L’essenza del sinodo è ascoltare, comprendere e attuare la volontà di Dio

Discorso del Papa all’Assemblea Plenaria del Dicastero per la Comunicazione

Vatican News

Questa mattina, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza, nel Palazzo Apostolico Vaticano, i dipendenti e i partecipanti all’Assemblea Plenaria del Dicastero per la Comunicazione.

Dopo aver consegnato il discorso preparato per l’occasione, il Papa si è rivolto a braccio ai partecipanti all’incontro.

Pubblichiamo di seguito il discorso che il Santo Padre ha preparato per la circostanza e consegnato ai presenti:

Discorso del Santo Padre

Cari fratelli e care sorelle, buongiorno e benvenuti!

Ringrazio il Dottor Ruffini per le sue cortesi parole, e saluto tutti voi che partecipate all’assemblea Plenaria del Dicastero per la Comunicazione, che ha per tema “Sinodo e comunicazione: un percorso da sviluppare”.

Il Sinodo non è un semplice esercizio di comunicazione, e nemmeno il tentativo di ripensare la Chiesa con la logica delle maggioranze e delle minoranze che devono trovare un accordo. Questo tipo di visione è mondana, e segue il modello di molte esperienze sociali, culturali e politiche. Invece l’essenza del percorso sinodale risiede in una verità di fondo che non dobbiamo mai perdere di vista: esso ha lo scopo di ascoltare, capire e mettere in pratica la volontà di Dio.

Se, come Chiesa, vogliamo conoscere la volontà di Dio per rendere ancora attuale la luce del Vangelo in questo nostro tempo, allora dobbiamo tornare ad avere la consapevolezza che essa non si dà mai al singolo, ma sempre alla Chiesa nella sua interezza. È solo nel tessuto vivo delle nostre relazioni ecclesiali che diventiamo capaci di ascoltare e comprendere il Signore che ci parla. Senza il “camminare insieme”, possiamo diventare semplicemente un’istituzione religiosa, che però ha perduto la capacità di far risplendere la luce del messaggio del suo Maestro, ha perso la capacità di portare sapore nelle diverse vicende del mondo.

Gesù ci mette in guardia da una simile deriva. Egli ci ripete: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa» (Mt 5,13-16). Ecco perché la dimensione sinodale è una dimensione costitutiva della Chiesa e la riflessione che ci tiene impegnati in questi anni ha lo scopo di far emergere con forza ciò che in maniera implicita la Chiesa ha sempre creduto.

La Bibbia è piena di storie di uomini e donne che a volte, erroneamente, immaginiamo come eroi solitari. Ad esempio Abramo, il primo a cui Dio rivolge la sua parola, non è un solitario che si mette in viaggio, ma un uomo che prende sul serio la voce di Dio, che lo invita a lasciare la propria terra, e fa questo assieme alla sua famiglia (Gen 12,1-9). La storia di Abramo è la storia dei legami di Abramo.

Anche Mosè, il liberatore di Israele, non avrebbe potuto compiere la sua missione se non grazie all’aiuto del fratello Aronne, della sorella Maria, del suocero Ietro, e di una schiera di altri uomini e donne che lo hanno aiutato ad ascoltare la Parola del Signore e a metterla in pratica per il bene di tutti. Egli è un uomo ferito nella propria storia personale, e non ha doti oratorie, anzi, è balbuziente. Potremmo quasi dire che è un uomo che ha difficoltà proprio a comunicare, ma chi gli è accanto supplisce alla sua stessa incapacità (cfr Es 4,10.12-16).


Maria di Nazareth non avrebbe potuto cantare il suo Magnificat senza la presenza e l’amicizia della cugina Elisabetta (cfr Lc 1,46-55), e non avrebbe potuto difendere il bambino Gesù dall’odio di chi lo voleva uccidere se non ci fosse stato accanto a lei Giuseppe (Mt 2,13-15.19-23).

Gesù stesso si fa bisognoso di legami, e quando deve affrontare la battaglia decisiva della sua missione a Gerusalemme, la notte dell’arresto porta con sé nell’orto del Getsemani gli amici Pietro, Giacomo e Giovanni (cfr Mt 26, 36-46).

Il contributo della comunicazione è proprio quello di rendere possibile questa dimensione comunionale, questa capacità relazionale, questa vocazione ai legami. E pertanto comprendiamo come sia compito della comunicazione favorire la vicinanza, dare voce a chi è escluso, attirare l’attenzione su ciò che normalmente scartiamo e ignoriamo. La comunicazione è, per così dire, l’artigianato dei legami, dentro i quali la voce di Dio risuona e si fa sentire.

Tre cose vorrei indicarvi come possibili tracce per un futuro percorso di riflessione in questo ambito.

Il primo compito della comunicazione dovrebbe essere quello di rendere le persone meno sole. Se essa non fa diminuire la sensazione di solitudine a cui tanti uomini e donne si sentono condannati, allora quella comunicazione è solo intrattenimento, non è artigianato di legami come dicevamo prima.

Per poter attuare una simile missione, bisogna aver chiaro che una persona si sente meno sola quando si accorge che le domande, le speranze, le fatiche che porta dentro trovano espressione al di fuori. Solo una Chiesa che è immersa nella realtà conosce davvero ciò che si trova nel cuore dell’uomo contemporaneo. Quindi, ogni vera comunicazione è fatta soprattutto di ascolto concreto, è fatta di incontri, di volti, di storie. Se non sappiamo stare nella realtà, ci limiteremo solo a indicare dall’alto direzioni a cui nessuno presterà ascolto. La comunicazione dovrebbe essere un grande aiuto per la Chiesa, per abitare concretamente nella realtà, favorendo l’ascolto e intercettando le grandi domande degli uomini e delle donne di oggi.

Collegata a questa prima sfida vorrei aggiungerne un’altra: dare voce a chi non ha voce. Molto spesso assistiamo a sistemi di comunicazione che emarginano e censurano ciò che è scomodo e che non vogliamo vedere. La Chiesa, grazie allo Spirito Santo, sa bene che è suo compito stare con gli ultimi, e il suo habitat naturale è quello delle periferie esistenziali.

Ma periferie esistenziali non sono solo coloro che per motivi economici si trovano ai margini della società, ma anche coloro che sono sazi di pane ma vuoti di senso, sono anche quanti vivono situazioni di marginalità a causa di alcune scelte, o di fallimenti familiari, o per vicende personali che hanno segnato in modo indelebile la loro storia. Gesù non ha mai avuto paura del lebbroso, del povero, dello straniero, anche se queste persone erano segnate da uno stigma morale. Gesù non ha mai ignorato gli irregolari di ogni genere. Mi domando se come Chiesa sappiamo dare voce anche noi a questi fratelli e a queste sorelle, se sappiamo ascoltarli, se sappiamo discernere assieme a loro la volontà di Dio, e così rivolgere ad essi una Parola che salva.

Infine, la terza sfida della comunicazione che vorrei lasciarvi è quella di educarci alla fatica del comunicare. Non di rado anche nel Vangelo si registrano fraintendimenti, lentezze nel capire le parole di Gesù, o malintesi che a volte diventano vere e proprie tragedie, così come capita a Giuda Iscariota, il quale confonde la missione del Cristo con un messianismo politico.

Pertanto dobbiamo accettare nella comunicazione anche questa dimensione di “fatica”. Molto spesso coloro che guardano la Chiesa da fuori rimangono perplessi dalle diverse tensioni che vi sono in essa. Ma chi conosce il modo di agire dello Spirito Santo sa bene che Egli ama fare comunione tra le diversità, e creare l’armonia dalla confusione. La comunione non è mai uniformità, ma capacità di tenere insieme realtà molto diverse. Penso che dovremmo essere capaci di comunicare anche questa fatica senza avere la pretesa di risolverla o occultarla. Il dissenso non è necessariamente un atteggiamento di rottura, ma può essere uno degli ingredienti della comunione. La comunicazione deve rendere possibile anche la diversità di vedute, cercando però sempre di preservare l’unità e la verità, e combattendo calunnie, violenze verbali, personalismi e fondamentalismi che, con la scusa di essere fedeli alla verità, spargono solo divisione e discordia. Se cede a queste degenerazioni, la comunicazione, invece di fare tanto bene, finisce per fare molto male.

Cari fratelli e care sorelle, il lavoro di questo Dicastero non è semplicemente tecnico. La vostra vocazione, come abbiamo visto, tocca il modo stesso di essere Chiesa. Grazie per quello che fate. Vi incoraggio ad andare avanti in maniera decisa e profetica. Servire la Chiesa significa essere affidabili e anche coraggiosi nell’osare strade nuove. In questo senso siate sempre affidabili e coraggiosi. Vi benedico tutti di cuore. E per favore non dimenticatevi di pregare per me.