinodo diocesano come segno di comunione, e vi esorto a continuare il cammino, fedeli alle radici e aperti al mondo, con la saggezza e la pazienza dei contadini e la creatività degli artigiani; impegnati nella cura dei poveri e nella cura della terra che Dio ci ha affidato. Il cammino sinodale è lo sviluppo di una dimensione della Chiesa. Una volta ho sentito dire: “Noi vogliamo una Chiesa più sinodale e meno istituzionale”: questo non va. Il cammino sinodale è istituzionale, perché appartiene all’essenza propria della Chiesa. Siamo in sinodo perché istituzione.
E arriviamo al terzo motivo che vi ha portato qui oggi: l’esperienza traumatica della prima fase della pandemia, che ha colpito il vostro territorio, specialmente la parte sud. Questa pandemia è stata ed è un’esperienza complessa, anche troppo grande, perché possiamo dominarla pienamente. Tuttavia, non possiamo e non dobbiamo tralasciare una verifica seria, a tutti i livelli. Ripartire non vuol dire dare un “colpo di spugna”. Ma adesso non è questo lo scopo. Oggi, il segno che date è quello di una comunità che vuole ripartire insieme, facendo tesoro dell’esperienza vissuta, valorizzando i talenti emersi nei momenti più duri della prova, e voi li conoscete bene. Voglio dire un grazie grande – un grazie grande! – ai medici, agli infermieri, ai volontari, ai cappellani, ai sindaci, per il modo testimoniale in cui avete vissuto questa dolorosa pandemia. Siete stati un esempio. E tanti di voi sono rimasti lì, servendo gli ammalati. Grazie! Grazie per questo che avete fatto.
Cari fratelli e sorelle lodigiani, trent’anni fa San Giovanni Paolo II ha visitato la vostra Diocesi. Possiamo immaginare di gettare un ponte tra San Bassiano e San Giovanni Paolo II. Un ponte tra il primo Vescovo, l’evangelizzatore della vostra terra, e il Papa che ha introdotto la Chiesa nel terzo millennio. Proprio la grande sproporzione tra i due contesti è suggestiva, e questi due “padri” della Chiesa si possono incontrare solo sull’essenziale, cioè Gesù Cristo e la dolce gioia di annunciarlo al mondo. Il mondo cambia – il mondo cambia! –, ma Cristo no, e nemmeno il suo Vangelo. Il futuro della Chiesa sta nell’andare all’essenziale, andare alle sorgenti, e da lì prendere per camminare… Come hanno fatto i giovani lodigiani nel recente pellegrinaggio con il Vescovo in Terra Santa. Sono andati alla fonte, a Gesù Cristo, nato da Maria vergine, vero uomo e vero Dio. Per intercessione di San Bassiano, chiedo che nella terra lodigiana non manchi mai la sete del Vangelo e non manchino uomini e donne capaci di donarlo a tutti con gioiosa testimonianza.
Vi ringrazio di essere venuti! Di cuore benedico voi e l’intera Comunità diocesana, come pure la vita civile del territorio lodigiano. E vi chiedo, per favore, di non dimenticatevi di pregare per me, perché questo lavoro non è facile. Grazie!