“La Casa della Misericordia in Mongolia: un simbolo di amore e solidarietà”

Il discorso del Papa alle Operaie della Carità

Vatican Media

Questa mattina, prima di lasciare la Prefettura Apostolica di Ulaanbaatar, Papa Francesco ha incontrato l’ex Presidente della Mongolia, il Sig. Nambar Enkhbayar, con cui si è intrattenuto in una cordiale conversazione.

Quindi, dopo essersi congedato dal personale e dai benefattori della Prefettura Apostolica, il Santo Padre si è trasferito in auto alla Casa della Misericordia dove – alle ore 9.30 (03.30 ora di Roma) – ha incontrato gli Operatori della Carità e inaugurato la struttura.

Al Suo arrivo all’ingresso della Casa della Misericordia Papa Francesco è stato accolto dal Direttore della struttura, Padre Andrew Tran Le Phuong, S.D.B..

Dopo il canto iniziale e il saluto di benvenuto del Direttore della Casa della Misericordia, ha avuto luogo la testimonianza della rappresentante del gruppo Sanità cui ha fatto seguito il ballo dei giovani delle strutture educative cattoliche. Quindi, dopo la testimonianza di un’operatrice, il Papa ha pronunciato il Suo discorso.

Al termine dell’incontro, dopo la recita dell’Ave Maria, la benedizione e il canto finale, il Santo Padre ha benedetto la targa che denominerà la struttura caritativa. Quindi si è trasferito in auto all’Aeroporto Internazionale Chinggis Khaan di Ulaanbaatar per la cerimonia di congedo dalla Mongolia.

Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha pronunciato nel corso dell’incontro con gli Operatori della Carità:

Discorso del Santo Padre

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Vi ringrazio di cuore per l’accoglienza, il canto e la danza, per le vostre parole di benvenuto e per le vostre testimonianze! Credo che si possano ben riassumere con alcune parole di Gesù: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere» (Mt 25,35). Così il Signore ci offre il criterio per riconoscerlo, per riconoscerlo presente nel mondo e la condizione per entrare nella gioia definitiva del suo Regno al momento dell’ultimo giudizio.


Fin dalle sue origini la Chiesa ha preso sul serio questa verità, dimostrando nei fatti che la dimensione caritativa fonda la sua identità. La dimensione caritativa fonda l’identità della Chiesa. Penso ai racconti degli Atti degli Apostoli, con le numerose iniziative prese dalla prima comunità cristiana per realizzare le parole di Gesù, dando vita a una Chiesa costruita su quattro colonne: comunione, liturgia, servizio e testimonianza. È meraviglioso vedere che, dopo tanti secoli, lo stesso spirito permea la Chiesa in Mongolia: nella sua piccolezza, essa vive di comunione fraterna, di preghiera, di servizio disinteressato all’umanità sofferente e di testimonianza della propria fede. Proprio come le quattro colonne delle grandi ger, che sostengono il tondo centrale superiore, permettendo alla struttura di reggersi e di offrire spazio accogliente al suo interno.

Eccoci dunque dentro questa casa che avete costruito e che oggi ho la gioia di benedire e inaugurare. È un’espressione concreta di quel prendersi cura dell’altro in cui i cristiani si riconoscono; perché dove c’è accoglienza, ospitalità e apertura all’altro si respira il buon profumo di Cristo (cfr 2 Cor 2,15). Lo spendersi per il prossimo, per la sua salute, i suoi bisogni primari, la sua formazione e la sua cultura, appartiene fin dagli inizi a questa vivace porzione del Popolo di Dio. Da quando i primi missionari sono arrivati a Ulaanbaatar negli anni novanta, hanno sentito subito l’appello alla carità, che li ha portati a prendersi cura dell’infanzia derelitta, di fratelli e sorelle senza fissa dimora, dei malati, delle persone con disabilità, dei carcerati e di quanti nella loro condizione di sofferenza chiedevano di essere accolti.

Oggi vediamo come da quelle radici è cresciuto un tronco, sono spuntati dei rami e sono sbocciati tanti frutti: numerose e lodevoli iniziative benefiche, sviluppatesi in progetti a lungo termine, portati avanti per lo più dai diversi Istituti missionari qui presenti e apprezzati dalla popolazione e dalle autorità civili. D’altronde, era stato lo stesso Governo mongolo a chiedere l’aiuto dei missionari cattolici per fronteggiare le numerose emergenze sociali di un Paese che al tempo versava in una delicata fase di transizione politica, segnata da diffusa povertà. Questi progetti vedono impegnati tutt’oggi missionari e missionarie di tanti Paesi, che mettono al servizio della società mongola le loro conoscenze, la loro esperienza, le loro risorse e soprattutto il loro amore. A loro, e a quanti sostengono queste numerose opere di bene, vanno la mia ammirazione e il mio più sentito “grazie”.

La Casa della Misericordia si propone come punto di riferimento per una molteplicità di interventi caritativi, mani tese verso i fratelli e le sorelle che faticano a navigare tra i problemi della vita. È una sorta di porto dove attraccare, dove poter trovare ascolto e comprensione. Questa nuova iniziativa, però, mentre si aggiunge alle numerose altre sostenute dalle varie istituzioni cattoliche, ne rappresenta una versione inedita: qui, infatti, è la Chiesa particolare a portare avanti l’opera, nella sinergia di tutte le componenti missionarie ma con una chiara identità locale, come genuina espressione della Prefettura Apostolica nel suo insieme. E mi piace molto il nome che avete voluto darle: Casa della Misericordia. In queste due parole c’è la definizione della Chiesa, chiamata a essere dimora accogliente dove tutti possono sperimentare un amore superiore, che smuove e commuove il cuore: l’amore tenero e provvidente del Padre, che ci vuole fratelli, ci vuole sorelle nella sua casa. Auspico allora che possiate trovarvi tutti attorno a questa realizzazione, che le varie comunità missionarie vi partecipino attivamente, impegnando personale e risorse.

Perché ciò si realizzi è indispensabile il volontariato, il servizio, cioè, puramente gratuito e disinteressato, che le persone liberamente decidono di offrire a chi è nel bisogno: non sulla base di un compenso economico o di una qualsiasi forma di ritorno individuale, ma per puro amore al prossimo. Questo è lo stile di servizio che Gesù ci ha insegnato dicendo: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). Servire così sembra una scommessa perdente, ma quando ci si mette in gioco si scopre che ciò che si dona senza aspettare contraccambio non è sprecato; anzi, diventa una grande ricchezza per chi offre tempo ed energie. La gratuità, infatti, alleggerisce l’animo, risana le ferite del cuore, avvicina a Dio, dischiude la fonte della gioia e mantiene giovani dentro. In questo Paese pieno di giovani dedicarsi al volontariato può essere una via di crescita personale e sociale decisiva.

È poi un fatto che, anche nelle società altamente tecnologizzate e con un alto standard di vita, il sistema della previdenza sociale da solo non basta a erogare tutti i servizi ai cittadini, se in aggiunta non ci sono schiere di volontari e volontarie che impegnano tempo, capacità e risorse per amore dell’altro. Il vero progresso delle nazioni, infatti, non si misura sulla ricchezza economica e tanto meno su quanto investono nell’illusoria potenza degli armamenti, ma sulla capacità di provvedere alla salute, all’educazione e alla crescita integrale della gente. Vorrei dunque incoraggiare tutti i cittadini mongoli, noti per la loro magnanimità e capacità di abnegazione, a impegnarsi nel volontariato, mettendosi a disposizione degli altri. Qui, presso la Casa della Misericordia, avete una “palestra” sempre aperta dove esercitare i vostri desideri di bene e allenare il cuore.

Vorrei, infine, sfatare alcuni “miti”. In primo luogo, quello per cui solo le persone benestanti possono impegnarsi nel volontariato. Questa è una “fantasia”. La realtà dice il contrario: non è necessario essere ricchi per fare del bene, anzi quasi sempre sono le persone comuni a dedicare tempo, conoscenze e cuore per occuparsi degli altri. Un secondo mito da sfatare: quello per cui la Chiesa cattolica, che nel mondo si distingue per il grande impegno in opere di promozione sociale, fa tutto questo per proselitismo, come se occuparsi dell’altro fosse una forma di convincimento per attirare “dalla propria parte”. No, la Chiesa non va avanti per proselitismo, va avanti per attrazione. I cristiani riconoscono chi è nel bisogno e fanno il possibile per alleviarne le sofferenze perché lì vedono Gesù, il Figlio di Dio, e in Lui la dignità di ogni persona, chiamata a essere figlio o figlia di Dio. Mi piace immaginare questa Casa della Misericordia come il luogo dove persone di “credo” diversi, e anche non credenti, uniscono i propri sforzi a quelli dei cattolici locali per soccorrere con compassione tanti fratelli e sorelle in umanità. È questa la parola, compassione: capacità di patire con l’altro. E questo lo Stato saprà custodire e promuovere adeguatamente. Perché si realizzi questo sogno è infatti indispensabile, qui e altrove, che chi detiene la responsabilità pubblica sostenga tali iniziative umanitarie, dando prova di una sinergia virtuosa per il bene comune. Infine, un terzo mito da sfatare: quello secondo cui a contare sarebbero solo i mezzi economici, come se l’unico modo per prendersi cura dell’altro fosse l’impiego di personale stipendiato e l’investimento in grandi strutture. Certo, la carità richiede professionalità, però le iniziative benefiche non devono diventare imprese, ma conservare la freschezza di opere di carità, dove chi è nel bisogno trova persone capaci di ascolto, capaci di compassione, al di là di qualsiasi compenso.

In altre parole, per fare davvero del bene, ciò che è indispensabile è un cuore buono, un cuore determinato nel cercare ciò che è meglio per l’altro. Impegnarsi solo dietro remunerazione non è vero amore; solo l’amore vince l’egoismo e fa andare avanti il mondo. A questo proposito, mi piace concludere ricordando un episodio legato a Santa Teresa di Calcutta. Pare che un giornalista, guardandola ricurva sulla ferita maleodorante di un malato, una volta le abbia detto: «Quello che fate è bellissimo, ma personalmente non lo farei neanche per un milione di dollari». Madre Teresa rispose: «Per un milione di dollari non lo faccio neanch’io. Lo faccio per amore di Dio!» Prego che questo stile di gratuità sia il valore aggiunto della Casa della Misericordia. Per tutto il bene che avete fatto e che farete, io vi ringrazio di cuore – grazie, grazie tante! – e vi benedico. E per favore, abbiate anche la carità di pregare per me. Grazie.