“I giovani vogliono avere luce nel futuro. Non basta solo dirgli come devono vivere. La speranza per loro significa: avete un presente ma avete anche un futuro, dovete aiutarci a scrivere questo futuro”. A margine della presentazione del Don Bosco Global Youth Film Festival, il rettor maggiore della Congregazione salesiana, don Angel Fernandez Artime, ha cortesemente accettato di rispondere a qualche domanda di Exaudi.
Perché un festival di cinema giovanile?
Soprattutto perché abbiamo pensato, in questo tempo che è stato pesante, bruttissimo, della pandemia, del lockdown, di dare la parola ai giovani. Loro hanno questa capacità di esprimersi con qualsiasi piccolissima cosa. Abbiamo pensato che per loro la musica e il cinema sono due grandi mezzi e l’iniziativa è nata così. Però ci siamo chiesti quale potrebbe essere il tema e in un momento in cui è stato colpito il mondo intero ci siamo detti che poteva essere la speranza. I giovani, la loro visione del presente e la speranza. E così abbiamo dato vita a questa iniziativa che ha riscosso una partecipazione davvero straordinaria.
Il Paese che ha partecipato di più è l’India, ma al secondo posto c’è l’Iran, davanti all’Italia. O anche la Turchia. Ci sono molti posti dove la nostra presenza è molto discreta o quasi non esiste. In Iran ormai da due anni non siamo più presenti, perché le condizioni non ce lo permettevano, ma i giovani ci sono. Questa partecipazione dimostra una realtà di grande internazionalità.
È stata un’opportunità per dare una parola e crediamo che è un primo passo per fare l’anno prossimo qualcosa ancora più matura.
I giovani sono tra quelli che hanno subito di più la pandemia. Come ridare speranza alle nuove generazioni?
Vedendo anche qualcuno dei film troviamo una risposta che è questa: i giovani vogliono avere luce nel futuro. Non basta solo dirgli come devono vivere. La speranza per loro significa: avete un presente ma avete anche un futuro, dovete aiutarci a scrivere questo futuro. Per esempio, la risposta sull’ecologia è chiarissima: i giovani hanno un linguaggio molto più forte dei nostri politici. Su questo vogliono dirci che il futuro per loro è molto pesante.
Qual è stato l’impatto della pandemia sulla congregazione e quali sfide vi presenta?
Un dato triste è che abbiamo perso molti salesiani nel mondo a causa del covid. Buona parte erano anziani ma è sempre una vita. 187 confratelli sono deceduti per il virus. Ma allo stesso tempo la pandemia ha evidenziato alcune cose bellissime. Per esempio, la capacità di essere creativi. È impressionante come con le case vuote, gli oratori vuoti, le scuole vuote, sorgevano tutti i giorni tante iniziative per collegarsi con i ragazzi e con le famiglie. Questo è stato un grande valore. Poi la voglia di condividere tali idee, creazioni, originalità. E, terza cosa, tra di noi salesiani nel mondo è emersa una solidarietà meravigliosa. Promossa da noi, è arrivata a tante famiglie duramente colpite dalla pandemia in 67 nazioni. Abbiamo distribuito aiuti per più di 10 milioni di euro. È stato il volto gentile e umano di una realtà che ci ha colpito tanto duramente.
Un salesiano, don Enrico Pozzoli, ha battezzato Jorge Bergoglio e lo ha indirizzato nella sua vocazione. Venerdì 12 novembre all’Urbaniana sarà presentato un libro (“Ho fatto cristiano il Papa”, di Ferruccio Pallavera, ed. Lev ) che racconta la storia di questo rapporto. Quanto ha inciso il carisma salesiano nella formazione di Bergoglio?
Papa Francesco ha evidentemente una formazione gesuita ma ha conosciuto bene il carisma salesiano e ha anche tanto affetto per Don Bosco e per la missione tra i giovani. E questo è molto prezioso anche per noi.
Lei lo ha conosciuto quando era ispettore in Argentina. Come è stato e com’è il suo rapporto col Pontefice?
I miei rapporti sono come quelli di tanti altri superiori generali. Soltanto che, è vero, ci siamo conosciuti lì, ci vedevamo nella basilica dove è stato battezzato, ho concelebrato con lui tante volte e questo ha fatto sì che sorgesse quella che potremmo definire una simpatia. Però ho molto chiaro che Papa Francesco è il papa di tutti e noi salesiani cerchiamo di aiutare, di essere sempre uniti al papa come voleva Don Bosco.