Nel pomeriggio, il Santo Padre Francesco lascia la Residenza papale e si trasferisce in auto alla Scuola del Sacro Cuore dove, alle ore 17.00 (15.00 ora di Roma), ha luogo l’incontro con i giovani.
Al Suo arrivo il Papa è accolto all’ingresso della scuola dalla Direttrice, da due docenti e da alcuni studenti che gli porgono un omaggio floreale. Quindi si reca nella palestra della scuola dove incontra circa 800 giovani. Dopo il canto d’ingresso, le parole di benvenuto della Direttrice della Scuola del Sacro Cuore e l’esecuzione di un ballo tradizionale, uno studente musulmano e una studentessa cattolica portano la loro testimonianza. Successivamente, dopo un canto e la testimonianza di un giovane cattolico della Parrocchia del Sacro Cuore, Papa Francesco pronuncia il Suo discorso.
Al termine, dopo la lettura dei messaggi per la pace, la recita del Padre Nostro, la benedizione e il canto finale, il Santo Padre firma il Libro d’Onore e, dopo essersi congedato, rientra in auto alla Residenza papale dove cena in privato.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa pronuncia nel corso dell’incontro con i giovani:
Discorso del Santo Padre
Cari amici, fratelli e sorelle, buongiorno!
Vi ringrazio di essere qui, da tante nazioni diverse e con tanto entusiasmo! Vorrei ringraziare Suor Rosalyn per le parole di benvenuto che mi ha rivolto e per l’impegno con il quale, insieme a tanti altri, porta avanti questa Scuola del Sacro Cuore.
E sono contento di aver visto nel Regno del Bahrein un luogo di incontro e di dialogo tra culture e credo diversi. E ora, guardando a voi, che non siete della stessa religione e non avete paura di stare insieme, penso che senza di voi questa convivenza delle differenze non sarebbe possibile. E non avrebbe futuro! Nella pasta del mondo, siete voi il lievito buono destinato a crescere, a superare tante barriere sociali e culturali e a promuovere germogli di fraternità e di novità. Siete voi giovani che, come inquieti viaggiatori aperti all’inedito, non temete di confrontarvi, di dialogare, di “fare rumore” e di mescolarvi con gli altri, diventando la base di una società amica e solidale. E questo, cari amici, è fondamentale nei contesti complessi e plurali in cui viviamo: far cadere certi steccati per inaugurare un mondo più a misura d’uomo, più fraterno, anche se ciò significa affrontare numerose sfide. Su questo, prendendo spunto dalle vostre testimonianze e dai vostri interrogativi, vorrei rivolgervi tre piccoli inviti, non tanto per insegnarvi qualcosa, quanto per incoraggiarvi.
Il primo invito: abbracciare la cultura della cura. Suor Rosalyn ha usato questa espressione: “cultura della cura”. Prendersi cura significa sviluppare un atteggiamento interiore di empatia, uno sguardo attento che ci porta fuori da noi stessi, una presenza gentile che vince l’indifferenza e ci spinge a interessarci degli altri. Questa è la svolta, l’inizio della novità, l’antidoto contro un mondo chiuso che, impregnato di individualismo, divora i suoi figli; contro un mondo imprigionato dalla tristezza, che genera indifferenza e solitudine. Mi permetto di dirvi: quanto male fa lo spirito di tristezza, quanto male! Perché se non impariamo a prenderci cura di ciò che ci sta attorno – degli altri, della città, della società, del creato – finiamo per trascorrere la vita come chi corre, si affanna, fa tante cose, ma, alla fine, rimane triste e solo perché non ha mai gustato fino in fondo la gioia dell’amicizia e della gratuità. E non ha dato al mondo quel tocco unico di bellezza che solo lui, o lei, e nessun altro poteva dare. Da cristiano, penso a Gesù e vedo che il suo agire è sempre stato animato dalla cura. Ha curato le relazioni con tutti coloro che incontrava nelle case, nelle città e lungo il cammino: ha guardato negli occhi le persone, ha prestato orecchio alle loro richieste di aiuto, si è fatto vicino e ha toccato con mano le loro ferite. Voi, guardate le persone negli occhi? Gesù è entrato nella storia a dirci che l’Altissimo ha cura di noi; a ricordarci che stare dalla parte di Dio vuol dire prendersi cura di qualcuno e di qualcosa, specialmente dei più bisognosi.
Amici, quanto è bello diventare cultori della cura, artisti delle relazioni! Ma ciò richiede, come tutto nella vita, un allenamento costante. E allora non dimenticatevi di avere anzitutto cura di voi stessi: non tanto dell’esterno, ma dell’interno, della parte più nascosta e preziosa di voi. Qual è? La vostra anima, il vostro cuore! E come si fa a curare il cuore? Provate ad ascoltarlo in silenzio, a ritagliare spazi per stare a contatto con la vostra interiorità, per sentire il dono che siete, per accogliere la vostra esistenza e non farvela sfuggire di mano. Non vi accada di essere “turisti della vita”, che la guardano solo all’esterno, superficialmente. E nel silenzio, seguendo il ritmo del vostro cuore, parlate a Dio, raccontategli di voi stessi, e anche di coloro che incontrate ogni giorno e che Lui vi dona come compagni di viaggio. Portategli i volti, le situazioni liete e dolorose, perché non c’è preghiera senza relazioni, così come non c’è gioia senza amore.
E l’amore – voi lo sapete – non è una telenovela o un film romantico: amare è avere a cuore l’altro, prendersi cura dell’altro, offrire il proprio tempo e i propri doni a chi ne ha bisogno, rischiare per fare della vita un dono che genera ulteriore vita. Rischiare! Amici, per favore, non dimenticatevi mai una cosa: siete tutti – nessuno escluso – un tesoro, un tesoro unico e prezioso. Dunque, non tenete la vita in cassaforte, pensando che sia meglio risparmiarsi e che il momento di spenderla non sia ancora venuto! Molti di voi sono qui di passaggio, per motivi lavorativi e spesso per un tempo determinato. Se però viviamo con la mentalità del turista, non cogliamo il momento presente e rischiamo di buttare via pezzi interi di vita! Che bello, invece, lasciare adesso una traccia buona nel cammino, prendendosi cura della comunità, dei compagni di classe, dei colleghi di lavoro, del creato… Ci fa bene chiedercelo: io, che traccia sto lasciando ora, qui dove vivo, nel luogo dove la Provvidenza mi ha messo?
Questo è il primo invito, la cultura della cura; se la abbracciamo, contribuiamo a far crescere il seme della fraternità. Ed ecco il secondo invito che vorrei rivolgervi: seminare fraternità. Mi è piaciuto quello che hai detto tu, Abdulla: “Bisogna essere campioni non solo nei campi da gioco, ma nella vita!”. Campioni fuori dal campo. È vero, siate campioni di fraternità, fuori dal campo! Questa è la sfida di oggi per vincere domani, la sfida delle nostre società, sempre più globalizzate e multiculturali. Vedete, tutti gli strumenti e la tecnologia che la modernità ci offre non bastano a rendere il mondo pacifico e fraterno. Lo stiamo vedendo: i venti di guerra, infatti, non si placano con il progresso tecnico. Constatiamo con tristezza che in molte regioni le tensioni e le minacce aumentano, e a volte divampano nei conflitti. Ma ciò spesso accade perché non si lavora sul cuore, perché si lasciano dilatare le distanze nei riguardi degli altri, e così le differenze etniche, culturali, religiose e di altro genere diventano problemi e paure che isolano anziché opportunità per crescere insieme. E quando sembrano più forti della fraternità che ci lega, si rischia lo scontro.
A voi giovani, che siete più diretti e più capaci nel generare contatti e amicizie, superando i pregiudizi e gli steccati ideologici, vorrei dire: siate seminatori di fraternità e sarete raccoglitori di futuro, perché il mondo avrà futuro solo nella fraternità! È un invito che trovo al cuore della mia fede. «Chi infatti – dice la Bibbia – non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello» (1 Gv 4,20-21). Sì, Gesù chiede di non slegare mai l’amore per Dio da quello per il prossimo, facendoci noi stessi prossimi di tutti (cfr Lc 10,29-37). Di tutti, non solo di chi ci sta simpatico. Vivere da fratelli e sorelle è la vocazione universale affidata a ogni creatura. E voi giovani – soprattutto voi –, davanti alla tendenza dominante di restare indifferenti e mostrarsi insofferenti agli altri, addirittura di avallare guerre e conflitti, siete chiamati a «reagire con un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale che non si limiti alle parole» (Fratelli tutti, 6). Le parole non bastano: c’è bisogno di gesti concreti portati avanti nel quotidiano.
Poniamoci anche qui alcune domande: io sono aperto agli altri? Sono amico o amica di qualche persona che non rientra nel mio giro di interessi, che ha credo e usanze diversi da me? Cerco l’incontro o resto sulle mie? La strada è quella che in poche parole ci ha detto Nevin: “creare buone relazioni”, con tutti. In voi giovani è vivo il desiderio di viaggiare, conoscere nuove terre, superare i confini dei soliti posti. Vorrei dirvi: sappiate viaggiare anche dentro di voi, allargare le frontiere interiori, perché cadano i pregiudizi sugli altri, si restringa lo spazio della diffidenza, si abbattano i recinti della paura, germogli l’amicizia fraterna! Anche qui, lasciatevi aiutare dalla preghiera, che allarga il cuore e, aprendoci all’incontro con Dio, ci aiuta a vedere in chi incontriamo un fratello e una sorella. A questo proposito, sono belle le parole di un profeta che dice: «Forse non ci ha creati un unico Dio? Perché dunque agire con perfidia l’uno contro l’altro?» (Ml 2,10). Società come questa, con una notevole ricchezza di credo, tradizioni e lingue diverse, possono diventare “palestre di fraternità”. Qui siamo alle porte del grande e multiforme continente asiatico, che un teologo ha definito «un continente di lingue» (A. Pieris, in Teologia in Asia, Brescia 2006, 5): sappiate armonizzarle nell’unica lingua, la lingua dell’amore, da veri campioni di fraternità!
Ancora un terzo invito vorrei farvi: riguarda la sfida di fare delle scelte nella vita. Lo sapete bene, dall’esperienza di ogni giorno: non esiste una vita senza sfide da affrontare. E sempre, di fronte a una sfida, come davanti a un bivio, bisogna scegliere, mettersi in gioco, rischiare, decidere. Ma questo richiede una buona strategia: non si può improvvisare, vivendo solo di istinto o solo all’istante! E come si fa a prepararsi, ad allenare la capacità di scegliere, la creatività, il coraggio, la tenacia? Come affinare lo sguardo interiore, imparare a giudicare le situazioni, a cogliere l’essenziale? Si tratta di crescere nell’arte di orientarsi nelle scelte, di prendere le giuste direzioni. Per questo, il terzo invito è fare delle scelte nella vita, scelte giuste.
Tutto questo mi è venuto in mente ripensando alle domande di Merina. Sono interrogativi che esprimono proprio il bisogno di capire la direzione da prendere nella vita – è coraggiosa, lei, per come ha detto le cose! E posso dirvi la mia esperienza: ero un adolescente come voi, come tutti, e la mia vita era la vita normale di un ragazzo. L’adolescenza – lo sappiamo – è un cammino, è una fase di crescita, un periodo in cui ci affacciamo alla vita nei suoi aspetti a volte contraddittori, affrontando per la prima volta certe sfide. Ebbene, il mio consiglio qual è? Andare avanti senza paura, e mai da soli! Due cose: andare avanti senza paura e mai da soli. Dio non vi lascia soli ma, per darvi una mano, attende che gliela chiediate. Egli ci accompagna e ci guida. Non con prodigi e miracoli, ma parlando delicatamente attraverso i nostri pensieri e i nostri sentimenti; e anche mediante i nostri professori, i nostri amici, i nostri genitori, e tutte le persone che vogliono aiutarci.
Bisogna allora imparare a distinguere la sua voce, la voce di Dio che ci parla. E come impariamo questo? Come ci dicevi tu, Merina: attraverso la preghiera silenziosa, il dialogo intimo con Lui, custodendo nel cuore quello che ci fa bene e ci dà pace. La pace è un segno della presenza di Dio. Questa luce di Dio illumina il labirinto di pensieri, emozioni e sentimenti in cui spesso ci muoviamo. Il Signore desidera rischiarare la vostra intelligenza, i vostri pensieri più intimi, le aspirazioni che portate nel cuore, i giudizi che maturano dentro di voi. Vuole aiutarvi a distinguere ciò che è essenziale da ciò che è superfluo, ciò che è buono da ciò che fa male a voi e ad altri, ciò che è giusto da ciò che genera ingiustizia e disordine. A Dio nulla è estraneo di quanto accade in noi, nulla, ma spesso siamo noi a estraniarci da Lui, a non affidargli le persone e le situazioni, a chiuderci nel timore e nella vergogna. No, nutriamo nella preghiera la certezza consolante che il Signore veglia su di noi, che non prende sonno ma ci guarda e ci custodisce sempre.
Amici, giovani, l’avventura delle scelte non va portata avanti da soli. Permettetemi perciò di dirvi un’ultima cosa: cercate sempre, prima dei suggerimenti in internet, dei buoni consiglieri nella vita, persone sagge e affidabili che possano orientarvi, aiutarvi. Prima questo. Penso ai genitori e agli insegnanti, ma anche agli anziani, ai nonni, e a un bravo accompagnatore spirituale. Ognuno di noi ha bisogno di essere accompagnato nella strada della vita! Ripeto quello che vi ho detto: mai soli! Abbiamo bisogno di essere accompagnati nella strada della vita.
Cari giovani, abbiamo bisogno di voi, della vostra creatività, dei vostri sogni e del vostro coraggio, della vostra simpatia e dei vostri sorrisi, della vostra gioia contagiosa e anche di quel pizzico di follia che voi sapete portare in ogni situazione, e che aiuta a uscire dal torpore delle abitudini e degli schemi ripetitivi in cui a volte incaselliamo la vita. Da Papa voglio dirvi: la Chiesa è con voi e ha tanto bisogno di voi, di ciascuno di voi, per ringiovanire, esplorare nuovi sentieri, sperimentare nuovi linguaggi, diventare più gioiosa e ospitale. Non perdete mai il coraggio di sognare e di vivere in grande! Fate vostra la cultura della cura e diffondetela; diventate campioni di fraternità; affrontate le sfide della vita lasciandovi orientare dalla creatività fedele di Dio e da buoni consiglieri. E da ultimo, ricordatevi di me nelle vostre preghiere. Io farò altrettanto per voi, portandovi nel cuore. Grazie!
God be with you! Allah ma’akum! [Dio sia con voi]