Come rilanciare la liturgia dopo la pandemia?

Proseguono a Cremona i lavori della 71^ Settimana liturgica nazionale: rinsaldare l’alleanza con famiglie e giovani

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Mons. Marco Busca © Diocesi di Cremona

Celebrare la liturgia significa convergere nell’unità del corpo di Cristo. Lo ha affermato nel suo saluto alla 71ª Settimana Liturgica Nazionale in corso nella Cattedrale di Cremona il presidente della Commissione liturgica della CEI, mons. Marco Busca, vescovo di Mantova. Un cammino che possa aiutare, come ha detto il Papa nel suo messaggio ai partecipanti, a ritrovare la centralità della liturgia nella fede. Una centralità che la pandemia ha messo ulteriormente a dura prova, come ha evidenziato il sacerdote bergamasco don Paolo Carrara, docente di Teologia pastorale.

Il filo conduttore della seconda giornata di lavori è stato “La liturgia come specchio ed espressione della comunità e del tempo storico”. A guidare la riflessione gli interventi di don Paolo Tomatis, sacerdote torinese, presidente dell’Associazione Professori di Liturgia, e appunto don Paolo Carrara.

Il saluto di mons. Busca

Mons. Busca nel suo saluto ha affermato che «celebrare la liturgia significa convergere nell’unità del corpo di Cristo. Siamo nel contesto della riflessione sulla liturgia, ovvero quella dimensione della vita di fede che ci offre la possibilità di essere la forma del Cristo che abita la storia». Non è mancato, poi, un riferimento alla situazione attuale: «Il corpo che formiamo, la Chiesa, non è mai perfetto, anzi, è spesso piagato. Il luogo in cui ci troviamo ce lo ricorda: quello di Cremona è un popolo che è stato duramente colpito». Eppure, «quello stesso popolo può diventare il corpo pasquale di Cristo attraverso l’Eucaristia, che sana ogni ferita trasformandola in occasione di resurrezione».

Una fede che non si spaventa davanti alle difficoltà

Presenti alla seconda giornata di lavori, oltre al presidente del Centro di azione liturgica mons. Claudio Maniago e al vescovo di Cremona mons. Antonio Napolioni, anche il vescovo emerito di Cremona, mons. Dante Lafranconi, e il vescovo emerito di Lodi, mons. Giuseppe Merisi. Quest’ultimo, a margine dell’incontro, ha evidenziato come «le relazioni proposte in questi giorni mi pare ci interpellino in modo molto concreto, mettendoci di fronte alla realtà. Una riflessione di questo tipo può fungere da stimolo alla riscoperta del valore dell’impegno nella comunità ecclesiale, attraverso relazioni costruttive e profonde. Tutto questo passa dalla testimonianza che ciascuno di noi può offrire, la testimonianza di una fede che non si spaventa davanti alle difficoltà, ma che le trasforma in risorsa per crescere e camminare insieme».

Non piegarsi alle mode

«La Chiesa ha bisogno di confrontarsi con la contemporaneità – ha introdotto la sua relazione Tomatis – perché innegabilmente la fede stessa è sempre contestuale. Questo non significa cedere alla tentazione di piegarsi alle mode dei tempi, bensì pensare la fede celebrata in modo non atemporale». Il liturgista torinese ha proposto un’ampia panoramica storica su come, nei 50 anni trascorsi dalla pubblicazione del Messale di Paolo VI, i mutamenti dei contesti ecclesiali, sociali e culturali abbiano ispirato e influenzato il modo in cui l’assemblea liturgica è stata presentata e proposta, per arrivare alle sfide del tempo presente: «Le nostre assemblee liturgiche – ha osservato – sono soggette ad un processo di invecchiamento, di restringimento e dunque di impoverimento di cui prendere atto e al quale porre rimedio».

Unità nel modo di celebrare

In particolare il sacerdote ha guardato alla tendenza attuale della concentrazione delle assemblee liturgiche, spesso spinta dalla diminuzione dei sacerdoti presidenti oltre che dei fedeli: «La varietà di attese e di sensibilità – ha concluso – (più festosa, più intima, più sobria, più libera dall’orologio, più concentrata sulla Parola, più attenta alla varietà dei codici impegnati nel rito; più vicina a casa, più vicina alla propria spiritualità, più in sintonia con il sacerdote o la comunità celebrante) non è da condannare, ma da considerare attentamente, perché nella pluralità delle figure assembleari si cammini verso una sostanziale unità nel modo di celebrare».

Rinsaldare l’alleanza con famiglie e giovani

Un processo di cambiamento che riguarda territori e comunità accentuato dalla pandemia, con la chiusura delle Messe al popolo durante il primo lockdown del 2020, la presa d’atto del “non ritorno” di molti fedeli alla celebrazione liturgica domenicale e l’attuale rischio di una «liturgia un po’ sterilizzata» da norme e timori. «La Chiesa – ha osservato Carrara – è sottoposta a un vero e proprio stress test» che tuttavia offre l’occasione per «tentare di recuperare valide alleanze soprattutto con quelle fasce sociali rispetto a cui il processo di sfilacciamento si mostra in tutta la sua forza: famiglie e giovani».


In questo senso il sacerdote bergamasco ha richiamato proprio l’importanza delle relazioni come «linfa vitale della vita liturgica e pastorale della Chiesa». Non tutto di quanto è stato vissuto, dunque, rappresenta un mero problema, «anzi può essere letto come stimolo per proseguire quel cammino di riforma che ormai è avviato già da alcuni anni».

Integrare i vari campi della pastorale

Concludendo, il relatore ha osservato il bisogno di acquisire una consapevolezza di fondo: «I singoli cristiani, spesso, faticano a mantenersi autonomamente in un cammino di fede maturo». Da queste considerazioni emerge poi l’esigenza di una «azione volta all’integrazione dei vari campi della pastorale, con la liturgia che non si pone come dinamica sostitutiva di qualsiasi altra iniziativa, bensì come fonte della vita di fede di ciascuno», a condizione del recupero del desiderio di «unificazione e riconciliazione a livello ecclesiale. La comunità cristiana non ha bisogno di presbiteri lacerati, ma di pastori capaci di guidare, insieme, il gregge».

Il convegno, seguito in streaming anche da un centinaio di partecipanti sul canale Youtube ufficiale, si concluderà giovedì 26 agosto.