Ci troviamo dentro quel cambiamento d’epoca di cui parla spesso Papa Francesco

Risultati della XXVIII Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita

Foto d'archivio di Vatican News

Alle ore 11.30 di questa mattina, presso la Sala Stampa della Santa Sede, Sala San Pio X, Via dell’Ospedale 1, ha avuto luogo in diretta streaming la Conferenza Stampa di presentazione dei risultati della XXVIII Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita che si è svolta in Vaticano, dal 20 al 22 febbraio 2023, sul tema “Converging on the person. Emerging Technologies for the Common Good”.

Sono intervenuti: S.E. Mons. Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita; Mons. Renzo Pegoraro, Cancelliere della Pontificia Accademia per la Vita; il Prof. Roger Strand, Università di Bergen (Norvegia); e la Prof.ssa Laura Palazzani, Università Lumsa, Roma (Italia).

Ne riportiamo di seguito gli interventi

Intervento di S. E. Mons. Vincenzo Paglia

Si è conclusa ieri la 28esima Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita, affrontando il tema delle tecnologie emergenti e convergenti (nanotecnologie, intelligenza artificiale-algoritmi, interventi sul genoma, scienze cognitive-neuroscienze), che Papa Francesco ci aveva esortato ad affrontare già nella Lettera Humana Communitas, che ci aveva scritto per il 25° anniversario della Pontificia Accademia.

L’Accademia aveva già affrontato la sfida che rappresenta per l’umanità la frontiera della Intelligenza Artificiale che in questi ultimi mesi occupa la cronaca di molti quotidiani. Nel febbraio 2020 è stata firmata a Roma la Rome Call e nello scorso gennaio vi hanno partecipato anche responsabili dell’Ebraismo e dell’Islam. Il prossimo anno andremo ad Hiroshima per la firma con le altre religioni mondiali, mentre si sono aggiunte diverse università nel mondo e chiedono anche altre istituzioni come Confindustria e lo stesso mondo della politica.

In questa Assemblea il tema si è allargato e riguarda l’interazione sistemica di queste tecnologie emergenti e convergenti che si stanno sviluppando in maniera velocissima e che mentre possono portare un contributo enorme al miglioramento dell’umanità, nello stesso tempo possono condurre ad una modificazione radicale dell’umano. Si parla di post umanesimo, di uomo potenziato e così oltre. Alcuni anni fa nell’Assemblea Generale in cui trattavamo della robotica, lo scienziato giapponese Ishiguro Hiroshi, parlo dell’umanità di oggi come dell’ultima generazione organica, la prossima sarebbe stata sintetica. Ci troveremmo di fronte alla radicale trasformazione dell’umano.

La Pontificia Accademia per la Vita ha sentito la responsabilità di affrontare questa nuova frontiera che coinvolge radicalmente l’umano consapevole che la dimensione etica è indispensabile per salvare, appunto, l’umano che è comune. Ci troviamo dentro quel cambiamento d’epoca di cui parla spesso papa Francesco. Per la prima volta nella storia l’uomo può distruggere se stesso: prima con il nucleare, poi con la crisi ecologica ed infine con le nuove tecnologie. È una questione che coinvolge sia la creazione che la famiglia umana l’intero pianeta.

In tale questo orizzonte abbiamo sentito l’urgenza di un nuovo assetto organizzativo dell’Accademia che comprende, tra l’altro, ma non solo, la presenza di scienziati provenienti da diverse scienze, da diversi paesi, da diverse culture ed anche da diverse fedi, nella consapevolezza che temi come questi (le nuove tecnologie emergenti e convergenti) vanno affrontati in maniera poliedrica, come accadde all’inizio del secondo millennio quando nacquero le “universitas scientiarum”. Ne sorsero ovunque nel mondo soprattutto occidentale: tutte – ciascuno con il suo specifico contributo – si unirono persino in uno stesso luogo per contaminarsi a vicenda. Oggi la PAV vuole in certo modo ripercorrere tale prospettiva. L’umano che è comune infatti richiede di essere affrontato in maniera olistica – Papa Francesco direbbe il tutto è superiore alle parti -, non più in maniera settoriale e frammentaria perdendo così il tesoro della unità della famiglia umana (ovviamente plurale per definizione) che abita l’unica casa che deve rendere bella e abitabile da tutti. Questa visione – delineata dal dittico delle due ultime encicliche Laudato sì e Fratelli tutti – presiede l’impegno della Pontificia Accademia per la Vita.

Particolarmente importante è stato il discorso di Papa Francesco. E davvero proficuo è stato il dibattito avvenuto sia in assemblea generale che nei Workshop. Lascerò agli altri relatori presenti di presentare alcune delle tematiche. Per la PAV ovviamente non si tratta di lasciare indietro i temi che tradizionalmente ha svolto ma di allargare l’orizzonte del suo impegno, appunto perché non è in gioco solo il nascere e il morire che restano ovviamente cruciali (e la PAV continua a riflettere ad organizzare studi e convegni in tal senso) ma qui è in gioco l’umano nella sua radicalità: è in questione l’ampliamento della bioetica come sino ad oggi intesa e la stessa dimensione semantica del termine Vita.

Voglio sottolineare infine che in questa Assemblea si è celebrata la Seconda Edizione del Premio “Guardiano della Vita”. Nel 2021 era stato attribuito allo statunitense Dale Recinella, cappellano laico nel braccio della morte in Florida. Questa edizione del Premio è stata assegnata alla dott.ssa Magdalen Awor, infermiera, collaboratrice dell’Associazione Medici con l’Africa. Ha lasciato l’Uganda suo paese natale per operare in Sud Sudan. Il premo le è stato attribuito “in riconoscimento del grande servizio a favore della vita nascente in alcuni degli ambienti più disagiati del continente africano”. Grazie alla dott.ssa Awor presente qui in Sala Stampa e all’Associazione Medici con l’Africa-CUAMM.

Intervento di Mons. Renzo Pegoraro

Dopo l’Assemblea del 2019, dedicata alla Roboetica e dopo l’Assemblea del 2020 dedicata all’Intelligenza Artificiale, nel 2021 la Pontificia Accademia si era dedicata al tema della Salute Globale, in un contesto post-pandemico.

Con questa Assemblea del 2023 la Pontificia Accademia per la Vita è ritornata su un tema propriamente scientifico-tecnologico. Le tecnologie convergenti riguardano le biotecnologie e le scienze della vita molecolari, tra cui la biologia dei sistemi e la biologia sintetica, ma anche le nanotecnologie, l’informatica e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

Ci siamo impegnati dunque, in una prospettiva interdisciplinare e transdiciplinare, grazie al contributo dei maggiori esperti mondiali in questi settori, per cogliere le prospettive positive che stanno emergendo nel campo della salute, della sanità, dell’ambiente, della lotta alla povertà.

Abbiamo pertanto riscontrato i contributi positivi per la vita umana e per il pianeta, che emergono dalle tecnologie convergenti.

Registriamo tuttavia delle preoccupazioni. E ci siamo chiesti come affrontare le paure, i rischi e le incertezze che possono emergere da un uso della tecnica a scapito del benessere dell’umanità.

In questo senso è emersa la necessità di un discernimento, e l’esigenza di definire meglio i valori e i princìpi morali che hanno il compito di guidare il discernimento stesso e la valutazione. Mi riferisco al valore della persona, alla sua integrità, alla solidarietà, al valore della vita umana, alla giustizia, al criterio della ricerca del bene comune.

Dunque è necessaria una governance che si sviluppa attraverso una legislazione adeguata e aggiornata, ma anche attraverso un’opera di informazione e di educazione all’uso delle tecnologie stesse.

La Chiesa attraverso la Pontificia Accademia per la Vita, con tutte le competenze che ha al suo interno (ricordo che abbiamo un corpus di 160 Accademici, nei Cinque Continenti) accetta queste sfide ed ha avviato un dialogo con le diverse discipline scientifiche, proprio per cercare di riflettere come affrontare il nuovo scenario che abbiamo di fronte negli anni a venire.


Intervento del Prof. Roger Strand

Vorrei iniziare elogiando ed esprimendo la mia gratitudine all’Accademia per aver organizzato il workshop con un titolo che è al tempo stesso tempestivo e puntuale: “Convergere sulla persona. Tecnologie emergenti per il bene comune”. Nel mio intervento di oggi, ribadirò alcuni dei messaggi chiave della mia conferenza a questo workshop.

Il termine “tecnologie convergenti” indica un insieme di domini tecno-scientifici e i loro risultati. Questo insieme comprende tipicamente le biotecnologie e le scienze della vita molecolari, tra cui la biologia dei sistemi e la biologia sintetica, ma anche le nanotecnologie, l’informatica e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC – ICT in inglese, ndr), le neurotecnologie e le scienze cognitive, e talvolta la robotica e la meccatronica. L’idea di convergenza si riferisce alle applicazioni tecnologiche che attraversano questi domini, ma anche all’ambizione scientifica di collegare e integrare i corpi scientifici di conoscenza sottostanti. Le questioni etiche includono il rischio di uso improprio e di abuso di tali tecnologie. Inoltre vi sono questioni relative all’accesso, alla giustizia sociale e alla sostenibilità. E soprattutto, le tecnologie convergenti sollevano questioni sul futuro della specie umana, se dovesse prevalere l’idea che il corpo e la mente umani sono solo un insieme arbitrario di geni, cellule e tessuti in cui tutto può essere modificato secondo i nostri desideri.

Il mio messaggio principale è che le tecnologie convergenti e le questioni etiche che esse sollevano, sono legate alle caratteristiche strutturali delle società moderne e devono essere affrontate come tali. Né la scienza né la tecnologia emergono nel vuoto, ma sono co-prodotte con la società in cui hanno luogo. La scienza e la tecnologia plasmano e sono plasmate da altre istituzioni e pratiche, come la politica e l’economia. Le questioni etiche delle tecnologie convergenti si intrecciano con l’economia politica della tecnoscienza, con le agende politiche dell’innovazione e della crescita economica, con le forze del mercato, le ideologie e le culture del materialismo e del consumismo. Sono invischiate in quello che l’Enciclica Laudato Si’ ha giustamente definito il paradigma tecnocratico.

È anche per questo che l’etica, intesa come linee guida e comitati, fatica ad affrontare le sfide. In altre parole, le nostre istituzioni etiche contribuiscono a una migliore protezione dei soggetti della ricerca e del loro diritto alla privacy, all’integrità e alla dignità durante il processo di ricerca. Possono impedire che si verifichino danni durante il processo di ricerca stesso. Tuttavia, lo spazio per la deliberazione etica è principalmente limitato alla durata del progetto di ricerca e non alle implicazioni sociali dei risultati della ricerca. I comitati di revisione etica non sono in grado di governare la scienza e la tecnologia verso il bene comune. Le attuali pratiche di etica della ricerca svolgono un ruolo regolativo e non costitutivo.

Per orientare le nostre traiettorie tecnologiche verso il bene comune, dobbiamo quindi andare più a fondo. È necessario integrare le visioni e le possibilità del futuro tecnologico positivo con più voci, provenienti dalle periferie delle attuali élite scientifiche ed economiche. È necessario sfidare il paradigma tecnocratico ed integrarlo con le preoccupazioni per l’identità, la dignità e la prosperità umana.

Credo che non dovremmo chiedere soluzioni rapide; in effetti, il desiderio di controllo e di soluzioni rapide appartiene al paradigma tecnocratico. È parte del problema. Potrebbero essere necessarie generazioni, perché le società acquisiscano la saggezza necessaria a governare la tecnoscienza per il bene comune.

Nel mondo accademico, possiamo migliorare i nostri modi di descrivere ciò che finora sfugge al paradigma tecnocratico. La medicina e la scienza della salute possono sensibilizzarsi a una gamma più ampia di significati, compresa la dimensione spirituale. Potremmo costruire una scienza per il benessere umano.

Potrebbe essere più facile di quanto alcuni si aspettino. Molte conoscenze sono già presenti, anche al di fuori dei centri di potere scientifici, economici e politici. Potremmo ascoltare meglio le voci periferiche, o meglio ancora, potrebbero diventare più forti. E potrebbero diventare più forti, per una serie di ragioni, tra cui il fatto che il funzionamento delle sofisticate tecnologie di cui stiamo discutendo dipende dal funzionamento di costose infrastrutture e dall’uso massiccio di risorse naturali.

Alcuni problemi dei ricchi potrebbero semplicemente scomparire da soli, soprattutto quando il nostro sviluppo sociale diventa estremamente insostenibile.

Il mondo delle tecnologie convergenti ricorda un Brave New World, non necessariamente totalitario ma totalizzante nel suo approccio. A lungo termine, credo nel progresso morale. Il percorso può essere lungo e tortuoso, soprattutto se la critica e il dissenso si affievoliscono. Le finestre su prospettive diverse non dovrebbero essere chiuse. Dobbiamo continuare a chiederci come la tecnologia possa convergere sulla persona e insistere nel concepire la persona come qualcosa di più di un individuo isolato, un soggetto che controlla o è controllato, scollegato da tutto ciò che è più grande di lui, in una inconsapevole sospensione tra cielo e terra. Dovremmo chiederci a ogni punto di svolta: questa o quella traiettoria socio-tecnica può aiutarci a ricordare come possono essere veramente le nostre vite e sostenerci per viverle?

Intervento della Prof.ssa Laura Palazzani

Le ‘tecnologie convergenti’ emergono dalla combinazione tra biotecnologie (tecnologie applicata ai sistemi viventi, come mRNA), tecnologie dell’informazione (tecnologie che elaborano e correlano dati, con IA), scienze cognitive (neuroscienze e neurotecnologie) e nanoscienze (le tecnologie di scala nanometrica). L’innovazione delle tecnologie convergenti non è data dalla somma dei risultati delle quattro dimensioni della scienza, ma dal risultato della loro interazione sistemica. L’obiettivo comune è contribuire al miglioramento dell’uomo e della società.

Si stanno aprendo innovazioni ‘dirompenti’, che possono da un lato aprire straordinarie opportunità per la cura di malattie fino a pochi anni fa inimmaginabili o miglioramento delle interazioni sociali, ma dall’altro lato possono portare (e in parte già lo stanno facendo) ad una modificazione radicale dell’uomo, della società, dell’umanità in senso ‘potenziativo’. Si pensi, ad esempio, alla interfaccia cervello-computer che può consentire a pazienti paralizzati di comunicare o azionare un comando, ma anche solo a potenziare artificialmente capacità mentali di individui sani.

La velocità, la complessità, l’ampiezza delle applicazioni (in medicina e oltre la medicina), la confusione degli ambiti tradizionalmente distinti (es. terapia e potenziamento; naturale e artificiale, fisico e virtuale) sono i caratteri costitutivi delle tecnologie che stanno aprendo un nuovo capitolo anche per la riflessione etica. Qualcuno parla di “sogni utopistici”, altri di “incubi apocalittici”.

Il dibattito teorico, agli inizi, ha delineato la divaricazione tra i bio-ottimisti tecnofili che esaltano le tecnologie emergenti e i bio-pessimisti tecnofobi che demonizzano le tecnologie. Non si tratta di scegliere tra i due estremi, ma di riflettere, caso per caso, su ogni tecnologia ed applicazione, al fine di evidenziare entro quali limiti può essere consentito e regolato il progresso in una prospettiva umano-centrica (contro la tecno-crazia e il tecno-centrismo), che metta al centro la dignità umana e il bene comune della società intesa in senso globale.

L’etica è chiamata a riflettere in modo dinamico e integrato alla progettazione tecnologica, nei diversi contesti, con uno sguardo ‘prudente’. L’obiettivo è quello di giustificare i limiti dello sviluppo tecno-scientifico – in modo particolare nelle forme radicali invasive ed irreversibili. Il rischio è che l’anelito alla perfezione possa fare dimenticare il limite costitutivo dell’uomo che, giocando ad essere Dio (‘playing God’) dimentica se stesso.

E’ indispensabile una riflessione che rimetta in gioco la questione dei limiti di modificazione dell’uomo e della natura umana alla luce della difesa della dignità umana (contro i riduzionismo), dell’integrità fisica e psichica, della protezione dell’autenticità dell’umano, della sicurezza e riservatezza (privacy), della libertà nei confronti della invasività tecnologica, della possibilità di sviluppo della persona in condizioni di giustizia sociale e globale con equa distribuzione e equo accesso, e sostenibilità sia sociale che ambientale.

In questo orizzonte di pensiero ciò che risulta sempre più urgente è l’elaborazione e la tematizzazione di nuovi diritti per l’uomo nell’era delle tecnologie emergenti, che possano stabilire i confini dell’avanzamento dell’emergere delle tecnologie.