Il cardinale Felipe Arizmendi, vescovo emerito di San Cristóbal de Las Casas e responsabile della Dottrina della fede presso la Conferenza episcopale messicana (CEM), offre ai lettori di Exaudi il suo articolo settimanale.
FATTI
Seguendo una tradizione risalente al XIII e XIV secolo di celebrare la nascita di Gesù ogni 25 anni, Papa Francesco ci ha convocato a un Giubileo, o Anno Santo, per celebrare il 2.025° anniversario di quell’evento salvifico. Il fondamento remoto di questa celebrazione è l’ordine che Dio diede a Israele: ogni 50 anni si sarebbe celebrato un Giubileo; vale a dire una celebrazione che avrebbe portato gioia al popolo. Si trattava di coloro che avevano un debito e i cui debiti venivano perdonati; se erano schiavi o prigionieri, riacquistavano la libertà; se avevano perso terre, le recuperavano (cfr Lv 25,10-17). Era un modo per garantire la giustizia sociale, per evitare abusi ed eccessi nelle classi sociali.
Sono ormai trascorsi 2025 anni dalla nascita di Cristo. Come possiamo dire che questa data è esatta, dal momento che i Vangeli non la specificano? I testi biblici parlano solo delle autorità religiose e civili di quei tempi, ma non specificano giorni e anni. Secondo il calendario in uso fino ad allora nei territori dominati dall’Impero Romano, si diceva che Cristo fosse nato nell’anno 747, dopo la fondazione di Roma. Tuttavia, un monaco del V secolo, Dionigi il Piccolo, originario della Romania o della Bulgaria, specialista in matematica e nel calcolo delle date liturgiche, sosteneva che il centro della storia non era la fondazione di Roma, ma la nascita di Gesù, e che questo evento dovrebbe quindi segnare il primo anno della nuova era dell’umanità. Solo nell’VIII secolo l’imperatore Carlo Magno promosse il nuovo calendario nei suoi domini, consolidandone l’uso in tutta Europa e poi in quasi tutto il mondo. Secondo le attuali ricerche bibliche, il monaco Dionigi sbagliava di circa cinque o sei anni, ma ciò che conta non è tanto la precisione cronologica, quanto il mistero che celebriamo. Per noi la storia è raccontata prima e dopo Cristo, sapendo che non è la matematica cronologica a governare la vita, ma gli eventi salvifici.
Siamo tutti peccatori. Tutti noi dobbiamo qualcosa; abbiamo tutti violato i dieci comandamenti; dovremmo tutti pagare per i nostri errori. Questo Giubileo è per noi un modo per recuperare la nostra libertà, ferita dai nostri peccati; è affinché possiamo ricevere il perdono per i nostri errori; è affinché possiamo recuperare la pace interiore, la speranza, la grazia divina; è per essere più felici, perché è ciò che Dio desidera per i suoi figli. Dio non vuole schiavi, legati da catene diverse, ma esseri liberi, dotati di quella libertà che solo Cristo può donarci. A tal fine, le porte delle cattedrali e di altri templi speciali sono state simbolicamente aperte per invitarci a ottenere questa grazia seguendo questi passaggi come condizioni: aborrire il peccato e pentirsi attraverso una buona confessione sacramentale; di nutrirci della Comunione eucaristica, di pregare secondo le intenzioni e le necessità del Papa e di praticare un’opera di misericordia verso quanti soffrono nel corpo e nello spirito. In questo modo otteniamo l’Indulgenza plenaria, cioè il perdono delle pene che dovremmo pagare per i nostri peccati, in questa o nell’altra vita. Questa Indulgenza può essere applicata anche ai nostri defunti affinché, se hanno ancora qualche debito, possano già raggiungere il Paradiso.
FULMINE
Papa Francesco, nella Bolla di indizione, afferma: La speranza costituisce il messaggio centrale. Sia per tutti un momento di incontro vivo e personale con il Signore Gesù, “porta” della salvezza (cfr Gv 10,7.9); con Lui, che la Chiesa ha la missione di annunciare sempre, ovunque e a tutti, come “nostra speranza” (1 Tm 1,1). Spesso incontriamo persone scoraggiate, che guardano al futuro con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro la felicità. Il Giubileo sia per tutti occasione per ravvivare la speranza
La speranza è fondata sull’amore che scaturisce dal Cuore di Gesù trafitto sulla croce: “Se infatti, quando eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto di più ora, che siamo riconciliati, saremo salvati» con la sua vita” (Rm 5,10).
La speranza cristiana non inganna né delude, perché si fonda sulla certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore divino: «Chi dunque ci potrà separare dall’amore di Cristo? Tribolazioni, angoscia, persecuzione, fame, nudità, pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose abbiamo una grande vittoria per mezzo di colui che ci ha amati. Perché sono convinto che né morte né vita, né angeli né demòni, né cose presenti né cose del mondo, ci vinceranno futuro, “né potenze spirituali, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,35.37-39). Ecco perché questa speranza non viene meno di fronte alle difficoltà: perché è fondata sulla fede e alimentata dalla carità, e proprio così permette di andare avanti nella vita (nn. 1-3).
AZIONI
Non lasciamoci sfuggire questa opportunità di grazia, perdono, libertà e speranza. Gesù Cristo ci attende a braccia aperte. Accostiamoci con fede e fiducia.