Questa mattina, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza Sua Santità Baselios Marthoma Mathews III, Catholicos dell’Oriente e Metropolita della Chiesa Ortodossa sira malankarese accompagnato da una delegazione.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti nel corso dell’incontro:
Santità,
grazie per le Sue parole, grazie per questa visita nella città degli Apostoli Pietro e Paolo, dove ha già vissuto e studiato, e dove viene ora come Catholicos della venerabile Chiesa ortodossa sira malankarese. Vorrei dirLe, Santità, che qui è a casa, quale Fratello atteso e amato.
Insieme a Lei vorrei anzitutto rendere grazie al Signore per i legami intessuti negli ultimi decenni. Il riavvicinamento delle nostre Chiese, dopo secoli di separazione, è iniziato con il Concilio Vaticano II, al quale la Chiesa ortodossa sira malankarese inviò alcuni osservatori. In quello stesso periodo, San Paolo VI incontrò il Catholicos Baselios Augen I a Bombay nel 1964. Ora, la Sua venuta qui giunge nel quarantesimo anniversario della prima visita a Roma di un Catholicos della vostra cara Chiesa, compiuta nel 1983 da Sua Santità Baselios Marthoma Mathews I, al quale tre anni più tardi San Giovanni Paolo II rese visita nella Cattedrale di Mar Elia a Kottayam. Quest’anno ricorre anche il decimo anniversario dell’abbraccio fraterno con il Suo immediato predecessore, Sua Santità Baselios Marthoma Paulose II, di benedetta memoria, che ho avuto la gioia di ricevere agli inizi del mio pontificato, nel settembre del 2013.
Oggi, accogliendo Vostra Santità e i membri della Sua distinta delegazione, desidero salutare fraternamente i vescovi, il clero e i fedeli della Chiesa ortodossa sira malankarese, le cui origini risalgono alla predicazione dell’Apostolo Tommaso. Egli, dinanzi al Risorto, esclamò: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20,28): questa professione, che proclama la signoria salvifica e la divinità di Cristo, fonda, nella preghiera e nello stupore, la nostra fede comune. È questa stessa fede che celebreremo, auspico insieme, in occasione del 1700° anniversario del primo Concilio Ecumenico, quello di Nicea; io voglio che lo celebriamo tutti insieme. La fede di San Tommaso è tuttavia inseparabile dalla sua esperienza delle piaghe del Corpo di Cristo (cfr Gv 20,27). Ora, le divisioni che si sono verificate nel corso della storia tra noi cristiani sono lacerazioni dolorose inferte al Corpo di Cristo che è la Chiesa. Ne tocchiamo ancora con mano le conseguenze. Ma, se mettiamo insieme la mano in queste ferite, se insieme, come l’Apostolo, proclamiamo che Gesù è il nostro Signore e il nostro Dio, se con cuore umile ci affidiamo stupiti alla sua grazia, possiamo affrettare il giorno tanto atteso in cui, con il suo aiuto, celebreremo allo stesso altare il mistero pasquale: che arrivi presto!
Intanto, caro Fratello, camminiamo insieme nella preghiera che ci purifica, nella carità che ci unisce, nel dialogo che ci avvicina. Penso in modo speciale all’istituzione della Commissione mista internazionale per il dialogo tra le nostre Chiese, che ha portato a uno storico accordo cristologico, pubblicato nella Pentecoste del 1990. Si tratta di una Dichiarazione congiunta, la quale afferma che il contenuto della nostra fede nel mistero del Verbo incarnato è lo stesso, anche se, nella formulazione, sono sorte differenze terminologiche e di enfasi nel corso della storia. In modo ammirevole, il documento dichiara che «queste differenze sono tali da poter coesistere nella stessa comunione e quindi non devono e non dovrebbero dividerci, soprattutto quando annunciamo Cristo ai nostri fratelli e sorelle in tutto il mondo in termini che possono essere facilmente compresi». Annunciare Cristo unisce, non divide; l’annuncio comune del nostro Signore evangelizza il cammino ecumenico stesso.
Dalla Dichiarazione congiunta in poi, la Commissione si è riunita nel Kerala quasi ogni anno e ha dato frutti, favorendo la collaborazione pastorale per il bene spirituale del Popolo di Dio. In particolare, vorrei ricordare con gratitudine gli accordi del 2010 sull’uso comune dei luoghi di culto e dei cimiteri, nonché sulla possibilità per i fedeli di ricevere l’unzione degli infermi, in determinate circostanze, nell’una o nell’altra Chiesa. Questi sono belli accordi. Benedico Dio per il lavoro di questa Commissione, incentrato soprattutto sulla vita pastorale, perché l’ecumenismo pastorale è la via naturale alla piena unità. Come ho avuto modo di dire alla Commissione internazionale mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali, di cui fin dall’inizio, dal 2003, anche la vostra Chiesa fa parte, «l’ecumenismo ha sempre un carattere pastorale». È infatti andando avanti fraternamente nell’annuncio del Vangelo e nella cura concreta dei fedeli che ci riconosciamo un unico gregge di Cristo in cammino. In tal senso, mi auguro che possano estendersi e aumentare gli accordi pastorali tra le nostre Chiese, che condividono la stessa eredità apostolica, soprattutto in contesti in cui i fedeli si trovano in situazione di minoranza o di diaspora. Mi rallegro pure della vostra attiva partecipazione alle visite di studio per giovani sacerdoti e monaci organizzate annualmente dal Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, visite che contribuiscono a una migliore comprensione tra i pastori, e questo è molto importante.
Nel nostro cammino verso la piena unità, un’altra importante via è quella della sinodalità, alla quale Lei si è riferito nel Suo discorso. Il Suo Predecessore dieci anni fa a Roma dichiarò: «La partecipazione dei rappresentanti della Chiesa ortodossa malankarese al processo conciliare della Chiesa cattolica, sin dal Concilio Vaticano II, è stata di fondamentale importanza per la crescita della comprensione reciproca». Sono lieto che un Delegato fraterno della vostra Chiesa parteciperà alla prossima sessione dell’Assemblea del Sinodo dei Vescovi. Sono convinto che noi possiamo imparare molto dalla secolare esperienza sinodale della vostra Chiesa. In un certo senso, il movimento ecumenico sta contribuendo al processo sinodale in corso della Chiesa cattolica, e mi auguro che il processo sinodale possa a sua volta contribuire al movimento ecumenico. Sinodalità ed ecumenismo sono infatti due vie che procedono insieme, condividendo il medesimo approdo, quello della comunione, che significa una migliore testimonianza dei cristiani «perché il mondo creda» (Gv 17,21). Non dimentichiamo – e lo dico ai cattolici – che il protagonista del Sinodo è lo Spirito Santo, non siamo noi.
Proprio per questo il Signore ha pregato prima della Pasqua, ed è bello che l’incontro odierno proseguirà con la preghiera. Interceda per il nostro cammino di unità e di testimonianza l’Apostolo San Tommaso, le cui reliquie sono custodite nell’Arcidiocesi di Lanciano-Ortona, qui rappresentata dall’Arcivescovo Emidio Cipollone, che ringrazio. Il Signore mostrò le piaghe all’Apostolo, i cui occhi increduli divennero credenti: la comune contemplazione del Signore crocifisso e risorto favorisca la completa guarigione delle nostre ferite passate, perché davanti ai nostri occhi, al di là di ogni distanza e incomprensione, risalti Lui, “il nostro Signore e il nostro Dio” (cfr Gv 20,28), Signore e Dio che ci chiama a riconoscerlo e ad adorarlo attorno a un solo altare eucaristico. E che questo avvenga presto. Preghiamo. Grazie!