“La malattia insegna a vivere la solidarietà umana e cristiana”

Udienza papale alla Assemblea plenaria della Pontificia Commissione Biblica

Vatican Media

Questa mattina il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i partecipanti all’Assemblea plenaria della Pontificia Commissione Biblica.

Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha consegnato ai presenti nel corso dell’Udienza:

Discorso del Santo Padre consegnato

Signor Cardinale,

Cari Membri della Pontificia Commissione Biblica!

Sono lieto di accogliervi al termine della vostra annuale Assemblea plenaria. Ringrazio il Signor Cardinale Luis Ladaria per il suo indirizzo di saluto e per l’esposizione che ci ha offerto sul tema che avete affrontato: La malattia e la sofferenza nella Bibbia. Si tratta di un tema che riguarda tutti, credenti e non credenti. La natura umana, infatti, ferita dal peccato, porta inscritta in sé la realtà del limite, della fragilità e della morte.

Questo tema risponde, inoltre, a una preoccupazione che ho particolarmente a cuore, e cioè che la malattia e la finitudine nel pensiero moderno vengono spesso considerate come una perdita, un non–valore, un fastidio che bisogna minimizzare, contrastare e annullare ad ogni costo. Non ci si vuole porre la domanda sul loro significato, forse perché se ne temono le implicazioni morali ed esistenziali. Eppure nessuno può sottrarsi alla ricerca di tale «perché» (cfr S. Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Salvifici doloris, 9).

Anche il credente talvolta può vacillare di fronte all’esperienza del dolore. È una realtà che fa paura e che, quando irrompe e assale, può lasciare l’uomo sconvolto, fino ad incrinarne la fede. La persona allora è posta di fronte a un bivio: può permettere alla sofferenza di portarla al ripiegamento su di sé, fino alla disperazione e alla ribellione; oppure può accoglierla come un’occasione di crescita e di discernimento su ciò che nella vita conta veramente, fino all’incontro con Dio.

Quest’ultima è la visione di fede che troviamo nella Sacra Scrittura.

L’uomo dell’Antico Testamento vive la malattia con il pensiero costantemente rivolto a Dio: si affida a Lui nei momenti delle lacrime (cfr Sal 38), da Lui implora la guarigione nell’infermità (cfr Sal 6,3; Is 38) e a Lui spesso ritorna, nei momenti di prova, con moti di conversione (cfr Sal 38,5.12; 39,9; Is 53,11).


Nel Nuovo Testamento irrompe l’evento Gesù (cfr Gv 3,16): il Figlio che rivela l’amore del Padre, la sua misericordia, il suo perdono e la sua ricerca costante dell’uomo peccatore, smarrito e ferito. Non a caso l’attività pubblica del Cristo è segnata in gran parte proprio dal contatto coi malati. Le guarigioni miracolose sono una delle caratteristiche principali del suo ministero (cfr Mt 9,35; 4,23): risana i lebbrosi e i paralitici (cfr cfr Mc 1,40-42; 2,10–12); guarisce la suocera di Simone e il servo del centurione (cfr Mt 8,5-15); libera gli indemoniati e cura tutti i malati che si affidano a Lui (cfr Mc 6,56).

Proprio la sua compassione per loro e le numerose guarigioni che opera sono presentate come il segno che «Dio ha visitato il suo popolo» (Lc 7,16) e che il Regno dei cieli è vicino (cfr Lc 10,9): esse rivelano la sua identità divina, la sua missione messianica (cfr Lc 7,20-23) e il suo amore per i deboli fino a identificarsi con loro, quando dice: «Ero malato e mi avete visitato» (Mt 25,36). Il culmine di tale identificazione avviene nella Passione, così che la Croce di Cristo diventa il segno per eccellenza della solidarietà di Dio con noi e, nello stesso tempo, la possibilità per noi di unirci a Lui nell’opera salvifica (cfr Col 1,24). Anche dopo la Risurrezione, quando il Signore affida ai discepoli il mandato di continuare la sua opera, dice loro di curare i malati, imponendo le mani su di essi e benedicendoli nel suo nome (cfr Mc 16,15-18).

La Bibbia non offre così una risposta banale e utopica alla domanda sulla malattia e sulla morte, né una risposta fatalistica, che giustifichi tutto attribuendolo ad un incomprensibile giudizio divino, o peggio a un destino inesorabile davanti al quale non resta che piegarsi senza comprendere. L’uomo biblico si sente piuttosto invitato ad affrontare la condizione universale del dolore come luogo di incontro con la vicinanza e la compassione di Dio, Padre buono, che con infinita misericordia si fa carico delle sue creature ferite per curarle, risollevarle e salvarle.

Così in Cristo anche il patire si trasforma in amore e la fine delle cose di questo mondo diventa speranza di risurrezione e di salvezza, come ci ricorda l’autore del libro dell’Apocalisse (cfr Ap 21,4). In sostanza per il cristiano anche l’infermità è un dono grande di comunione, con cui Dio lo rende partecipe della sua pienezza di bene proprio attraverso l’esperienza della sua debolezza.

In realtà, il modo in cui viviamo il dolore ci parla della nostra possibilità di amare e di lasciarci amare, della nostra capacità di dare senso alle vicende dell’esistenza nella luce della carità e della nostra disponibilità ad accogliere il limite come occasione di crescita e di redenzione [1]. È ciò che sottolineava San Giovanni Paolo II quando, a partire dal suo vissuto personale, indicava il sentiero della sofferenza come via per aprirsi a un amore più grande (cfr Lett. Ap. Salvifici doloris, 20).

Infine, un ultimo aspetto dell’esperienza della malattia che vorrei sottolineare è che essa ci insegna a vivere la solidarietà umana e cristiana, secondo lo stile di Dio che è vicinanza, compassione e tenerezza. La parabola del buon Samaritano ci ricorda che chinarsi sul dolore degli altri non è per l’uomo una scelta opzionale, ma piuttosto una condizione irrinunciabile, sia per la sua piena realizzazione come persona sia per la costruzione di una società inclusiva e veramente orientata al bene comune (cfr Lett. Enc. Fratelli tutti, 67-68).

Cari Membri della Pontificia Commissione Biblica, esprimo a tutti voi il mio personale ringraziamento e incoraggiamento per l’impegnativo lavoro che svolgete al servizio della Parola di Dio, mediante la ricerca e l’insegnamento. Voi vi occupate di uno degli ambiti più importanti dell’inculturazione della fede, che è parte fondamentale della missione della Chiesa. Ricordate, però, che la vostra opera crescerà tanto più, quanto più saprete accogliere personalmente il mistero dell’Incarnazione nella vostra vita di fede.

Per questo vi auguro un fruttuoso proseguimento del vostro lavoro, invoco su di voi la luce dello Spirito Santo e di cuore vi benedico. E, mi raccomando, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!

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[1] Cfr Omelia in occasione del Giubileo degli ammalati e delle persone disabili, 12 giugno 2016.