Il cardinale Felipe Arizmendi, vescovo emerito di San Cristóbal de Las Casas e responsabile della Dottrina della fede presso la Conferenza dell’Episcopato messicano (CEM), offre ai lettori di Exaudi il suo articolo settimanale.
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ASPETTO
Si è recentemente conclusa la seconda sessione del Sinodo dei Vescovi e, con essa, questa consultazione con la Chiesa universale, convocata da Papa Francesco. Al termine, i partecipanti hanno emanato un Documento finale, approvato dalla maggioranza e distribuito con l’autorizzazione del Papa. Alcuni si aspettavano cambiamenti drammatici su questioni controverse, e sono rimasti delusi.
Si sperava, ad esempio, che le donne potessero ricevere il sacramento dell’ordine sacerdotale, così da essere almeno diaconesse. Tuttavia il Documento Finale è molto cauto; afferma: “Questa Assemblea chiede la piena attuazione di tutte le opportunità già previste dalla legislazione esistente in relazione al ruolo delle donne, in particolare laddove non sono state ancora esplorate. Non c’è nulla nelle donne che impedisca loro di ricoprire ruoli di leadership nelle Chiese: ciò che viene dallo Spirito Santo non deve essere fermato. Resta aperta anche la questione dell’accesso delle donne al ministero diaconale. È necessario a questo riguardo un maggiore discernimento” (n. 60). La questione continua a essere studiata e non è chiusa; Questa strada potrebbe essere aperta in futuro. Tuttavia, l’attuale legislazione canonica consente alle donne di battezzare e presiedere ai matrimoni, così come diversi altri ministeri, senza essere diaconesse. Ma questo non è stato messo in pratica nella maggior parte delle diocesi del mondo. L’ho fatto nelle comunità indigene senza problemi e con tutte le approvazioni canoniche; Oltre a presiedere le celebrazioni della Parola e a dare la Comunione, le donne indigene potevano battezzare e presiedere ai matrimoni.
Altri speravano che, per essere sacerdote nella Chiesa latina, l’impegno al celibato non fosse essenziale. Già la Relazione sinodale della sessione sinodale dello scorso anno diceva: “Riguardo al celibato dei presbiteri sono state espresse valutazioni diverse. Tutti ne apprezzano il valore profetico e la testimonianza di conformità a Cristo; Alcuni si chiedono se il suo adattamento teologico al ministero sacerdotale non debba necessariamente tradursi in un obbligo disciplinare nella Chiesa latina, soprattutto laddove i contesti ecclesiali e culturali lo rendono più difficile. Questo non è un argomento nuovo che necessita di essere approfondito” (11 seg). Ciò significa che la questione per ora non è in discussione, poiché esistono già diversi documenti della Chiesa che la rafforzano. Sono molto felice di essere celibe; Mi sento fecondo, padre, fratello; In una parola, realizzato.
Altri volevano che tutte le relazioni coniugali tra persone dello stesso sesso fossero approvate come moralmente ammissibili. Questo non è stato affrontato ora, poiché il Catechismo della Chiesa Cattolica è già molto chiaro: la tendenza omosessuale non è un peccato; “Gli atti omosessuali sono intrinsecamente disordinati… Non possono in nessun caso ricevere approvazione” (CATIC 2357).
Si è comunque tenuto conto di quanto già espresso nel Rapporto di Sintesi dello scorso anno:
“Se usiamo la dottrina con durezza e con atteggiamento giudicante, tradiamo il Vangelo; Se pratichiamo la misericordia a buon mercato, non trasmettiamo l’amore di Dio. L’unità di verità e amore implica assumere le difficoltà dell’altro fino a farle proprie, come avviene tra veri fratelli. Questa unità può essere raggiunta solo seguendo con pazienza il cammino dell’accompagnamento. Sono molte le indicazioni che il Magistero già offre e che attendono di essere tradotte in iniziative pastorali adeguate. Anche laddove occorrono ulteriori chiarimenti, il comportamento di Gesù, assimilato nella preghiera e nella conversione del cuore, ci indica la via da seguire” (15, f e g). Vale a dire che la verità deve coniugarsi con la carità, come diceva il saggio Benedetto XVI: né verità senza carità, né carità senza verità. Le cose sono come sono in termini di verità; ma questa verità va vissuta con grande carità.
C’è anche chi, esplicitamente o velatamente, vorrebbe che non ci fosse più una gerarchia nella Chiesa e che tutto fosse deciso a maggioranza. In questo, il Documento finale è molto esplicito: “In una Chiesa sinodale, la competenza decisionale del Vescovo, del Collegio episcopale e del Vescovo di Roma è inalienabile, poiché affonda le sue radici nella struttura gerarchica della Chiesa stabilita Cristo al servizio dell’unità e nel rispetto della legittima diversità (cfr LG 13)… Nella Chiesa la deliberazione avviene con l’aiuto di tutti, mai senza che l’autorità pastorale decida in forza del suo ufficio” (n. 92).
DISCERNERE
Papa Francesco ha insistito sul fatto che questa assemblea sinodale non doveva decidere su alcune questioni che continuano a essere liberamente discusse, ma riflettere su cosa significa essere una Chiesa sinodale. Il Documento finale così recita:
“Nel corso del processo sinodale è maturata una convergenza sul significato della sinodalità che sottende questo Documento: la sinodalità è il cammino insieme dei cristiani con Cristo e verso il Regno di Dio, in unione con tutta l’umanità; orientata alla missione, comporta l’incontro in assemblea ai diversi livelli della vita ecclesiale, l’ascolto reciproco, il dialogo, il discernimento comunitario, il raggiungimento del consenso come espressione della presenza di Cristo nello Spirito, e la presa delle decisioni in una corresponsabilità differenziata. In questa linea si comprende meglio cosa significhi per la sinodalità essere una dimensione costitutiva della Chiesa. In termini semplici e sintetici, possiamo dire che la sinodalità è un cammino di rinnovamento spirituale e di riforma strutturale per rendere la Chiesa più partecipativa e missionaria, cioè per renderla più capace di camminare con ogni uomo e donna irradiando la luce di Cristo. “ (n. 28).
ATTO
Ogni battezzato è membro del Corpo della Chiesa. La Chiesa non è solo il capo, ma tutte le membra. Il processo sinodale mira a garantire che tutti i battezzati si sentano membra vive e non cellule morte, e che noi pastori teniamo conto della dignità, dei diritti e della partecipazione di coloro che non sono chierici. In questo dobbiamo continuare ad andare avanti.