“Basta violenze, estremismi, fazioni, intolleranze! Tacciano le armi”. È l’accorato appello del Papa nel primo discorso ufficiale pronunciato in Iraq. Francesco ha incontrato nel salone del Palazzo Presidenziale le autorità politiche e religiose, i rappresentanti della società civile e i membri del corpo diplomatico. Dopo il saluto del Presidente della Repubblica d’Iraq, Barham Ahmed Salih Qassim, il Papa ha pronunciato il suo discorso.
Ecco il testo integrale diffuso dalla Sala Stampa vaticana:
“Signor Presidente, Membri del Governo e del Corpo diplomatico, distinte Autorità, Rappresentanti della società civile, Signore e Signori!
Sono grato dell’opportunità di compiere questa Visita Apostolica, a lungo attesa e desiderata, nella Repubblica di Iraq; di poter venire in questa terra, culla della civiltà strettamente legata, attraverso il Patriarca Abramo e numerosi profeti, alla storia della salvezza e alle grandi tradizioni religiose dell’Ebraismo, del Cristianesimo e dell’Islam. Esprimo la mia gratitudine al Signor Presidente Salih per l’invito e per le cortesi parole di benvenuto, che mi ha rivolto anche a nome delle altre Autorità e del suo amato popolo. Ugualmente saluto i Membri del Corpo diplomatico e i Rappresentanti della società civile.
Saluto con affetto i Vescovi e i presbiteri, i religiosi e le religiose e tutti i fedeli della Chiesa Cattolica. Vengo come pellegrino per incoraggiarli nella loro testimonianza di fede, speranza e carità in mezzo alla società irachena. Saluto anche i membri delle altre Chiese e Comunità ecclesiali cristiane, gli aderenti all’Islam e i rappresentanti di altre tradizioni religiose. Dio ci conceda di camminare insieme, come fratelli e sorelle, nella “forte convinzione che i veri insegnamenti delle religioni invitano a restare ancorati ai valori della pace, […] della reciproca conoscenza, della fratellanza umana e della convivenza comune”.
La mia visita avviene nel tempo in cui il mondo intero sta cercando di uscire dalla crisi della pandemia da Covid-19, che non ha solo colpito la salute di tante persone, ma ha anche provocato il deterioramento di condizioni sociali ed economiche già segnate da fragilità e instabilità. Questa crisi richiede sforzi comuni da parte di ciascuno per fare i tanti passi necessari, tra cui un’equa distribuzione dei vaccini per tutti. Ma non basta: questa crisi è soprattutto un appello a “ripensare i nostri stili di vita […], il senso della nostra esistenza”. Si tratta di uscire da questo tempo di prova migliori di come eravamo prima; di costruire il futuro più su quanto ci unisce che su quanto ci divide.
Negli scorsi decenni, l’Iraq ha patito i disastri delle guerre, il flagello del terrorismo e conflitti settari spesso basati su un fondamentalismo che non può accettare la pacifica coesistenza di vari gruppi etnici e religiosi, di idee e culture diverse. Tutto ciò ha portato morte, distruzione, macerie tuttora visibili, e non solo a livello materiale: i danni sono ancora più profondi se si pensa alle ferite dei cuori di tante persone e comunità, che avranno bisogno di anni per guarire. E qui, tra i tanti che hanno sofferto, non posso non ricordare gli yazidi, vittime innocenti di insensata e disumana barbarie, perseguitati e uccisi a motivo della loro appartenenza religiosa, e la cui stessa identità e sopravvivenza è stata messa a rischio. Pertanto, solo se riusciamo a guardarci tra noi, con le nostre differenze, come membri della stessa famiglia umana, possiamo avviare un effettivo processo di ricostruzione e lasciare alle future generazioni un mondo migliore, più giusto e più umano. A questo riguardo, la diversità religiosa, culturale ed etnica, che ha caratterizzato la società irachena per millenni, è una preziosa risorsa a cui attingere, non un ostacolo da eliminare. Oggi l’Iraq è chiamato a mostrare a tutti, specialmente in Medio Oriente, che le differenze, anziché dar luogo a conflitti, devono cooperare in armonia nella vita civile.
La coesistenza fraterna ha bisogno del dialogo paziente e sincero, tutelato dalla giustizia e dal rispetto del diritto. Non è un compito facile: richiede fatica e impegno da parte di tutti per superare rivalità e contrapposizioni, e parlarsi a partire dall’identità più profonda che abbiamo, quella di figli dell’unico Dio e Creatore. In base a questo principio la Santa Sede, in Iraq come altrove, non si stanca di appellarsi alle Autorità competenti perché concedano a tutte le comunità religiose riconoscimento, rispetto, diritti e protezione. Apprezzo gli sforzi già intrapresi in questo senso e unisco la mia voce a quella degli uomini e delle donne di buona volontà affinché essi proseguano a beneficio del Paese.
Una società che porta l’impronta dell’unità fraterna è una società i cui membri vivono tra loro in solidarietà. “La solidarietà ci aiuta a vedere l’altro […] come nostro prossimo, compagno di strada”. È una virtù che ci porta a compiere gesti concreti di cura e di servizio, con particolare riguardo per i più vulnerabili e bisognosi. Penso a coloro che, a causa della violenza, della persecuzione e del terrorismo hanno perduto familiari e persone care, casa e beni primari. Ma penso a tutta la gente che lotta ogni giorno in cerca di sicurezza e di mezzi per andare avanti, mentre aumentano disoccupazione e povertà. Il “saperci responsabili della fragilità degli altri” dovrebbe ispirare ogni sforzo per creare concrete opportunità sia sul piano economico sia nell’ambito dell’educazione, come pure per la cura del creato, nostra casa comune. Dopo una crisi, non basta ricostruire, bisogna farlo bene: in modo che tutti possano avere una vita dignitosa. Da una crisi non si esce uguali a prima: si esce o migliori o peggiori.
In quanto responsabili politici e diplomatici, siete chiamati a promuovere questo spirito di solidarietà fraterna. È necessario contrastare la piaga della corruzione, gli abusi di potere e l’illegalità, ma non è sufficiente. Occorre nello stesso tempo edificare la giustizia, far crescere l’onestà, la trasparenza e rafforzare le istituzioni a ciò preposte. In tal modo può crescere la stabilità e svilupparsi una politica sana, capace di offrire a tutti, specialmente ai giovani – così numerosi in questo Paese –, la speranza di un avvenire migliore.
Signor Presidente, distinte Autorità, cari amici! Vengo come penitente che chiede perdono al Cielo e ai fratelli per tante distruzioni e crudeltà. Vengo come pellegrino di pace, in nome di Cristo, Principe della Pace. Quanto abbiamo pregato, in questi anni, per la pace in Iraq! San Giovanni Paolo II non ha risparmiato iniziative, e soprattutto ha offerto preghiere e sofferenze per questo. E Dio ascolta, ascolta sempre! Sta a noi ascoltare Lui, camminare nelle sue vie. Tacciano le armi! Se ne limiti la diffusione, qui e ovunque! Cessino gli interessi di parte, quegli interessi esterni che si disinteressano della popolazione locale. Si dia voce ai costruttori, agli artigiani della pace! Ai piccoli, ai poveri, alla gente semplice, che vuole vivere, lavorare, pregare in pace. Basta violenze, estremismi, fazioni, intolleranze! Si dia spazio a tutti i cittadini che vogliono costruire insieme questo Paese, nel dialogo, nel confronto franco e sincero, costruttivo; a chi si impegna per la riconciliazione e, per il bene comune, è disposto a mettere da parte i propri interessi. In questi anni l’Iraq ha cercato di mettere le basi per una società democratica. È indispensabile in tal senso assicurare la partecipazione di tutti i gruppi politici, sociali e religiosi e garantire i diritti fondamentali di tutti i cittadini. Nessuno sia considerato cittadino di seconda classe. Incoraggio i passi compiuti finora in questo percorso e spero che rafforzino la serenità e la concordia.
Anche la comunità internazionale ha un ruolo decisivo da svolgere nella promozione della pace in questa terra e in tutto il Medio Oriente. Come abbiamo visto durante il lungo conflitto nella vicina Siria – dal cui inizio si compiono in questi giorni ben dieci anni! –, le sfide interpellano sempre più l’intera famiglia umana. Esse richiedono una cooperazione su scala globale al fine di affrontare anche le disuguaglianze economiche e le tensioni regionali che mettono a rischio la stabilità di queste terre. Ringrazio gli Stati e le Organizzazioni internazionali, che si stanno adoperando in Iraq per la ricostruzione e per provvedere assistenza ai rifugiati, agli sfollati interni e a chi fatica a ritornare nelle proprie case, rendendo disponibili nel Paese cibo, acqua, alloggi, servizi sanitari e igienici, come pure programmi volti alla riconciliazione e alla costruzione della pace. E qui non posso non ricordare le tante agenzie, tra cui diverse cattoliche, che da anni assistono con grande impegno le popolazioni civili. Venire incontro ai bisogni essenziali di tanti fratelli e sorelle è atto di carità e di giustizia, e contribuisce a una pace duratura. Auspico che le nazioni non ritirino dal popolo iracheno la mano tesa dell’amicizia e dell’impegno costruttivo, ma continuino a operare in spirito di comune responsabilità con le Autorità locali, senza imporre interessi politici o ideologici.
La religione, per sua natura, dev’essere al servizio della pace e della fratellanza. Il nome di Dio non può essere usato per “giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione”. Al contrario Dio, che ha creato gli esseri umani uguali nella dignità e nei diritti, ci chiama a diffondere amore, benevolenza, concordia. Anche in Iraq la Chiesa Cattolica desidera essere amica di tutti e, attraverso il dialogo, collaborare in modo costruttivo con le altre religioni, per la causa della pace. L’antichissima presenza dei cristiani in questa terra e il loro contributo alla vita del Paese costituiscono una ricca eredità, che vuole poter continuare al servizio di tutti. La loro partecipazione alla vita pubblica, da cittadini che godano pienamente di diritti, libertà e responsabilità, testimonierà che un sano pluralismo religioso, etnico e culturale può contribuire alla prosperità e all’armonia del Paese.
Cari amici, desidero esprimere ancora una volta sentita gratitudine per tutto quello che avete fatto e continuate a fare al fine di edificare una società improntata all’unità fraterna, alla solidarietà e alla concordia. Il vostro servizio al bene comune è un’opera nobile. Chiedo all’Onnipotente di sostenervi nelle vostre responsabilità e di guidarvi tutti sulla via della sapienza, della giustizia e della verità. Su ciascuno di voi, sulle vostre famiglie e sui vostri cari, e sull’intero popolo iracheno invoco l’abbondanza delle benedizioni divine. Grazie!”
Al termine, il Santo Padre e il Presidente si congedano all’ingresso del Palazzo Presidenziale e il Pontefice si trasferisce in auto alla Cattedrale siro-cattolica di Nostra Signora della Salvezza per l’incontro con i Vescovi e i Religiosi.