Introduzione: il dolore che provoca il ferimento di un genitore
È stato molto doloroso constatare, nelle ultime settimane, numerosi attacchi, critiche e sospetti contro Papa Francesco, contro il cardinale Victor Manuel Fernández, prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, e contro la professione ordinaria dell’insegnante. È doloroso perché il Papa, chiunque egli sia, è il vero successore di san Pietro e, quindi, «il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità».[1] Il cardinale Fernández, dal canto suo, non è né più né meno che il responsabile del Dicastero più direttamente coinvolto nel promuovere e tutelare l’integrità della dottrina sulla fede e sulla morale, fondata sul deposito della fede e ricercando la comprensione di essa di fronte alle nuove domande che la cultura contemporanea propone.[2]
Allo stesso modo è doloroso guardare gli attacchi contro Francisco perché al di là delle definizioni, quando un figlio vede che suo padre è ferito, umiliato, aggredito, non può che provare dolore. Questa espressione non vuole essere una mera posa retorica o un sentimentalismo più o meno schietto. Papa Francesco ha mostrato al mondo una paternità straordinaria, mostrando con la parola e con l’esempio che la misericordia di Gesù è infinita e non deve essere condizionata dalle consuetudini, ma anzi agevolata dai pastori, i quali, senza rinunciare alla verità, sanno bene che, basta come la carità senza verità diventa sentimentalismo, la verità senza carità respinge e distrugge. Tale paternità, che apre davvero un cammino di guarigione per tante persone ferite, non può che essere grata, amata e curata con affetto.
La circostanza della recente animosità che scorre su diversi media e in diversi social network è stata la pubblicazione della Dichiarazione “Fiducia supplians” che tratta del significato pastorale delle benedizioni, e in particolare, della possibilità di benedire le coppie in situazioni irregolari e coppie dello stesso sesso.
Le reazioni critiche a questo documento sono molto diverse. La reazione di un vescovo scismatico che non accetta più il Concilio Vaticano II non ha lo stesso accento di quella di un Prefetto emerito che vede nella Dichiarazione contraddizioni interne; quella di un vescovo che afferma che la “Fiducia supplicans” non è eretica ma caotica, quella di un altro che afferma che il documento è contro la legge naturale. Se ci immergiamo negli ambienti dei gruppi laici, anche le reazioni critiche abbracciano un arco molto ampio: alcuni gruppi presentano legittimi dubbi e perplessità, dovuti alla mancanza di formazione e/o informazione su alcuni temi, che, con pazienza e buona volontà , alla fine potranno essere risolti. Altri, invece, sono gruppi che già avevano presentato resistenze e critiche ad alcuni aspetti dell’insegnamento pontificio, per esempio, in materia di moralità coniugale (“Amoris laetitia”), di pastorale indigena (“Querida Amazonia”), o di pastorale (“Fratelli tutti”, “Laudato si’”, “Laudate Deum”). Riguardo a questi ultimi gruppi, alcuni dei gruppi più attivi nel respingere la Dichiarazione “Fiducia Supplians” sono proprio gli ambienti che si sono lasciati sedurre da una qualche forma di teologia politica ultraconservatrice, e in cui la presa di distanza dall’insegnamento sociale della Il Papa si stava preparando per emergere in modi molto più visibili nel momento attuale.[3]
È legittimo che un cattolico esprima pubblicamente opposizione alla professione ordinaria di insegnante? La fedeltà al Papa dovrebbe essere condizionata da ciò che comprendo riguardo al deposito della fede e alla Tradizione ecclesiale? Dovrei cedere all’uso della mia ragione nell’accogliere con fede l’insegnamento del magistero o qualche provvedimento pastorale all’interno della Chiesa? Tutte queste domande sono del tutto legittime. Non solo perché rispondono a una sensibilità contemporanea riguardo ai diritti di coscienza ma perché mostrano la necessità di approfondire un insieme di contenuti che vanno oltre i cliché convenzionali su ciò che è “giusto” o “sbagliato” nella vita della Chiesa.
Nelle righe che seguono, purtroppo, non potremo affrontare tali questioni in extenso. Per fare ciò sarà necessario studiare, con qualche pausa, quei capitoli sul ministero apostolico, e in particolare sul ministero di Pietro, che normalmente compaiono in robusti studi di ecclesiologia. Parimenti, non farà male familiarizzare con i fondamenti della Teologia fondamentale, affinché l’articolazione tra le esigenze della ragione e l’esperienza della fede sia compresa con rigore e senza semplificazioni.[4]
Il nostro compito, in questa occasione, è molto più modesto: offrire, a titolo di opinione, alcuni elementi minimi di cui vale la pena tenere conto guardando al doloroso scenario di dissidenza e rancore contro il Papa e contro il Prefetto del Dicastero per la la dottrina della fede. Questi minimi elementi delineano semplicemente un percorso che richiederà senza dubbio ulteriori approfondimenti. Tuttavia, a parere di chi qui scrive, gli elementi che riporto di seguito non possono essere ignorati o messi “tra parentesi” come se fossero obbligatori per alcuni e non per altri. In altre parole, l’insegnamento della Chiesa ha già insegnato come l’insegnamento stesso deve essere recepito.
1. Giovanni XXIII: una lettura teologica più analitica e differenziata dei segni dei tempi
Il Concilio Vaticano II è stato un vero “Kairós” ecclesiastico. Le discussioni appassionate, le diverse tendenze ecclesiali che hanno partecipato e dibattuto, non hanno impedito allo Spirito Santo di operare e spingere la Chiesa verso un processo di rinnovamento, che non si è ancora concluso. Il Concilio Vaticano II non ha cercato di mettere la Chiesa “alla moda”, ma piuttosto di rinfrescarle il volto ritornando alle fonti più originali per una sua adeguata riforma.[5] A quel tempo non mancavano settori che vedevano ogni innovazione come una resa della Chiesa ai poteri del mondo. Papa San Giovanni XXIII era ben consapevole dell’esistenza di tutta una mentalità ultraconservatrice, antimoderna, “controrivoluzionaria”, piena di diagnosi fatali che profetizzavano fratture ecclesiali e crisi senza fine. Tuttavia, sia lui che gli altri pontefici postconciliari raggiunsero una lettura teologica della storia più analitica e differenziata rispetto a quella antimoderna. In questo modo, tra l’altro, si è evitato di cadere in facili semplificazioni neomanichee, che in definitiva rientravano nella polarizzazione ideologica che ha in parte caratterizzato il Novecento. Guardiamo, ad esempio, come nel discorso di apertura del Concilio san Giovanni XXIII affermò con forza:
«Nell’esercizio quotidiano del Nostro ministero pastorale, certe insinuazioni di alcune persone che, pur nel loro ardente zelo, mancano del senso della discrezione e della misura, giungono talvolta alle nostre orecchie, ferendole. Non vedono nei tempi moderni altro che prevaricazione e rovina; Dicono che i nostri tempi, rispetto al passato, stanno peggiorando; e si comportano come se non avessero imparato nulla dalla storia, che continua ad essere maestra di vita”. (…) “Ci sembra giusto dissentire da tali profeti di calamità, abituati ad annunciare sempre eventi infausti, come se la fine dei tempi fosse imminente. Nell’attuale momento storico, la Provvidenza ci conduce verso un nuovo ordine di rapporti umani che, per opera stessa degli uomini ma ancor più al di sopra delle loro stesse intenzioni, sono finalizzati al compimento di progetti più alti e inattesi; poiché tutto, anche le avversità umane, è disposto per il maggior bene della Chiesa»[6].
Questo testo serrato, evidentemente, non si allinea con la lettura modernista della storia, che cerca di aggiungere acriticamente la Chiesa al mito del progresso indefinito. Né il testo cade nella tentazione di una lettura antimoderna, tipica dei piccoli gruppi che, pieni di paura, e radicati in una falsa idea di “Tradizione”, cercavano di mantenere la Chiesa nella “sicurezza” zona definita dal pensiero ultraconservatore e fondamentalista.[7] Il “Papa buono”, con grande acutezza, e senza alcuna ingenuità, sa che la Provvidenza è ciò che guida la Storia e ci porta verso un nuovo ordine delle cose, a livello personale, sociale ed ecclesiale.
La Chiesa non ha rinunciato ad affermare la verità e a correggere l’errore. In effetti, gli errori pullulavano anche all’interno dei dibattiti conciliari. Non sono mancate le voci che hanno suggerito al Papa di assumere un atteggiamento di combattimento e di condanna dell’errore per non cadere nell’“ambiguità”, nella “confusione” e mantenere una dottrina “chiara”. San Giovanni XXIII, però, era convinto che il modo migliore per correggere l’errore e il peccato non sia il combattimento o la condanna. Il Concilio Vaticano II non deve essere una sintesi di condanne, ma una gioiosa affermazione della misericordia di Dio nella storia:
“La Chiesa si è sempre opposta a questi errori. Spesso li condannava con la massima severità. Nel nostro tempo, però, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia piuttosto che quella della severità. Vuole rispondere alle esigenze attuali, mostrando la validità della sua dottrina piuttosto che rinnovando condanne».[8]
2. Il Concilio Vaticano II: i vescovi “quando insegnano in comunione con il Romano Pontefice”
Avendo queste convinzioni ben radicate nella mente e nel cuore, san Giovanni XXIII e, più tardi, san Paolo VI, guidarono il Concilio Vaticano II, ne discernerono la dottrina, e infine giunsero al momento di promulgarne i documenti. Tra tutte voglio evidenziare la Costituzione sulla Chiesa, meglio conosciuta come “Lumen gentium”. In questo importante testo si pongono, tra l’altro, le basi essenziali per accogliere in modo adeguato, veramente ecclesiale, il Magistero Pontificio. Per accoglierlo quando mi piace, e anche quando non mi piace:
“I Vescovi, quando insegnano in comunione con il Romano Pontefice, devono essere rispettati da tutti come testimoni della verità divina e cattolica; I fedeli, dal canto loro, in materia di fede e di costume, devono accettare il giudizio del loro Vescovo, dato in nome di Cristo, e aderirvi con religioso rispetto. Questo dono religioso di volontà e di comprensione deve essere prestato in modo particolare al magistero autentico del Romano Pontefice anche quando egli non parla ex cathedra; in modo che il suo supremo insegnamento sia riconosciuto con riverenza e con sincerità sia data adesione al parere da lui espresso, secondo il suo manifesto animo e la sua volontà, che si deduce principalmente o dalla natura dei documenti o dalla frequente proposizione di la stessa dottrina, sia nel modo di dirla».[9]
In effetti, il Concilio Vaticano II è molto chiaro: i vescovi devono essere rispettati come testimoni della verità cattolica quando insegnano in comunione con il Papa. I fedeli, da parte nostra, sono chiamati ad un’adesione interiore, al “dono religioso di volontà e di intelletto” di fronte al magistero. Questa espressione non significa cedere alla vocazione della ragione o qualcosa di simile. Significa imparare a vivere nello spirito di fede – che è adesione razionale a una verità rivelata mossa dalla grazia – l’insegnamento della Chiesa.
3. Interrogazioni legittime e detrattori del Papa
Se, fatto ciò, permangono ancora dubbi e riserve, mettere in discussione la professione docente è legittimo quando lo si fa in privato, cercando disciplicamente la verità, curando la comunione ed evitando lo scandalo. Al contrario, cercare di opporsi al magistero al di fuori di questo canale porta presto a credere che il magistero meriti rispetto solo quando coincide con la propria opinione, che viene elevata, spesso senza rendersene conto, a criterio supremo di interpretazione della fede. . Inoltre, non è strano trovare sui social network discussioni sull’insegnamento di Papa Francesco che cercano di finire quando qualcuno cita Chesterton (“quando entro in Chiesa, mi tolgo il cappello, non la testa”) o San John Henry Newman , che nella sua lettera al Duca di Norfolk brinda prima alla coscienza e poi al Papa. In entrambi i casi, le citazioni solitamente ignorano il loro vero contesto, e cercano di screditare il valore del Magistero contemporaneo, quando non coincide con la propria visione del mondo, spesso appesantita da una mescolanza di frammenti del pensiero cattolico e di ideologie conservatrici o neoconservatrici di vari tipi.
Sarà possibile uscire da questo pantano? Ci sarà qualche indizio nell’insegnamento della Chiesa, proveniente da fonti accettate dai principali critici di Papa Francesco, che possa illuminare questi temi? Dal nostro punto di vista basterebbe approfondire la Costituzione “Lumen Gentium” nel paragrafo sopra citato, per ricollocare le cose nelle loro coordinate fondamentali. Ora, è un dato di fatto che lo studio ordinato e fondato della Costituzione dogmatica sulla Chiesa è solitamente molto scarso tra i detrattori del Papa. I pochi che hanno studiato questa dottrina spesso lo fanno senza considerarne il contesto completo e i successivi sviluppi. Non è questa la sede per sviluppare questa questione, che ci porterebbe a considerazioni che esulano di gran lunga da questa breve riflessione.
Tuttavia, può essere utile, almeno in modo didattico, osservare come i critici della Dichiarazione “Fiducia Supplians”, e in generale, alcuni dei settori che si sentono a disagio con Papa Francesco e che tendono a desiderare “chiarezza” e la “precisione” del magistero, ad esempio, di Benedetto XVI, tendono a dimenticare che lo stesso cardinale Ratzinger, in qualità di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, con l’autorizzazione formale di san Giovanni Paolo II, aveva già posto le basi fondamenti per illuminare i momenti difficili di contestazione e di messa in discussione del Magistero ordinario, proprio come quelli che stanno accadendo oggi.
4. L’Istruzione “Donum veritatis” si applica anche ai critici “non progressisti”.
In effetti, vale anche l’Istruzione “Donum veritatis”, della Congregazione per la Dottrina della Fede, presieduta dal cardinale Joseph Ratzigner, e che fu usata in passato da alcuni come ariete per richiamare all’ordine il pensiero teologico “progressista” per l’attuale risposta “ultraconservatrice”. Non c’è motivo di pensare che questo documento del Magistero ordinario della Chiesa non si applichi nella sua essenza, quando chi si oppone proviene da una posizione “non progressista”.
Vediamo con attenzione almeno alcuni paragrafi decisivi. In primo luogo, la “Fiducia supplicans”, come Magistero della Chiesa, non è un insegnamento estrinseco alla verità cristiana né qualcosa di sovrapposto alla fede:
«La funzione del Magistero non è qualcosa di estrinseco alla verità cristiana né qualcosa di sovrapposto alla fede; è piuttosto qualcosa che nasce dall’economia della fede stessa, poiché il Magistero, nel suo servizio alla Parola di Dio, è un’istituzione positivamente voluta da Cristo come elemento costitutivo della Chiesa. Il servizio che il Magistero presta alla verità cristiana si svolge a favore di tutto il popolo di Dio, chiamato ad essere introdotto nella libertà della verità che Dio ha rivelato in Cristo».[10]
Ovviamente ci sono vari gradi e livelli nell’insegnamento della Chiesa. “Fiducia supplicans” non incorpora alcuna novità in materia dogmatica o morale ma, in ogni caso, la sua portata è pastorale, introducendo una relativa novità disciplinare in materia di benedizioni. Premesso ciò è necessario dire:
«Le decisioni magisteriali in materia di disciplina, pur non essendo garantite dal carisma dell’infallibilità, non sono prive dell’assistenza divina e richiedono l’adesione dei fedeli».[11]
5. L’importanza dell’approvazione pontificia e della comunione con il Successore di Pietro
La Dichiarazione “Fiducia supplicans” non è di “Tucho Fernández”, come alcuni vorrebbero banalizzare. Si tratta di una vera e propria Dichiarazione del Dicastero, firmata dal Cardinale Prefetto, e con esplicita approvazione pontificia:
“Il Romano Pontefice adempie la sua missione universale con l’aiuto degli organismi della Curia Romana, e in particolare della Congregazione per la Dottrina della Fede per quanto riguarda la dottrina sulla fede e sulla morale. Da ciò consegue che i documenti di questa Congregazione, espressamente approvati dal Papa, partecipano al magistero ordinario del successore di Pietro».[12]
I vescovi che mettono in dubbio la dimensione vincolante della Dichiarazione, affermando che essa contraddice in un modo o nell’altro la dottrina della Chiesa, sembrano dimenticare che una condizione dell’autenticità dell’insegnamento episcopale è esercitarlo sempre in comunione con il Successore di Pietro :
«L’insegnamento di ciascun vescovo, preso singolarmente, si esercita in comunione con quello del Romano Pontefice Pastore della Chiesa universale e con gli altri vescovi dispersi nel mondo o riuniti in un Concilio ecumenico. Questa comunione è una condizione della sua autenticità».[13]
6. Gli interventi prudenziali nel Magistero non sono privi dell’aiuto divino
Non è strano riconoscere che all’interno del magistero pontificio non tutte le sentenze trattano di principi immutabili, ma molte di esse si riferiscono a questioni “pratiche-pratiche” su cui è necessario decidere ed eventualmente correre dei rischi. Questi tipi di interventi possono maturare e modificarsi nel tempo, sia attraverso una maggiore comprensione del deposito della fede, sia attraverso una rinnovata comprensione del contesto sociale o pastorale che deve essere compreso e curato. Tuttavia, in tutti i casi, pur nella consapevolezza dell’imperfezione di alcune valutazioni e apprezzamenti, e tenendo conto della natura contingente di alcune decisioni pastorali e disciplinari, l’assistenza divina al Papa e alla Chiesa non scompare né diventa intermittente:
“In questo ambito degli interventi prudenziali è accaduto che alcuni documenti magisteriali non fossero esenti da carenze. Non sempre i pastori hanno percepito immediatamente tutti gli aspetti o tutta la complessità di un problema. Ma sarebbe contrario alla verità se, sulla base di alcuni casi concreti, si concludesse che il Magistero della Chiesa può abitualmente ingannare se stesso nei suoi giudizi prudenziali, o non gode dell’assistenza divina nell’esercizio comprensivo della sua missione. [14]
Vale la pena insistere e ridondare un po’: gli “interventi prudenziali” per il buon governo pastorale della Chiesa possono essere più o meno perfetti. Lo sanno tutti i vescovi del mondo. Sono il tipo di decisione più comune. Tali decisioni, inoltre, in alcuni casi, eventualmente ammettono diverse tipologie di attuazione contestuale: lo stesso criterio può essere applicato in modo differenziato, a seconda della cultura-ambiente di ciascuna comunità.[15] Queste decisioni, del tutto perfettibili, non esulano dall’assistenza promessa da Dio ai successori degli apostoli e, in particolare, al Successore di Pietro.
7. L’uso dei media
Ora, come abbiamo cominciato a dire sopra, mettere in discussione in coscienza un documento del Magistero ordinario, in parte o nel suo insieme, è possibile. Questa domanda o obiezione deve essere espressa formalmente all’autorità competente, senza deridere pubblicamente il Papa o cercare di entrare in un gioco di pressioni dirette o indirette. A nessuno è chiesto di cedere all’uso della ragione. Tuttavia il cardinale Joseph Ratzinger afferma:
«Sebbene la dottrina della fede non sia in discussione, il teologo non deve presentare le sue opinioni o le sue ipotesi divergenti come se fossero conclusioni indiscutibili. Questa discrezione è richiesta dal rispetto della verità, come anche dal rispetto del popolo di Dio (cfr Rm 14,1-15; 1 Cor 8,10.23-33). Per questi stessi motivi deve rinunciare a una loro prematura espressione pubblica».[16]
«Il teologo eviterà di ricorrere ai media invece di rivolgersi all’autorità responsabile, perché non è esercitando pressione sull’opinione pubblica che si contribuisce a chiarire i problemi dottrinali e a servire la verità».[17]
8. Il dissenso riguardo al Magistero non ha un significato meramente “politico”.
In definitiva, queste ed altre indicazioni cercano di curare la comunione come metodo per essere e fare il lavoro ecclesiale. Ferire la comunione con il Santo Padre, sia con contestazioni dirette al suo insegnamento, sia con critiche aggressive al Prefetto incaricato di fare una Dichiarazione magisteriale, è qualcosa di molto grave che deve essere evitato. E va evitato per le giuste ragioni, cioè per una profonda esperienza di comunione ecclesiale. È necessario non confondere la comunione con una sorta di “complicità”, di “lamebotismo” o con un mero “raggrupparsi” per tutelare un “fattore di potere”. La comunione ecclesiale matura nella carità, non nell’interpretazione politicizzata di un esercizio magisteriale. Ritenere che la questione, ad esempio, nella Dichiarazione “Fiducia supplicans” sia di mero potere, credere che la questione di fondo sia “chi comanda qui” quando si espande la nozione di “benedizione”, e la si afferma pubblicamente, è un grave errore.
Ricordo subito un numero monografico che la rivista “Ixtus” pubblicò 20 anni fa con il titolo “La vocazione di Pedro”. Contiene un testo di Hans Urs von Balthasar che vale la pena ricordare:
Pietro è stato portato dove non ha voluto (…) Oggi anche il papato è portato dove non vuole. Ma, sottolineo, questo cammino perfeziona la promessa fatta a Pietro e, oltre a impartirgli la benedizione finale, evidenzia il significato fondamentale dell’“autorità” in questo ministero e la prospettiva in cui essa può essere esercitata: quella dell’ultimo luogo, dove “servus servorum” si trova per sua stessa definizione; il luogo del disprezzo e della derisione estrema, dove si scaricano i rifiuti, dove si è “un verme e non un uomo”; Questo luogo, che si accetta sempre contro la propria volontà, è il luogo della credibilità del ministero, della massima credibilità possibile e, finalmente, riconquistata».[18]
Sono convinto che il ministero di Pietro è anzitutto una realtà donata secondo la modalità della grazia, non secondo la modalità della logica del potere.[19] Attraverso la fragilità del Successore di Pietro, e non nonostante essa, la grazia agisce e fa del ministero petrino un vero mistero e fondamento della comunione ecclesiale. Per questo motivo, il dissenso riguardo al Magistero ha un significato diverso rispetto al mero “dissenso politico”. Il cardinale Ratzinger sottolinea a questo proposito:
“La Chiesa è “come sacramento, segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità dell’intero genere umano”. Cercare quindi la concordia e la comunione significa accrescere la forza della propria testimonianza e credibilità; Cedere, però, alla tentazione del dissenso è lasciare che si sviluppino «fermenti di infedeltà allo Spirito Santo»[20].
Quanto era facile applicare questi ed altri testi simili a coloro che, da una posizione “progressista”, dissentivano dal Magistero, ad esempio, nell’ultimo decennio del XX secolo! I settori ultraconservatori non hanno esitato ad applaudire il fatto che sia stata sottolineata “con tutta chiarezza” l’importanza della dovuta fedeltà al Santo Padre e del dovuto rispetto per la Congregazione per la Dottrina della Fede. Non hanno esitato ad affermare con singolare entusiasmo che l’adesione al Magistero era necessaria e pertinente.
Perché allora questo insegnamento magisteriale sulla corretta recezione del Magistero non viene assunto dagli attuali critici del Santo Padre? Posso solo pensare che in alcuni di essi sembra prevalere una lettura parziale e tendenziosa del Magistero di Benedetto XVI, un po’ simile a quanto avvenne a suo tempo anche con l’insegnamento di san Giovanni Paolo II. In altre parole, alcuni, a quanto pare, preferiscono “imparare” dal Magistero del cardinale Ratzinger e/o di Benedetto XVI, come se si trattasse di un “menu à la carte” e non nella sua corretta interpretazione organica.
D’altra parte, a ciò si aggiunge una questione sottile ma non meno importante: in molte occasioni, implicitamente o esplicitamente, si pensa che le indicazioni del Magistero siano “per gli altri” ma non “per noi”.
9. Per concludere: con il Papa sempre
Dal 2002 ho iniziato a partecipare al gruppo di accompagnamento teologico che, di volta in volta, veniva convocato dalla presidenza del CELAM. Quando, dopo la V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano (Aparecida), è stata formalmente ricostituita l’“équipe di riflessione teologica”, ho continuato a parteciparvi costantemente fino al 2021. Durante tutto questo tempo ho avuto l’opportunità di lavorare con teologi delle più diverse sensibilità. Alcuni di loro furono profondamente feriti dall’Istruzione “Donum veritatis” del 1990. Il cardinale Ratzinger, con il pieno appoggio di san Giovanni Paolo II, chiese loro di essere ecclesiastici, di non generare scandalo e di pensare in comunione. Non è stato facile ricevere quel documento. Per alcuni ha rappresentato una restrizione alla libertà accademica e alla coscienza.
Con sincera ammirazione posso testimoniare che, praticamente in tutti i membri dell’“équipe di riflessione teologica”, nel corso degli anni, è stata privilegiata la comunione, il rispetto e il non fare pubblicamente dichiarazioni che nuocessero all’unità ecclesiale. I teologi che non si sentivano a proprio agio con qualche aspetto del Magistero, poco a poco, hanno scoperto la via caritatis per continuare a esporre le loro ricerche con grande rigore accademico, negli spazi creati ad hoc per questo, ma senza pretesamente contestare la Sede di Pietro e/o o alla Congregazione per la Dottrina della Fede. Voglia Dio che, nelle attuali controversie e disaccordi, anche i settori “non progressisti”, che si sentono toccati dal Magistero contemporaneo, imparino ad accogliere con la stessa disponibilità e semplicità il percorso educativo al quale Papa Francesco provvidenzialmente ci introduce.
Questo è importante, non solo di fronte alla situazione attuale, che prima o poi passerà. Ma in vista dei pontificati del futuro. Una dimensione costitutiva della fede cattolica consiste nel vedere in ogni Papa il gesto provvidenziale con cui Dio si prende cura della sua Chiesa. Com’è facile cercare di correggere il Papa in questo o in quello! Quanto è difficile lasciarsi correggere ed educare da Lui! Quest’ultima è possibile solo quando si riconosce che le proprie idee, le proprie convinzioni, hanno bisogno di essere aiutate, purificate, sfumate o corrette da un altro che mi faccia crescere. La parola “autorità” deriva proprio dal verbo latino “augere”, che significa “crescere”. Dio voglia che, riscoprendo l’“autorità” del Magistero del Papa, come servizio alla nostra piccolezza e miseria, possiamo tutti crescere e imparare a camminare insieme, fedeli a Cristo, per Maria, nella Chiesa e con il Papa, Sempre .
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[1] Concilio Vaticano II, Costituzione “Lumen gentium”, n. 23.
[2] Cfr. Francesco, Costituzione Apostolica “Praedicate evengelium”, art. 69.
[3] Per un’introduzione ai problemi delle teologie politiche si veda: M. Borghesi, Critica della teologia politica. Da Agostino a Peterson: la fine dell’era costantiniana, Marietti, Roma 2013; Dello stesso autore: La sfida Francisco: dal neoconservatorismo all’ospedale da campo’, Encuentro, Madrid 2022.
[4] Tra l’abbondante letteratura si veda come introduzione: E. Bueno de la Fuente, Eclesiología, BAC, Madrid 1998; S. Pié-Ninot, Ecclesiologia. La sacramentalità della comunità cristiana, Seguimi, Salamanca 2007; Dello stesso autore: Teologia Fondamentale, Segretariato Trinitario, Salamanca 2001.
[5] Cfr. K. Wojtyla, Il rinnovamento nelle fonti, BAC, Madrid 1982.
[6] San Giovanni XXIII, Discorso di apertura del Concilio Vaticano II, 11 ottobre 1962.
[7] Per un’introduzione all’“integralismo cattolico” si veda: E. Poulat, Intégrisme et catholicisme intégral, Casterman, Paris 1969; Cfr. G. Sale, La Civiltà Cattolica nella crisi modernista (1900-1907) fra politica intransigente e integralismo dottrinale, Jaca Book, Milano 2001; J. M. Laboa, Integrismo e intolleranza nella Chiesa, PPC, Madrid 2019.
[8] San Giovanni XXIII, op.cit.
[9] Concilio Vaticano II, Costituzione “Lumen Gentium”, n. 25.
[10] Il card. J. Ratzinger, Istruzione “Donum veritatis”, n. 14.
[11] Ibidem, n. 17.
[12] Ibidem, n. 18.
[13] Ibidem, n. 19.
[14] Ibidem, n. 24.
[15] Cfr Dicastero per la Dottrina della Fede, Reazioni alla “Fiducia supplicans”, 4 gennaio 2023.
[16] J. Ratzinger, Istruzione “Donum veritatis”, n. 27.
[17] Ibidem, n. 30.
[18] H. U. von Balthasar, “Il Papa oggi”, in La vocazione di Pietro, Ixtus, n. 47, 2004, pag. 129.
[19] Cfr. R. Guerra López, “Riapprendere l’unità”, in La vocazione di Pedro, Ixtus, n. 47, 2004, pp. 98-106.
[20] J. Ratzinger, Istruzione “Donum veritatis”, n. 40.