Il cardinale Felipe Arizmendi, vescovo emerito di San Cristóbal de Las Casas e responsabile della Dottrina della Fede presso la Conferenza dell’Episcopato Messicano (CEM), offre ai lettori di Exaudi il suo articolo settimanale intitolato “Chiesa Mediatrice di Pace”.
***
ASPETTO
Non sono mancati coloro che squalificano gli sforzi dei vescovi e dei sacerdoti di Guerrero per contribuire a trovare la pace tra le popolazioni che vivono devastate dalla criminalità organizzata. Non è stato possibile sradicare questa piaga, tra le altre ragioni, perché i governi inferiori fanno solo ciò che è loro permesso dall’alto. Speriamo che i nuovi leader che eleggiamo cambino la loro strategia. In questa situazione non possiamo limitarci a criticare il governo e lamentarci, ma dobbiamo fare tutti il possibile per recuperare la pace familiare e sociale. Questo è ciò che hanno cercato di fare sia a Guerrero che altrove. Altri vescovi fanno lo stesso, anche se senza pubblicità. Non sempre il successo desiderato viene raggiunto, perché questi gruppi hanno i loro interessi economici, e il denaro li ha ridotti in schiavitù, ma noi contribuiamo come possiamo, nonostante i pericoli a cui ci si espone, perché andiamo verso di loro senza scorta e senza armi. , solo con la fede in Dio e la speranza della pace. Se tra loro si raggiungesse una tregua, senza la mediazione del governo, affinché non continuino a uccidersi a vicenda, affinché rispettino tra loro le imprese e i territori e lascino in pace la gente, non è l’ideale, ma il passo non è trascurabile. L’ideale è che depongano le armi e non continuino a estorcere, e il governo dovrebbe lavorare di più su questo, ma, nel frattempo, dovrebbe lasciare in pace la gente. Questo è un risultato che dovrebbe essere apprezzato; nel frattempo lasciamo che l’autorità civile faccia quello che deve fare. Vorremmo che il seme che abbiamo seminato portasse frutti buoni al cento per cento, ma se ne produce solo il 20, o il 10 per cento, è già un guadagno che non possiamo sottovalutare.
Mentre ero in Chiapas ho avuto diverse esperienze in questo senso. Il mio predecessore, mons. Samuel Ruiz, ha dovuto mediare tra l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) e il governo, affinché non ci fossero più morti e fossero rispettati i diritti degli indigeni. Ho dovuto dialogare con zapatisti e antizapatisti, la maggior parte dei quali indigeni, per evitare che si uccidessero tra loro per il possesso della terra o per questioni politiche. Abbiamo promosso il dialogo tra le donne indigene Tseltal di Oxchuc che lottavano per la presidenza municipale, trascinando ciascuna i propri gruppi ben armati a combattere per i propri interessi. Una volta abbiamo subito la distruzione nella Curia diocesana, dove stavamo dialogando tra loro, perché uno di quei gruppi voleva trionfare. Abbiamo dovuto mediare tra gli indigeni Tsotsile di Chenalhó e Chalchihuitán, che litigavano per i limiti territoriali, poiché le autorità agrarie federali li avevano modificati, senza tenere conto delle storie e dei diritti di questi due comuni vicini. Ci sono stati morti e centinaia di sfollati, e non potevamo restare senza fare tutto il possibile per la pace tra loro.
All’interno della stessa diocesi era necessario mediare tra i diversi modelli di Chiesa, affinché si rispettassero a vicenda e lavorassero insieme per l’evangelizzazione e la pace. In due occasioni mi hanno sequestrato per alcune ore, perché un gruppo voleva che li sostenessi e ignorassi il diritto dell’altro. Una cosa è detta, ma non possiamo ridurre il nostro servizio pastorale alla preghiera, che è assolutamente necessaria e indispensabile, ma dobbiamo avvicinarci a Dio con la preghiera e per la pace con il dialogo.
DISCERNERE
Papa Francesco, nell’enciclica Fratelli tutti, afferma:
“Pur rispettando l’autonomia della politica, la Chiesa non relega la propria missione alla sfera privata. Al contrario, non può e non deve restare ai margini nella costruzione di un mondo migliore, né mancare di risvegliare le forze spirituali che fecondano tutta la vita nella società. È vero che i ministri religiosi non devono impegnarsi nella politica partigiana, tipica dei laici, ma nemmeno loro possono rinunciare alla dimensione politica dell’esistenza che implica un’attenzione costante al bene comune e una preoccupazione per lo sviluppo umano integrale. La Chiesa ha un ruolo pubblico che non si limita alla sua attività assistenziale ed educativa, ma cerca piuttosto di promuovere l’uomo e la fratellanza universale. Non intende contestare i poteri terreni, ma proporsi come casa tra le case – cioè la Chiesa –, aperta a testimoniare al mondo di oggi la fede, la speranza e l’amore del Signore e di coloro che Egli ama di predilezione. Una casa con le porte aperte. La Chiesa è una casa con le porte aperte, perché è madre. E come Maria, la Madre di Gesù, vogliamo essere una Chiesa che serve, che esce di casa, che esce dai suoi templi, che esce dalle sue sagrestie, per accompagnare la vita, sostenere la speranza, essere segno di unità per costruire ponti, rompere muri seminate riconciliazione” (276).
“Le convinzioni religiose sul significato sacro della vita umana ci permettono di riconoscere i valori fondamentali della nostra comune umanità, valori in virtù dei quali possiamo e dobbiamo collaborare, costruire e dialogare, perdonare e crescere, consentendo l’insieme di le voci formano un canto nobile e armonioso, invece del fanatico grido di odio” (283).
“Il comandamento della pace è iscritto profondamente nelle tradizioni religiose che rappresentiamo. I leader religiosi sono chiamati a essere autentici “dialoganti”, a lavorare nella costruzione della pace non come intermediari, ma come autentici mediatori. Gli intermediari cercano di accontentare tutte le parti, al fine di ottenere un profitto per se stessi. Il mediatore, invece, è colui che non trattiene nulla per sé, ma si dona generosamente, fino a consumarsi, sapendo che l’unico guadagno è la pace. Ciascuno di noi è chiamato a essere artigiano di pace, unendo e non dividendo, spegnendo l’odio e non preservandolo, aprendo le strade del dialogo e non costruendo nuovi muri” (284).
ATTO
Cosa possiamo fare io e te per la pace? Comincia da te stesso: se hai dei nemici, dialoga pacificamente con loro e riconciliati. Nella vostra famiglia i coniugi evitano di litigare e, se ci sono divergenze, imparano a dialogare, ad ascoltarsi e a rispettarsi. Educate i vostri figli a non litigare, ma a condividere tra loro e con gli altri, e a difendere i diritti di chi è vessato dal bullismo familiare e scolastico. Sosteniamo questi sforzi con la nostra preghiera, che ha una forza straordinaria.