Questa mattina, nel Palazzo Apostolico, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i partecipanti alla 98a Assemblea dell’Unione Superiori Generali (U.S.G.) sul tema: “Fratelli tutti: chiamati a essere artigiani di pace”, che ha avuto luogo dal 23 al 25 novembre presso la Fraterna Domus a Roma.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha preparato per la circostanza e consegnato ai presenti all’Udienza:
Discorso del Santo Padre
Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!
Sono contento di accogliere voi tutti, membri dell’Unione dei Superiori Generali, con l’Arcivescovo Segretario del Dicastero degli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. Ringrazio Padre Arturo Sosa per le cortesi parole.
Nella vostra Assemblea, sulla base dell’Enciclica Fratelli tutti, avete affrontato il tema Chiamati ad essere artigiani della pace. Si tratta di un appello urgente che ci riguarda tutti, in modo particolare le persone consacrate: essere artigiani della pace, di quella pace che il Signore ci ha dato e che ci fa sentire tutti fratelli: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14,27).
Qual è la pace che Gesù ci dona, e in che cosa si differenza da quella che dà il mondo? In questi tempi, ascoltando la parola “pace” pensiamo soprattutto a una situazione di non-guerra o di fine-guerra, uno stato di tranquillità e di benessere. Questo – lo sappiamo – non corrisponde pienamente al senso della parola ebraica shalom, che, nel contesto biblico, ha un significato più ricco.
La pace di Gesù è prima di tutto dono suo, frutto della carità, non è mai una conquista dell’uomo; e, a partire da questo dono, è l’insieme armonico delle relazioni con Dio, con sé stessi, con gli altri e con il creato. Pace è anche l’esperienza della misericordia, del perdono e della benevolenza di Dio, che ci rende capaci a nostra volta di esercitare misericordia, perdono, respingendo ogni forma di violenza e di oppressione. Ecco perché la pace di Dio come dono è inseparabile dall’essere costruttori e testimoni di pace; come dice Fratelli tutti, «artigiani di pace disposti ad avviare processi di guarigione e di rinnovato incontro con ingegno e audacia” (n. 225).
Come ci ricorda San Paolo, Gesù ha abbattuto il muro di separazione dell’inimicizia tra gli uomini, riconciliandoli con Dio (cfr Ef 2,14-16). Tale riconciliazione definisce le modalità dell’essere «operatori di pace» (Mt 5,9), perché questa – come dicevamo – non è semplicemente assenza di guerra e neppure un equilibrio tra forze avversarie (cfr Gaudium et spes, 78). Si fonda invece sul riconoscimento della dignità della persona umana e richiede un ordine a cui concorrono inseparabilmente la giustizia, la misericordia e la verità (cfr Fratelli tutti, 227).
“Fare la pace” è, dunque, un lavoro artigianale, da fare con passione, pazienza, esperienza, tenacia, perché è un processo che dura nel tempo (cfr ibid., 226). La pace non è un prodotto industriale ma un’opera artigianale. Non si realizza in modo meccanico, necessita dell’intervento sapiente dell’uomo. Non si costruisce in serie, col solo sviluppo tecnologico, ma richiede lo sviluppo umano. Per questo i processi di pace non si possono delegare ai diplomatici o ai militari: la pace è una responsabilità di tutti e di ciascuno.
«Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). Beati noi consacrati se ci impegniamo a seminare pace con le nostre azioni quotidiane, con atteggiamenti e gesti di servizio, di fraternità, di dialogo, di misericordia; e se nella preghiera invochiamo incessantemente da Gesù Cristo «nostra pace» (Ef 2,14) il dono della pace. Così la vita consacrata può diventare una profezia di questo dono, se i consacrati imparano ad esserne artigiani, incominciando dalle proprie comunità, costruendo ponti e non muri dentro la comunità e fuori di essa. Quando ognuno contribuisce facendo con carità il proprio dovere, nella comunità c’è la pace. Il mondo ha bisogno di noi consacrati anche come artigiani di pace!
Questa riflessione sulla pace, fratelli e sorelle, mi porta a considerare un altro aspetto caratteristico della vita consacrata: la sinodalità, questo processo nel quale siamo chiamati ad entrare tutti in quanto membri del popolo santo di Dio. Come consacrati, poi, siamo tenuti in modo particolare a parteciparvi, in quanto la vita consacrata è sinodale per sua natura. Essa ha anche molte strutture che possono favorire la sinodalità: penso ai capitoli – generali, provinciali o regionali, e locali –, alle visite fraterne e canoniche, alle assemblee, alle commissioni, e ad altre strutture proprie dei singoli istituti.
Ringrazio coloro che hanno offerto e stanno offrendo il loro contributo a questo cammino, ai vari livelli e nei diversi ambiti di partecipazione. Grazie perché fate sentire la vostra voce come consacrati. Ma, come ben sappiamo, non basta avere strutture sinodali: è necessario “rivisitarle”, domandandoci prima di tutto: come vengono preparate e utilizzate queste strutture?
In tale contesto, si deve vedere e forse rivedere anche il modo di esercitare il servizio dell’autorità. Infatti, è necessario vigilare sul pericolo che esso possa degenerare in forme autoritarie, a volte dispotiche, con abusi di coscienza o spirituali che sono terreno propizio anche per abusi sessuali, perché non si rispetta più la persona e i suoi diritti. E inoltre vi è il rischio che l’autorità venga esercitata come privilegio, per chi la detiene o per chi la sostiene, quindi anche come una forma di complicità tra le parti, affinché ognuno faccia quello che vuole, favorendo così paradossalmente una specie di anarchia, che tanto danno comporta per la comunità.
Auspico che il servizio dell’autorità venga esercitato sempre in stile sinodale, rispettando il diritto proprio e le mediazioni che esso prevede, per evitare sia l’autoritarismo, sia i privilegi, sia il “lasciar fare”; favorendo un clima di ascolto, di rispetto per l’altro, di dialogo, di partecipazione e di condivisione. I consacrati, con la loro testimonianza, possono apportare molto alla Chiesa in questo processo di sinodalità che stiamo vivendo. Purché voi siate i primi a viverla: a camminare insieme, ad ascoltarvi, a valorizzare la varietà dei doni, ad essere comunità accoglienti.
In questa prospettiva, rientrano anche i percorsi di valutazione di idoneità e attitudine, perché possa avvenire nel modo migliore un rinnovamento generazionale alla guida degli istituti. Senza improvvisazioni. Infatti, la comprensione dei problemi attuali, spesso inediti e complessi, comporta un’adeguata formazione, altrimenti non si sa bene dove andare e si “naviga a vista”. Inoltre, una riorganizzazione o riconfigurazione dell’istituto va fatta sempre nella salvaguardia della comunione, per non ridurre tutto ad accorpamenti di circoscrizioni, che poi possono risultare non facilmente gestibili o motivo di contrasti. Al riguardo, è importante che i superiori stiano attenti a evitare che qualche persona non sia ben occupata, perché questo, oltre a danneggiare i soggetti, genera tensioni nella comunità.
Cari fratelli e sorelle, grazie di questo incontro! Vi auguro di portare avanti con serenità e con frutto il vostro servizio, e di essere artigiani di pace. La Madonna vi accompagni. Vi benedico tutti di cuore. E vi chiedo per favore di pregare per me.