Il “discorso missionario” di Gesù: perché, cosa e come annunciare

La quinta catechesi di Papa Francesco sulla passione per l’evangelizzazione

(C) Vatican Media
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L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 9.00 nell’Aula Paolo VI, dove il Santo Padre Francesco ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.

Nel discorso in lingua italiana il Papa, riprendendo il ciclo di catechesi La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente, ha incentrato la Sua meditazione sul tema: “Il primo apostolato” (Lettura: Mt 10,7-10.16).

Dopo aver riassunto la Sua catechesi nelle diverse lingue, il Santo Padre ha indirizzato particolari espressioni di saluto ai fedeli presenti.

L’Udienza Generale si è conclusa con la recita del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

Catechesi del Santo Padre

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Proseguiamo le nostre catechesi; il tema che abbiamo scelto è: “La passione di evangelizzare, lo zelo apostolico”. Perché evangelizzare non è dire: “Guarda, blablabla” e niente di più; c’è una passione che ti coinvolge tutto: la mente, il cuore, le mani, andare … tutto, tutta la persona è coinvolta con questo di proclamare il Vangelo, e per questo parliamo di passione di evangelizzare. Dopo aver visto in Gesù il modello e il maestro dell’annuncio, passiamo oggi ai primi discepoli, quello che hanno fatto i discepoli. Il Vangelo dice che Gesù «ne costituì Dodici – che chiamò apostoli –, perché stessero con Lui e per mandarli a predicare» (Mc 4 3,14), due cose: perché stessero con Lui e mandarli a predicare. C’è un aspetto che sembra contraddittorio: li chiama perché stiano con Lui e perché vadano a predicare. Verrebbe da dire: o l’una o l’altra cosa, o stare o andare. Invece no: per Gesù non c’è andare senza stare e non c’è stare senza andare. Non è facile capire questo, ma è così. Cerchiamo di capire un po’ qual è il senso con cui Gesù dice queste cose.

Anzitutto non c’è andare senza stare: prima di inviare i discepoli in missione, Cristo – dice il Vangelo – li “chiama a sé” (cfr Mt 10,1). L’annuncio nasce dall’incontro con il Signore; ogni attività cristiana, soprattutto la missione, comincia da lì. Non si impara in un’accademia: no! Incomincia dall’incontro con il Signore. Testimoniarlo, infatti, significa irradiarlo; ma, se non riceviamo la sua luce, saremo spenti; se non lo frequentiamo, porteremo noi stessi anziché Lui – mi porto io e non Lui –, e sarà tutto vano. Dunque, può portare il Vangelo di Gesù solo la persona che sta con Lui. Uno che non sta con Lui non può portare il Vangelo. Porterà idee, ma non il Vangelo. Ugualmente, però, non c’è stare senza andare. Infatti seguire Cristo non è un fatto intimistico: senza annuncio, senza servizio, senza missione la relazione con Gesù non cresce. Notiamo che nel Vangelo il Signore invia i discepoli prima di aver completato la loro preparazione: poco dopo averli chiamati, già li invia! Questo significa che l’esperienza della missione fa parte della formazione cristiana. Ricordiamo allora questi due momenti costitutivi per ogni discepolo: stare con Gesù e andare, inviati da Gesù.

Chiamati a sé i discepoli e prima di inviarli, Cristo rivolge loro un discorso, noto come “discorso missionario” – così si chiama nel Vangelo. Si trova al capitolo 10 del Vangelo di Matteo ed è come la “costituzione” dell’annuncio. Da quel discorso, che vi consiglio di leggere oggi – è una paginetta soltanto del Vangelo –, traggo tre aspetti: perché annunciare, che cosa annunciare e come annunciare.


Perché annunciare. La motivazione sta in cinque parole di Gesù, che ci farà bene ricordare: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (v. 8). Sono cinque parole. Ma perché annunciare? Perché gratuitamente io ho ricevuto e devo dare gratuitamente. L’annuncio non parte da noi, ma dalla bellezza di quanto abbiamo ricevuto gratis, senza merito: incontrare Gesù, conoscerlo, scoprire di essere amati e salvati. È un dono così grande che non possiamo tenerlo per noi, sentiamo il bisogno di diffonderlo; però nello stesso stile, cioè nella gratuità. In altre parole: abbiamo un dono, perciò siamo chiamati a farci dono; abbiamo ricevuto un dono e la nostra vocazione è noi farci dono per gli altri; c’è in noi la gioia di essere figli di Dio, va condivisa con i fratelli e le sorelle che ancora non lo sanno! Questo è il perché dell’annuncio. Andare e portare la gioia di quello che noi abbiamo ricevuto.

Secondo: che cosa, dunque, annunciare? Gesù dice: «Predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino» (v. 7). Ecco che cosa va detto, prima di tutto e in tutto: Dio è vicino. Ma, non dimenticatevi mai di questo: Dio sempre è stato vicino al popolo, Lui stesso lo disse al popolo. Disse così: “Guardate, quale Dio è vicino alle Nazioni come io sono vicino a voi?”. La vicinanza è una delle cose più importanti di Dio. Sono tre cose importanti: vicinanza, misericordia e tenerezza. Non dimenticare quello. Chi è Dio? Il Vicino, il Tenero, il Misericordioso. Questa è la realtà di Dio. Noi, predicando, spesso invitiamo la gente a fare qualcosa, e questo va bene; ma non scordiamoci che il messaggio principale è che Lui è vicino: vicinanza, misericordia e tenerezza. Accogliere l’amore di Dio è più difficile perché noi vogliamo essere sempre al centro, noi vogliamo essere protagonisti, siamo più portati a fare che a lasciarci plasmare, a parlare più che ad ascoltare. Ma, se al primo posto sta quello che facciamo, i protagonisti saremo ancora noi. Invece l’annuncio deve dare il primato a Dio: dare il primato a Dio, al primo posto Dio, e dare agli altri l’opportunità di accoglierlo, di accorgersi che Lui è vicino. E io, dietro.

Terzo punto: come annunciare. È l’aspetto sul quale Gesù si dilunga maggiormente: come annunciare, qual è il metodo, quale dev’essere il linguaggio per annunciare; è significativo: ci dice che il modo, lo stile è essenziale nella testimonianza. La testimonianza non coinvolge soltanto la mente e dire qualche cosa, i concetti: no. Coinvolge tutto, mente, cuore, mani, tutto, i tre linguaggi della persona: il linguaggio del pensiero, il linguaggio dell’affetto e il linguaggio dell’opera. I tre linguaggi. Non si può evangelizzare soltanto con la mente o soltanto con il cuore o soltanto con le mani. Tutto coinvolge. E, nello stile, l’importante è la testimonianza, come ci vuole Gesù. Dice così: «Io vi mando come pecore in mezzo a lupi» (v. 16). Non ci chiede di saper affrontare i lupi, cioè di essere capaci di argomentare, controbattere e difenderci: no. Noi penseremmo così: diventiamo rilevanti, numerosi, prestigiosi e il mondo ci ascolterà e ci rispetterà e vinceremo i lupi: no, non è così. No, vi mando come pecore, come agnelli – questo è l’importante. Se tu non vuoi essere pecora, non ti difenderà il Signore dai lupi. Arrangiati come puoi. Ma se tu sei pecora, stai sicuro che il Signore ti difenderà dai lupi. Essere umili. Ci chiede di essere così, di essere miti e con la voglia di essere innocenti, essere disposti al sacrificio; questo infatti rappresenta l’agnello: mitezza, innocenza, dedizione, tenerezza. E Lui, il Pastore, riconoscerà i suoi agnelli e li proteggerà dai lupi. Invece, gli agnelli travestiti da lupi vengono smascherati e sbranati. Un Padre della Chiesa scriveva: «Finché saremo agnelli, vinceremo e, anche se saremo circondati da numerosi lupi, riusciremo a superarli. Ma se diventeremo lupi saremo sconfitti, perché saremo privi dell’aiuto del pastore. Egli non pasce lupi, ma agnelli» (S. Giovanni Crisostomo, Omelia 33 sul Vangelo di Matteo). Se io voglio essere del Signore, devo lasciare che Lui sia il mio pastore e Lui non è pastore di lupi, è pastore di agnelli, miti, umili, carini con il Signore.

Sempre sul come annunciare, colpisce che Gesù, anziché prescrivere cosa portare in missione, dice cosa non portare. Alle volte, uno vede qualche apostolo, qualche persona che trasloca, qualche cristiano che dice che è apostolo e ha dato la vita al Signore, e si porta tanti bagagli: ma questo non è del Signore, il Signore ti fa leggero di equipaggio e dice cosa non portare: «Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture,né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone» (vv. 9-10). Non portare niente. Dice di non appoggiarsi sulle certezze materiali, di andare nel mondo senza mondanità. Questo è quello da dire: io vado al mondo non con lo stile del mondo, non con i valori del mondo, non con la mondanità – che per la Chiesa, cadere nella mondanità è il peggio che possa accadere. Vado con semplicità. Ecco come si annuncia: mostrando Gesù più che parlando di Gesù. E come mostriamo Gesù? Con la nostra testimonianza. E, infine, andando insieme, in comunità: il Signore invia tutti i discepoli, ma nessuno va da solo. La Chiesa apostolica è tutta missionaria e nella missione ritrova la sua unità. Dunque: andare miti e buoni come agnelli, senza mondanità, e andare insieme. Qui sta la chiave dell’annuncio, questa è la chiave del successo dell’evangelizzazione. Accogliamo questi inviti di Gesù: le sue parole siano il nostro punto di riferimento.

Saluti

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Sono tanti! In particolare, saluto i Padri Stimmatini e le Piccole Suore della Divina Provvidenza che celebrano i rispettivi Capitoli Generali: vi incoraggio ad essere ovunque missionari di unità, fondando la vita e l’apostolato sulla Parola di Dio. Accolgo con gioia voi, diaconi dell’Arcidiocesi di Milano, che sarete ordinati sacerdoti tra qualche mese, ed auguro che la visita a Roma rinnovi in voi l’entusiasmo di una generosa risposta alla chiamata del Signore. Saluto, inoltre, l’Orchestra giovanile di Carpi – vogliamo sentirla! – e l’Aeronautica Militare di Grazzanise e Licola.

Il mio pensiero va infine, come di consueto, ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Ispirandomi ai Santi Cirillo e Metodio, apostoli degli slavi e compatroni d’Europa, dei quali ieri abbiamo celebrato la festa liturgica, vi invito a testimoniare ogni giorno il Vangelo, diffondendo attorno a voi il profumo della carità di Cristo, che conquista i cuori al bene.