La costituzione apostolica Praedicate Evangelium sancisce la riforma della Curia romana. Pubblicata lo scorso 19 marzo, entrerà in vigore il prossimo 5 giugno, solennità di Pentecoste. Abbiamo chiesto un commento a mons. Juan Ignacio Arrieta, segretario del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi. Collegialità, laici, ruolo di alcuni Dicasteri tra i temi dell’intervista.
Può darci una valutazione complessiva della costituzione Predicate Evangelium, con la quale si attua la riforma della Curia Romana?
La costituzione Predicate Evangelium ha fatto la stessa cosa che la Pastor Bonus di San Giovanni Paolo II svolse nel 1988: mettere in ordine tutti i cambiamenti curiali che erano stati fatti dall’inizio del pontificato. Dal punto di vista organizzativo, la costituzione non offre particolari novità perché le riforme organizzative erano già praticamente fatte. Ma a parte questo, credo che ci siano due novità importanti.
Quali?
La prima è lo sforzo di definire e dare una propria identità al tipo di lavoro svolto in Curia, espresso in termini di servizio e collaborazione tra istituzioni e persone, come cooperatori nella specifica missione del Sommo Pontefice. È lo “stile” di lavoro proprio del battezzato che assiste il Papa nel governo della Chiesa. Quindi, tra le altre cose, si parla di professionalità, collaborazione, lavoro di squadra, studio, spirito di servizio, sensibilità apostolica, lealtà istituzionale, ecc.
La seconda novità importante che noto nel testo è quando tratta le competenze dei dicasteri. Sottolinea come le decisioni, soprattutto quelle di maggiore importanza, devono essere prese in dialogo con gli episcopati interessati. Questo riflette un principio importante della nuova costituzione. Sebbene la Curia sia un’entità al servizio del successore di Pietro, proprio per questo deve porsi, come lui, al servizio dell’episcopato e in dialogo permanente con le necessità delle chiese di tutto il mondo, come Papa Francesco ci ha ricordato così spesso.
Quale sarà, secondo lei, il ruolo dei laici, d’ora in poi, in questo organismo centrale della Chiesa?
Predicate Evangelium insiste sul ruolo dei laici all’interno della Curia. Si tratta di una prassi iniziata con il Concilio, che è poi progressivamente aumentata, soprattutto con il pontificato di Papa Francesco. Non è altro che un’espressione concreta della partecipazione di tutti i fedeli alla missione della Chiesa; in questo caso, collaborando con i pastori nella funzione di governo.
Attualmente, ci sono fedeli laici, uomini e donne, che occupano importanti posizioni decisionali nella Curia, come l’ufficio di prefetto, segretario o sottosegretario di dicasteri e altri organismi. Altri occupano vari posti di responsabilità nei settori economici, nelle relazioni internazionali e in tante altre istituzioni che dipendono dalla Santa Sede.
La costituzione apostolica vuole approfittare di questa cooperazione battesimale in tutti quei settori che non richiedono un trattamento ministeriale delle questioni sollevate, poiché più che le tecniche giuridiche, è la natura delle questioni che indica realmente quali questioni devono essere riservate a un ministro ordinato.
Lei proviene dal clero della prelatura dell’Opus Dei. Quali sono le implicazioni o le conseguenze del fatto che le prelature personali sono ora inquadrate all’interno del Dicastero del Clero? In particolare, ha delle implicazioni per i fedeli laici?
Tra le questioni affrontate dalla costituzione, questo è solo un dettaglio, anche se per me può essere di maggiore interesse personale, essendo membro dell’Opus Dei, anche per gli studi che ho pubblicato in ambito accademico nel corso degli anni, che però non è quello che ci riguarda in questa intervista. I trasferimenti di competenze tra dicasteri della Curia sono molto frequenti, sempre alla ricerca di una migliore gestione amministrativa, che a volte si ottiene e a volte no, ma senza modificare la natura teologica o canonica delle istituzioni.
Per esempio, negli ultimi trent’anni, la Pastor Bonus ha subito tra venti e trenta cambiamenti di competenza. La dispensa dal “matrimonio non ancora consumato” è passata dal Culto Divino alla Rota Romana. La dispensa dagli obblighi sacerdotali ha danzato da un dicastero all’altro, fino a trovarsi ora nella Congregazione per il Clero. I Santuari, che ora sono nel Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, prima erano di competenza del Clero, così come la catechesi. I Seminari, che ora sono nel Clero, erano affidati alla Congregazione per l’Educazione Cattolica. E tante altre questioni, come i beni culturali, il dialogo con i non credenti, e una serie di questioni di natura economica e finanziaria.
Ebbene, nessuna di queste fluttuazioni ha cambiato la natura teologica e canonica delle rispettive istituzioni; cioè, i Santuari rimangono Santuari, i Seminari rimangono Seminari, o la Catechesi rimane quella che era. È così, perché la legge della Curia è solo una legge di organizzazione amministrativa dell’ente che assiste il Papa, e ognuna di queste istituzioni ha nel diritto della Chiesa la sua propria regolamentazione giuridica che rimane la stessa. Nel caso delle Prelature è lo stesso. Rimangono Prelature, con le stesse norme che le definiscono come elemento della struttura della Chiesa, anche se dipendono da un Dicastero diverso da quello di prima.
Per questo motivo, il trasferimento di competenze non modifica in alcun modo la struttura e il funzionamento dell’Opus Dei, che deve seguire le norme stabilite nel Codice e nelle altre leggi della Chiesa che lo riguardano, così come le disposizioni specifiche che, praticamente nello stesso momento, lo stesso Pontefice che ha promulgato il Codice di Diritto Canonico, ha dato per questa prima Prelatura personale.
Come canonista che ha studiato a fondo la materia e crede nelle possibilità pastorali di questa figura, penso che sarebbe positivo approfondire nell’ambito dell’innovazione degli approcci l’idea delle prelature personali come modo di evangelizzare la Chiesa in una società globalizzata, emersa durante il Concilio. All’interno di questo schema, il caso dell’Opus Dei rappresenta solo una realizzazione molto specifica, in relazione alla varietà e all’ampiezza delle possibilità apostoliche che la figura consente. Soprattutto in tempi di forte mobilità umana dove, accanto alle istituzioni tradizionali, più statiche ma necessarie, è molto utile poterne avere altre più adattabili alle necessità pastorali che si presentano, come l’assistenza a problemi migratori specifici, l’evangelizzazione in terra di missione, la cura pastorale dei rifugiati di guerra, degli emarginati, ecc. Diversi documenti della Santa Sede si sono pronunciati su questo argomento negli ultimi anni.
Con la nuova Costituzione, cambia in qualche modo il ruolo della Segreteria di Stato?
Sostanzialmente no. I cambiamenti c’erano stati già con i precedenti provvedimenti adottati dal S. Padre. Da una parte l’istituzione della Terza Sezione, che si occupa di tutto il personale diplomatico, dall’Accademia Ecclesiastica al personale delle nunziature, compresi trasferimenti, progressione di carriera e pensionati. Si tratta di circa 300/400 persone in tutto il mondo. Dall’altra l’istituzione della Segreteria per l’Economia, che si occupa delle questioni economiche. E’ una segreteria papale, esattamente come la Segreteria di Stato, che mantiene tutte le sue funzioni, eccetto quelle economiche.
E per quanto riguarda il nuovo ordine dei dicasteri, con il primato che passa dalla Congregazione per la Dottrina della fede a quello per l’evangelizzazione?
Si vuole semplicemente sottolineare il ruolo missionario della Chiesa, l’importanza primaria di annunciare il Vangelo piuttosto che assicurare la dottrina. Ma in buona sostanza non cambia nulla, quella della precedenza è più una questione formale, direi didattica, che sostanziale.