Alle ore 11.00 di questa mattina, ha avuto luogo in diretta streaming dalla Sala Stampa della Santa Sede, Sala San Pio X, Via dell’Ospedale 1, la Conferenza Stampa dal titolo “Sublimitas et miseria hominis – Grandezza e miseria dell’uomo” in occasione dei Quattrocento anni della nascita del filosofo, matematico e scienziato Blaise Pascal, nato il 19 giugno 1623 a Clermond-Ferrand e morto a Parigi, il 19 agosto 1662.
Sono intervenuti: l’Em.mo Card. José Tolentino de Mendonça, Prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione; il Dott. François-Xavier Adam, Direttore de l’Institut Français – Centre Saint Louis.
Riportiamo di seguito l’intervento dell’Em.mo Card. Tolentino de Mendonça:
Intervento dell’Em.mo Card. José Tolentino de Mendonça
Cari amici, oggi 19 giugno, ricorrere l’anniversario del quarto centenario della nascita nel 1623, a Clermond-Ferrand, del matematico, scienziato e filosofo Blaise Pascal, che morì a Parigi, il 19 di agosto del 1662, quando aveva appena compiuto i 39 anni d’età.
Pascal è conosciuto per i suoi contributi alla matematica: sia nel campo della geometria proiettiva, quel ramo della geometria che permise il passaggio dalla geometria analitica di Cartesio alla geometria algebrica del XX Secolo; sia nel calcolo probabilistico, che sviluppò in collaborazione con Pierre Fermat, gettando le basi della teoria della probabilità a partire dal calcolo aleatorio.
Pascal è conosciuto anche per i sui contributi nel campo delle scienze applicate e teoriche. Enfant prodige, egli costruì il primo calcolatore meccanico – la Pascaline, antenato dei calcolatori moderni – ideò il primo sistema di trasporto pubblico – le carrosses à cinq sols – inventò la siringa idraulica, chiarì il concetto del vuoto e della pressione atmosferica – inspirandosi dai lavori di Evangelista Torricelli – e influenzò la nascita e l’affermazione del metodo scientifico moderno.
Il 23 novembre 1654, ebbe un episodio mistico conosciuto come la nuit de feu – del quale abbiamo una storica testimonianza personale in una lettera chiamata mémorial, che fu ritrovata dopo la sua morte, cucita all’interno del suo cappotto – che trasformò la sua vita e lo spinse a dedicarsi con rinnovata devozione alla preghiera, facendo della sua fede cristiana il centro assoluto della sua esistenza e dedicando ogni suo sforzo a profonde riflessioni filosofico-teologiche sull’uomo e su Dio.
Credenti e non credenti sono rimasti affascinati dalla sua figura: Charles Péguy scrisse di lui «le plus grand génie que la terre ait jamais porté»; Friedrich Nietzsche lo riteneva «l’uomo più profondo dei tempi moderni». L’influenza di Pascal fu indiscutibilmente immensa: da Giacomo Leopardi ad Arthur Schopenhauer, da Alessandro Manzoni a Martin Heidegger… pochi sono i pensatori e i filosofi dal XVII secolo in poi che non si siano confrontati con la sua antropologia.
La sua opera più conosciuta «Les pensées» – una raccolta di frammenti che egli non poté terminare e che fu pubblica nel 1670, è sicuramente uno dei grandi capolavori del pensiero occidentale. Le analogie in esse utilizzate, come quella del roseau pensant – «L’uomo non è che un giunco, il più debole della natura, ma è un giunco pensante» – e le intuizioni da lui sinteticamente e quasi cripticamente annotate – «Il cuore ha delle ragioni che la ragione non conosce» – sono state così tanto commentate da entrare nell’immaginazione e nel linguaggio comune.
Davanti a tale statura, il Santo Padre, da sempre innamorato dei Pensieri – ne conosce e ne cita vari a memoria – e profondo ammiratore di Pascal – che va detto, a onore del vero, si scagliò contro un ramo della Compagnia di Gesù in acerrimi dibattiti – ha deciso di onorare la sua figura con una Lettera Apostolica dal titolo accattivante Sublimitas et miseria hominis – ossia Grandezza e miseria dell’uomo – che sarà resa pubblica fra qualche minuto e sarà oggetto di un dibattito d’approfondimento, che il Dicastero per la Cultura e l’Educazione organizzerà con il Centro San Luigi dei Francesi oggi pomeriggio.
Il Dott. Francois-Xavier Adam, Direttore del Centre Saint-Louis-des-Francais, vi esporrà i dettagli di questo evento eccezionale che vedrà la partecipazione di esperti della letteratura del Seicento: il Prof. Gheeraert dell’Università di Rouen, la Prof.ssa Papasogli della Libera Università Maria SS. Assunta, la Prof.ssa Plazenet, Direttrice del Centre international Blaise Pascal di Clermond-Ferrand, e il Prof. Jean de Saint-Cheron de l’Institut Catholique de Paris.
A me preme, soprattutto, rimarcare come nel testo della Lettera Pontificia sono stati sottolineati da Papa Francesco alcuni aspetti, forse meno conosciuti, del grande filosofo. In primis la sua squisita carità verso i poveri e gli ammalati. La vita Pascal, fu costellata da pratici gesti di carità e d’amore verso i più deboli e verso gli infermi e i sofferenti.
Questo suo comportamento, che egli non pubblicizzò, fu sicuramente colorato dalla sua propria esperienza del dolore e della malattia – basti pensare alla sua preghiera “per il buon uso delle malattie” del 1659 – ma fu anche la ricerca, nelle cose concrete, di un modo di esprimere la sua gratitudine per la Grazia divina che era immeritatamente entrata in quello che lui riteneva la sua piccolezza umana. Questo dimostra che Pascal non separò mai la fede in Dio dalle opere concrete in favore dei fratelli, e aiuta a capire la complessità delle sue relazioni con le teorie gianseniste, che ebbe modo di conoscere avendo letto l’Augustinus di Giansenio e frequentando il circolo di Port-Royal.
Pascal fu profondamente influenzato da Sant’Agostino d’Ippona ma non fu mai un uomo di partito – confessò di sé stesso: «Sono solo… non sono di Port-Royal» – e ebbe una sua personale interpretazione del giansenismo quando volle rispondere alla corrente molinista, considerando la tendenza a fare ricorso alla casuistica una sorta di emanazione del pelagianesimo che il grande Dottore della Chiesa aveva così ardentemente combattuto.
È in questa chiave di lettura che vanno interpretate le lettere Provinciales – i 18 brani che i giansenisti gli chiesero di scrivere in difesa delle loro posizioni, consci della capacità che aveva di convincere con la sua retorica potente e tagliente – ed è anche in questa chiave che vanno considerate le sue posizioni pseudo-predestinazioniste ispirate dagli ultimi scritti di Sant’Agostino stesso.
La consapevolezza e il riconoscimento della primazia della Grazia divina, fu per Pascal, anzitutto di ordine personale, interiore… si potrebbe dire, intimistico e mistico. La filosofia, anche nelle sue espressioni più ammirevoli era, secondo lui, utile, ma non forniva una risposta al dramma dell’uomo. Lo stoicismo tendeva all’orgoglio, lo scettiscismo portava alla disperazione, il dogmatismo conduceva all’isolamento… anche le espressioni più eccelse della filosofia portavano, al massimo, a un ragionevole seppur vago ed inconcludente deismo. Dall’umano e del dramma dell’umano bisognava partire: «Niente è più importante dell’uomo se non il suo stato [di finitudine]: niente è per lui più temibile che l’eternità». Niente per Pascal, infatti, era più pericoloso di un pensiero disincarnato: «Chi vuole fare l’angelo, finisce bestia», sentenziava.
Pascal in questo senso fu un vero realista che seppe confrontarsi con la miseria e la grandezza dell’umano. Le risposte a questa miseria reale e questa sete di grandezza dell’uomo doveva trovarsi in una rivelazione individuale di un Dio personale.
Prima della nuit de feu, Pascal credeva già in Dio, ma quella notte egli ebbe l’illuminazione di riconoscere nel peccato il simbolo della mancanza del desiderio di Dio. Da quella mistica esperienza scaturirono i suoi concetti di orgoglio e di umiltà e, soprattutto, la categoria del “cuore” che gli fu talmente cara. Papa Francesco direbbe che in quella notta, egli si rese conto della sua «coscienza isolata e autoreferenziale» (Evangelii Gaudium, 8).
Perciò, oggi, siamo tutti grati al Santo Padre per questo importante documento che ha voluto scrivere per celebrare un uomo di indiscutibile portata e di estrema attualità.
Quello che Papa Francesco ha voluto celebrare è innanzitutto l’onestà di Blaise Pascal a cui piaceva la frase «bisogna essere sinceri, veri». Il motto che aveva scelto per sé “Scio cui credidi” (2Tm 1,12) lo aveva inteso non in una chiave arrogante di chi ripone assoluta certezza delle proprie posizioni, ma nella fiducia che permette “all’ordine del cuore”, per mezzo della fede, di aprirsi alla consolazione divina.
Questa onestà è quella che fa di Pascal, ancora oggi, un modello di riferimento per affrontare le complessità dell’uomo moderno, dilaniato fra le verità scientifiche e teologiche, che trova nell’essenza della sua propria natura, illuminata dalla fede, quella certezza che Pascal difese ardentemente nelle sue Pensées: «Non mi cercheresti se non mi avessi già trovato».